Comincio con quello più “sgradevole”, gli arroganti e scostumati, spesso incolti arricchiti (tuttavia miserabili) che “per moda” vanno in trattoria pretendendo di avere un servizio da ristorante, si comportano in dispregio di ogni basilare regola di seppur minima educazione, trattano il (ridottissimo) personale come se si stessero rivolgendo a degli schiavi e, se sono in gruppo, anche 4 bastano, sono inutilmente ed esageratamente rumorosi. Chiedono di cambiare posate più volte, piatti extra, centinaia di tovaglioli, doppi bicchieri, ecc. senza rendersi conto del fatto che molte di queste attività sono a gestione familiare e cucina, pulizia e servizio ricadono solo su tre persone, delle quali almeno due impegnate su più fronti.
Dopo aver terminato il pasto, anche se vedono gente in attesa, restano al tavolo a chiacchierare senza curarsi del fatto che trattorie e simili contano sul fatto di fare più turni e quindi non si possono permettere di avere i pochi tavoli occupati per ore intere. Infine, dopo essersi ben abbuffati pagando quattro soldi rispetto al loro standard abituale in ristorante, se ne vanno lamentandosi del servizio e lasciando (forse) una mancia, ovviamente da pezzenti (senza voler offendere i veri mendicanti), che anche nel caso di un conto per una decina di persone è inferiore a quanto pagano per un solo drink in un locale “ber bene”.
Questo
comportarsi da barbari (“tanto è una trattoria”) condiziona ovviamente la
cucina, il servizio, i costi e quindi i prezzi, la disponibilità del personale
e la tranquillità del locale, rendendo quindi molto meno piacevole il pranzo degli
altri avventori.
L’altro
problema è di genere completamente opposto e non sempre è negativo per i
gestori, ma lo è solo per i vecchi clienti, abituati ad un certo tipo di cucina
e di ambiente. Molte trattorie “storiche” si sono fatte un buon nome, sia per la
cucina che per l’ambiente familiare e genuino, proponendo piatti “poveri” che
spesso non si trovano facilmente nei menù, con porzioni relativamente
abbondanti e prezzi contenuti.
Un
po’ per la crisi e un po’ “per moda” questi locali, sia in città che in paesini
di campagna, nel corso degli ultimi anni hanno attirato l’attenzione non solo
di chi vuole risparmiare pur mangiando bene, ma anche di veri buongustai e di
persone alla ricerca di sapori antichi e genuini con l’ovvia conseguenza di
un’eccessiva notorietà che in alcuni casi continua ad aumentare in forma esponenziale
specialmente se i loro nomi finiscono su guide gastronomiche come “Osterie
d'Italia”, “Gambero rozzo” e simili.
Anche
evitando i barbari (che con un po’ di fermezza possono essere dissuasi) per i
gestori resta il problema di un cambio radicale nell’organizzazione:
si
deve produrre molto di più nella solita cucina di spazio limitato, i
piatti non sono sufficienti, così come le posate (specialmente se si cambiano), molti
richiedono il doppio bicchiere (altro spazio, altro lavoro), i
frigoriferi devono essere più grandi e separati, anche
le bevande occupano molto spazio in più per i vini imbottigliati, l’acqua, la
CocaCola (nelle sue varie versioni Light, Zero, ecc.) mentre una volta la
scelta era limitata a vino (dalla damigiana o dal barile) o acqua (dal
rubinetto) = zero costi di refrigerazione e poco spazio per lo stoccaggio.
Tutti
avrete notato che ormai molte nuove pseudo-trattorie hanno menù (e in più
lingue), camerieri con grembiuli o almeno “in divisa”, bicchieri a calice di
tutte le dimensioni, non propongono vino locale a quartini, mezzi o litri e
quello che più mi tiene lontano da questi falsi locali sono i piatti con
spigoli e quelli a cappello di prete rovesciato!
Infine,
c’è il problema - comune a tutto il settore della ristorazione - delle nuove
generazioni abituate al junk food e cresciuti a merendine confezionate e delle
allergie ed intolleranze alimentari sempre più frequenti (anche se penso che
molte siano vizi, visto che spesso le eventuali conseguenze sono solo un po' di
"pesantezza"). Come gli altri esercizi, anche le trattorie sono ormai
soggette a mille richieste di variazioni e/o "senza" (aglio, cipolla,
peperoni, formaggio, pepe o peperoncino, ecc.), ma questo argomento necessita di
post apposito.
Tutto
ciò ha comportato un drastico cambio di ambiente nel senso di perdita di
genuinità, notevoli rialzi dei prezzi, riduzione delle porzioni medie e
appiattimento dei sapori nonostante le fantasiose descrizioni dei piatti, quasi
da nouvelle cuisine.
due momenti dello stesso pasto (per una persona!) al Tunel de Alfama (maggio 2017)
nei 6,50 Euro era compreso anche pane, dolce e caffé ed il mezzo litro di vino
Per
mia precisa scelta rifuggo da questa nuova interpretazione dei termini trattoria e osteria e continuo a frequentare assiduamente e con soddisfazione quelle
più tendenti alle bettole (nel
miglior senso della parola) dove non esistono menù ma si propongono i “piatti
del giorno” (vedi foto di apertura, Tunel de Alfama, Lisbona) fra i quali c’è
sempre una minestra o zuppa come lenticchie
e scarole, màccu di favi, minestra maritata, pasta e cicerchie ... e si possono ancora trovare piatti veramente
tradizionali come frittura di mazzamma, braciole
di cotiche, cassoeula, trippa e
fagioli, dove i piatti sono scompagnati, si ha un solo bicchiere e le
posate non si cambiano.
Glossario
(da Treccani.it)
- trattorìa – Pubblico esercizio, con una o più sale, dove si possono consumare pasti completi; ha in genere tono più modesto rispetto al ristorante, ma spesso il nome di trattoria è assunto anche da ristoranti caratteristici di alto livello.
- osterìa – Nel passato, locanda dove si poteva mangiare e trovare alloggio. Oggi, locale pubblico, di tono modesto e popolare, con mescita di vini e spesso anche con servizio di trattoria.
- béttola – Osteria d’infimo ordine con spaccio e mescita di vino e talora con servizio di cucina; quasi sempre spregiativo.