Gli egiziani sono di ottima qualità, specialmente se opportunamente inquadrati nella loro epoca e nella cultura sociale arabo-egiziana; i due russi sono entrambi diretti Aleksey Balabanov (regista di Brat aka Brother) con il suo classico stile e con protagonisti i consueti esagerati personaggi del mondo criminale, ma sono di livello ben diverso fra loro, essendo The Stoker di gran lunga superiore; infine, c’è l’adattamento del più famoso romanzo del brasiliano Jorge Amado, mal proposto sullo schermo eppure è il più conosciuto dei 5 ... ma non il più apprezzato dai cinefili.
The Blazing Sun (Youssef Chahine, 1954, Egy)
Bello e interessante questo film diretto dal più riverito regista della cinematografia egiziana classica, Youssef Chahine. Segna il debutto di Omar El Cherif, l’attore che sarebbe poi diventato internazionalmente noto come Omar Sharif. Esordì al fianco della star femminile dell’epoca, la già affermata Faten Hamamah (nota come The Lady of the Arabic Screen, all’epoca 23enne, ma già con oltre 50 film al suo attivo), indipendente e femminista nella vita e spesso anche sullo schermo, che sarebbe diventata (l’unica) sua moglie l’anno successivo. Anche se con un finale troppo melodrammatico, il film fornisce una bella descrizione della società agricola lungo le sponde del Nilo, con il ricco pascià che vive in uno splendido ed enorme palazzo, lo sceicco capovillaggio, il bey, l’effendi, con il potere gestito in modi illeciti e senza alcuno scrupolo … spettacolari gli esterni girati fra le imponenti rovine millenarie di Karnak (foto in basso).
Oggettivamente, Omar Sharif deve il suo successo più al suo misterioso aspetto esotico che alle capacità di attore, anche se in questo film le sue carenze sono giustificate per l’età ed essere all’esordio (pare voluto proprio dalla Hamamah). Nel complesso, certamente merita una visione; Nomination Grand Prix a Cannes.
The Nightingale's Prayer (Henry
Barakat, 1959, Egy)
Melodramma popolare che a margine delle tormentate storie d'amore evidenzia il contrasto fra la moderna cultura cittadina influenzata dallo stile europeo e quella tradizionale, in questo caso beduina; la sceneggiatura è un adattamento di un romanzo dell’illustre letterato e politico Taha Hussein. Ben realizzato e interpretato, alterna scene di vita quotidiana in case borghesi a quella dei mercati e delle taverne con ballerine e veggenti, oppone l’onore della famiglia all’amore e alla vendetta. Candidato egiziano all’Oscar, Nomination Orso d’Oro a Berlino.
The Stoker (Aleksey Balabanov, 2010, Rus)
Dopo aver
guardato Brat e Brat 2, ho voluto guardare altri
due film del russo Balabanov; dei due questo è quello buono, senz’altro di
pari livello se non addirittura superiore ai Brat. Ciò che colpisce è la
scarsezza di dialoghi, con le lunghe carrellate e i silenzi dei protagonisti
sottolineati da un singolare commento sonoro, che o si apprezza o non si
sopporta; anche i pezzi moderni rock della colonna sonora si inseriscono alla
perfezione nel tutto. Buon ritmo, gran assortimento di personaggi, fra i quali
spiccano il fuochista (stoker) e il killer che non parla quasi mai. Il
fuoco è presente quasi in ogni scena, visto attraverso le bocche delle fornaci
alimentate dal protagonista o delle massicce stufe casalinghe. Il protagonista
e sua figlia sono di etnia yakuti, ma il regista ha chiarito che lui
voleva quell’attore, ma non per la sua razza e quindi non ci sono altri motivi
reconditi. La Yakutia è una enorme regione della Siberia settentrionale,
estesa 10 volte l’Italia ma con meno di 1 milione di abitanti, dei quali meno
della metà sono veri yakuti.
Dead Man's Bluff (Aleksey Balabanov, 2005, Rus)
Questo, quindi,
è quello che mi ha deluso, troppi morti, troppo sangue, troppo parlare a
vanvera, troppi killer non professionisti, storia debole e relativamente lenta.
Confermando il mio apprezzamento per gli altri 3 film di Balabanov già
visti, sia per il ritmo che per il modo di presentare personaggi e situazioni,
sempre con un curato sottofondo musicale (può piacere o meno, ma è certamente
originale), direi che questa visione ve la potete anche risparmiare. Sembra uno scadente tentativo di copiare Quentin Tarantino.
Dona Flor e Seus Dois Maridos (Bruno Barreto, 1976,
Bra)
Non mi convinse
a suo tempo e, dopo questa nuova visione a distanza di vari decenni, confermo
la prima impressione. Mi ha dato l’idea di essere troppo superficiale e
affrettato nel trattare i personaggi secondari che, ha quanto ho letto, hanno
invece grande importanza nel libro di Amado fornendo quindi un più preciso
ritratto dell’ambiente e dell’epoca; risulta sbilanciato a causa del
concentrarsi sulla sola protagonista (Dona Flor) tralasciando il contorno.
Troppe volte scade a livello caricaturale e, in generale, la recitazione lascia
molto a desiderare. Considerato che inizia con scena carnevalesca, mi ha fatto
tornare in mente un altro film brasiliano di gran lunga superiore, che
certamente consiglio: Orfeo Negro (1956, Marcel Camus,
Bra/Fra, Oscar miglior film straniero, Palma d’Oro a Cannes). Due note in
merito al regista … diresse questo film (il suo terzo lungometraggio) a soli 21
anni, ma è lecito pensare che la sua precoce carriera fosse dovuta al fatto di
essere figlio di due importanti produttori brasiliani e non merito delle sue
capacità.
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