martedì 28 settembre 2021

Micro-recensioni 266-270: 2 classici egiziani, 2 moderni pulp russi e un sovrastimato brasiliano

 
Gli egiziani sono di ottima qualità, specialmente se opportunamente inquadrati nella loro epoca e nella cultura sociale arabo-egiziana; i due russi sono entrambi diretti Aleksey Balabanov (regista di Brat aka Brother) con il suo classico stile e con protagonisti i consueti esagerati personaggi del mondo criminale, ma sono di livello ben diverso fra loro, essendo The Stoker di gran lunga superiore; infine, c’è l’adattamento del più famoso romanzo del brasiliano Jorge Amado, mal proposto sullo schermo eppure è il più conosciuto dei 5 ... ma non il più apprezzato dai cinefili.

 
The Blazing Sun (Youssef Chahine, 1954, Egy)

Bello e interessante questo film diretto dal più riverito regista della cinematografia egiziana classica, Youssef Chahine. Segna il debutto di Omar El Cherif, l’attore che sarebbe poi diventato internazionalmente noto come Omar Sharif. Esordì al fianco della star femminile dell’epoca, la già affermata Faten Hamamah (nota come The Lady of the Arabic Screen, all’epoca 23enne, ma già con oltre 50 film al suo attivo), indipendente e femminista nella vita e spesso anche sullo schermo, che sarebbe diventata (l’unica) sua moglie l’anno successivo. Anche se con un finale troppo melodrammatico, il film fornisce una bella descrizione della società agricola lungo le sponde del Nilo, con il ricco pascià che vive in uno splendido ed enorme palazzo, lo sceicco capovillaggio, il bey, l’effendi, con il potere gestito in modi illeciti e senza alcuno scrupolo … spettacolari gli esterni girati fra le imponenti rovine millenarie di Karnak (foto in basso). 

 
Oggettivamente, Omar Sharif deve il suo successo più al suo misterioso aspetto esotico che alle capacità di attore, anche se in questo film le sue carenze sono giustificate per l’età ed essere all’esordio (pare voluto proprio dalla Hamamah). Nel complesso, certamente merita una visione; Nomination Grand Prix a Cannes.

The Nightingale's Prayer (Henry Barakat, 1959, Egy)

Melodramma popolare che a margine delle tormentate storie d'amore evidenzia il contrasto fra la moderna cultura cittadina influenzata dallo stile europeo e quella tradizionale, in questo caso beduina; la sceneggiatura è un adattamento di un romanzo dell’illustre letterato e politico Taha HusseinBen realizzato e interpretato, alterna scene di vita quotidiana in case borghesi a quella dei mercati e delle taverne con ballerine e veggenti, oppone l’onore della famiglia all’amore e alla vendetta. Candidato egiziano all’Oscar, Nomination Orso d’Oro a Berlino.

  
The Stoker (Aleksey Balabanov, 2010, Rus)

Dopo aver guardato Brat e Brat 2, ho voluto guardare altri due film del russo Balabanov; dei due questo è quello buono, senz’altro di pari livello se non addirittura superiore ai Brat. Ciò che colpisce è la scarsezza di dialoghi, con le lunghe carrellate e i silenzi dei protagonisti sottolineati da un singolare commento sonoro, che o si apprezza o non si sopporta; anche i pezzi moderni rock della colonna sonora si inseriscono alla perfezione nel tutto. Buon ritmo, gran assortimento di personaggi, fra i quali spiccano il fuochista (stoker) e il killer che non parla quasi mai. Il fuoco è presente quasi in ogni scena, visto attraverso le bocche delle fornaci alimentate dal protagonista o delle massicce stufe casalinghe. Il protagonista e sua figlia sono di etnia yakuti, ma il regista ha chiarito che lui voleva quell’attore, ma non per la sua razza e quindi non ci sono altri motivi reconditi. La Yakutia è una enorme regione della Siberia settentrionale, estesa 10 volte l’Italia ma con meno di 1 milione di abitanti, dei quali meno della metà sono veri yakuti.

Dead Man's Bluff (Aleksey Balabanov, 2005, Rus)

Questo, quindi, è quello che mi ha deluso, troppi morti, troppo sangue, troppo parlare a vanvera, troppi killer non professionisti, storia debole e relativamente lenta. Confermando il mio apprezzamento per gli altri 3 film di Balabanov già visti, sia per il ritmo che per il modo di presentare personaggi e situazioni, sempre con un curato sottofondo musicale (può piacere o meno, ma è certamente originale), direi che questa visione ve la potete anche risparmiare. Sembra uno scadente tentativo di copiare Quentin Tarantino.

Dona Flor e Seus Dois Maridos (Bruno Barreto, 1976, Bra)

Non mi convinse a suo tempo e, dopo questa nuova visione a distanza di vari decenni, confermo la prima impressione. Mi ha dato l’idea di essere troppo superficiale e affrettato nel trattare i personaggi secondari che, ha quanto ho letto, hanno invece grande importanza nel libro di Amado fornendo quindi un più preciso ritratto dell’ambiente e dell’epoca; risulta sbilanciato a causa del concentrarsi sulla sola protagonista (Dona Flor) tralasciando il contorno. Troppe volte scade a livello caricaturale e, in generale, la recitazione lascia molto a desiderare. Considerato che inizia con scena carnevalesca, mi ha fatto tornare in mente un altro film brasiliano di gran lunga superiore, che certamente consiglio: Orfeo Negro (1956, Marcel Camus, Bra/Fra, Oscar miglior film straniero, Palma d’Oro a Cannes). Due note in merito al regista … diresse questo film (il suo terzo lungometraggio) a soli 21 anni, ma è lecito pensare che la sua precoce carriera fosse dovuta al fatto di essere figlio di due importanti produttori brasiliani e non merito delle sue capacità.

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