venerdì 24 settembre 2021

Micro-recensioni 261-265 - World Cinema: Francia, Australia, Giappone, Romania e Argentina

Assortimento molto vario di epoche, provenienza e generi per questa cinquina abbastanza interessante. Fra tutti spicca un documentario sperimentale (giudicato fra i migliori di sempre) seguito da un quasi-documentario australiano.

 

Sans Soleil
(Chris Marker, 1983, Fra)

Si tratta di un originale montaggio di immagini di repertorio, accompagnato da un testo letto da voce fuori campo sotto forma di lettere di un viaggiatore. Le immagini si riferiscono soprattutto al Giappone in un arco temporale che va dalla II Guerra Mondiale all’epoca contemporanea, ma c’è anche molto della Guinea Bissau (ex colonia portoghese in Africa) e pochi clip di Francia e Islanda. A partire da eventi specifici si discutono idee generali applicabili quasi in qualunque era e luogo, dai suicidi giapponesi durante la guerra alla lotta di Liberazione congiunta di Guinea e Capo Verde. 

Non si risparmiano critiche a singolari attività ricreative giapponesi tipiche degli anni ’80 come i balli takenokozoku e il Whack-a-Mole (video sopra) che consiste nel colpire in testa, con un martello di gomma, le talpe che sbucano dai buchi del tavolo; la variante proposta indicava specifiche cariche, dal direttore generale ai suoi vice, funzionari e capi del personale. La voce fuori campo sottolinea che si era spesso obbligati a sostituire il pupazzo che rappresentava il direttore generale a causa della veemenza con la quale veniva colpito. Documentario premiato a Berlino.

Charlie's Country (Rolf de Heer, 2013, Aus)

David Gulpilil, aborigeno protagonista e co-sceneggiatore insieme con il regista Rolf de Heer, è la star del film e, con la sua flemma e stretta logica, mette in evidenza tutti i controsensi della politica di derivazione colonialista nei confronti dei nativi. Per quanto diversa, la situazione è molto simile a quella degli americani, ufficialmente protetti e appoggiati ma in effetti relegati in determinate aree e destinatari di continui tentativi di occidentalizzazione per rendendoli schiavi del sistema economico vigente. Il film non manca di ironia e spesso i dialoghi fra Charlie e i poliziotti o altri “bianchi” tendono al paradosso e all’assurdo, quasi surreali. Non c’è nessun set e la maggior parte delle scene sono girate fra piste polverose e ambiente naturale. David Gulpilil, miglior attore a Cannes e Nomination Un Certain Regard per Rolf de Heer.

  
Bacalaureat (Cristian Mungiu, 2016, Rom)

Dramma familiare molto ben proposto, ma il vero tema (che porta lo scompiglio fra i protagonisti) è l’onestà, che viene continuamente messa in discussione da situazioni contingenti. Intendiamoci, nessuno è un criminale o lucra fra mazzette e ricatti ma si discute appunto del limite dell’innocuo e sincero favore che chi lo riceve vuole poi ricambiare. Ciò, paragonato alla corruzione dilagante che pare regni in Romania, è cosa da poco ma comunque fa riflettere. Considerazioni pertinenti e facilmente applicabili in quasi qualsiasi società che non sia perfetta. Ben diretto e interpretato, piacevole sorpresa. Miglior regia a Cannes e Nomination Palma d’Oro.

Tokio Sonata (Kiyoshi Kurosawa, 2008, Jap)

Il regista e co-sceneggiatore Kiyoshi Kurosawa, non imparentato in alcun modo con il ben più famoso Akira, include nella trama una serie pressoché irripetibile di eventi già di per sé insoliti affrontati dai vari soggetti in modo più o meno insulso. Chiunque potrebbe teoricamente trovarsi nelle varie situazioni proposte, ma è assolutamente impensabile che queste capitino tutte ai vari componenti della stessa famiglia nell'arco di poche ore, come succede verso la fine del film. Premio della Giuria a Cannes. Sostanzialmente deludente. Premio Un Certain Regard a Cannes.

Los guantes mágicos (Martín Rejtman, 2003, Arg)

Qualcuno parla bene di questa commedia, ma non è brillante, né grottesca; una serie di personaggi strani e depressi si incontrano, si associano, si danno consigli, ma sempre rimanendo nel campo dell’insulsaggine e ancor più spesso della depressione. La maggior parte di loro si scambiano notizie sui vari medicinali che assumono, talvolta uniti ad alcool, e a fantasiose terapie. Film sostanzialmente inutile, ancor più deludente in quanto il precedente lavoro del regista/sceneggiatore (Silvia Prieto, 1999) lasciava ben sperare, in quanto molto più arguto trattando di uno “scambio di vite” fra due giovani donne omonime, Silvia Prieto per l’appunto.

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