giovedì 28 febbraio 2019

15° gruppo di 5 micro-recensioni 2019 (71-75)

Per questo gruppo non ho avuto dubbi nell’ordinare il film per preferenza, anche se avrei potuto concedere un pari merito ai primi due. In fondo al gruppo ci sono 2 classici americani degli anni '30 che, oltre a essere molto datati, si sono trovati in una "cinquina terribile"!

     


72  Lo specchio (Andrei Tarkovsky, URSS, 1975) tit. or. “Zerkalo” * con Margarita Terekhova, Filipp Yankovskiy, Ignat Daniltsev  * IMDb  8,10  RT 93% 
Film di Tarkovski che mi mancava, affascinante anche se certamente di difficile, difficilissima lettura, ma ha un suo proprio valore comunicativo diretto come una qualunque altra opera d’arte. Le scene si susseguono in modo volutamente disordinato in quanto rappresentano pensieri e ricordi di un uomo malato, che rivive mentalmente vari momenti della sua vita. Si alternano quindi luoghi, visioni e sogni, talvolta in bianco e nero, altre a colori, in interni e in esterni, con improvvisi colpi di vento, pioggia e fuoco (che mi sembra un tema ricorrente nei film di Tarkovski). Pregevoli i lentissimi movimenti di macchina, le riprese d’infilata e la gestione delle immagini riflesse. Più che buone le interpretazioni.
Lo stesso regista declama alcune sue poesie, non tutte di semplice interpretazione e/o da porre in relazione alle immagini proposte. Oltretutto, penso che ciò sia aggravato dal fatto - noto - che se la traduzione di testi “normali” è difficile, quella di versi è praticamente impossibile senza perdere qualcosa dello spirito originale. Magra consolazione può essere il fatto che non essendo del tutto connesse con le immagini, si può restare concentrati solo su queste ultime e apprezzarle nel migliore dei modi.
Un film imperdibile per chi ha il gusto dell’immagine e del cinema canonico seppur quasi sperimentale, incomprensibile e noioso per chi vuole solo azione, chiacchiere ed effetti speciali.
Ho letto un interessante aneddoto nel quale si riporta di una interminabile discussione fra critici che si scontravano sull’interpretazione del film volendo vedere simboli in ogni oggetto, animale e ripresa, alla fine interrotti da una donna addetta alle pulizia (che li sollecitava a terminare per poter procedere con il suo lavoro), avendo visto il film, più o meno disse: “Io l’ho capito, sono semplicemente i ricordi di un uomo morente va con la mente a vari momenti della sua vita, in modo disordinato come è normale”. I critici tacquero e se ne andarono.

73  Pájaros de verano (Cristina Gallego, Ciro Guerra, Col, 2018) tit. int. “Birds of Passage” * con Carmiña Martínez, José Acosta, Natalia Reyes  * IMDb  8,0  RT 93% * presentato al Festival Cannes (Quinzaine des Réalisateurs)
La coppia di cineasti colombiani (sia in campo professionale che di fatto) propone un'altra storia profondamente radicata nell'ambiente rurale colombiano dei nativi e mestizos. Dopo “La sombra del caminante” (2004), “Los viajes del viento” (2009) e il più famoso “El abrazo de la serpiente” (2015, candidato Oscar), diretti e scritti solo da Ciro Guerra e prodotti da Cristina Gallego, per questo quarto film hanno collaborato alla sceneggiatura e condiviso la regia.
La trama, basata su fatti reali e divisa in 5 Cantos, narra degli inizi del business della droga, proponendo gli sviluppi del commercio internazionale della marijuana e gli scontri (spesso cruenti) fra clan in cinque fasi, dal 1968 al 1980, poco prima dell’irruzione sulla scena internazionale del narcotraffico di Pablo Escobar, ormai famoso grazie a serie tv e film.
L’arrivo improvviso di fiumi di denaro in una comunità rurale sostanzialmente povera, legata ad antiche tradizioni, divisa in famiglie e clan, ebbe l’immediato effetto di mettere a nudo avidità prepotenza e sete di potere e aumentarle a dismisura, stravolgendo i rapporti fra i vari gruppi, facendo perdere il rispetto, l'onore, i valori sociali, e anche il buonsenso.
Non c’è modo di frenare questa escalation, chi ci prova viene ovviamente schiacciato, dai capi difendono i membri della loro famiglia anche quando si trovano dalla parte del torto.
Molti hanno voluto vedere nell’essenza di questa storia varie similitudini con la saga della famiglia Corleone narrata da Coppola nei vari Godfather (qui c’è un capofamiglia donna), ma a ben guardare si può dire che si tratta di una storia vecchia quanto il mondo ... gruppi che si alleano per reciproca convenienza, ma poi c’è sempre chi vuole acquisire il potere assoluto, eliminando senza scrupolo alcuno la parte avversaria.
La cosa che può sbalordire, ed è ben narrata, è il come possano adattarsi rapidamente credenze, riti e premonizioni alle necessità del business. Nel susseguirsi dei Cantos, si vedono traballanti e sconnesse capanne di legno tramutarsi in ricche ville simili a cattedrali nel deserto, gli uomini all’inizio armati di carabina e machete saranno ben presto forniti di Kalashnikov e anche bazooka, gli animali da soma sono prontamente sostituiti da fuoristrada 4x4 e  poi avionetas, insomma una evoluzione rapidissima che, oltre a costare molte vite umane, fa perdere agli indigeni la lor identità e la loro cultura. Significativi i titoli dei tre Cantos centrali: "Las tumbas - 1971", "La prosperidad - 1979", "La guerra - 1980".
La bellezza delle riprese di Ciro Guerra in ambiente naturale e spesso selvaggio sono cosa ormai nota così come il saggio utilizzo di attori indigeni non professionisti e dei tanti elementi tipici dell’antica cultura locale, dai vestiti, ai simboli, agli ornamenti, ai riti, alle feste, ai canti.
Sul versante opposto, viene anche ribadita la nota equivocità dei Peace Corps, ufficialmente “Agenzia pubblica che dipende dal Governo degli Stati Uniti d'America” nata durante la presidenza Kennedy che fra i suoi membri contava non solo veri volontari, ma hippy “figli dei fiori”, piccoli trafficanti, agit-prop e (più o meno ufficialmente) agenti CIA in incognito.
Un bel film che tuttavia lascia tanto amaro in bocca e anche una certa tristezza, nel vedere i danni irreparabili causati in pochi anni “dall’occidentalizzazione” a etnie, ambienti e culture secolari.

     

71  Rocco e i suoi fratelli (Luchino Visconti, Ita, 1960) * con Alain Delon, Renato Salvatori, Annie Girardot * IMDb  8,3  RT 92% * Premi Speciale della Giuria e FIPRESCI, Nomination Leone d’Oro a Venezia
Film del quale avevo sempre rimandato la visione, non essendo Visconti un regista che mi attiri in particolar modo. Non voglio certo negare le sue qualità, ma non apprezzo il suo stile.
In questo caso particolare, ci sono un paio di scelte che mi hanno lasciato perplesso e che lo allontanano molto dal neorealismo italiano, comunque giunto alla fine del suo percorso. In primis, il cast internazionale, con due personaggi principali interpretati da francesi (Annie Girardot e Alain Delon) e, subito dopo in ordine di importanza, una greca (Katina Paxinou) veste i panni del personaggio chiave della madre dei 5 fratelli (tutti lucani) lasciando il solo Renato Salvatori come rappresentante italiano. Non c'erano attrici/attori all'altezza o fu una questione imposta dalla produzione? In aggiunta a ciò, e parzialmente logica conseguenza, si ricorse a un doppiaggio “di massa”, quindi anche le voci di vari italiani che interpretavano personaggi provenienti dalle povere campagne lucane furono sostituite da quelle dei doppiatori. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, oltre all'ovvia mancata sincronia con il labiale si nota che la parlata tutt'è fuorché lucana, con frequenti "sc" che l’assimilano molto più un dialetto di centro Italia, comunque ridicolmente italianizzato.
In un film come questo, nel quale si sottolineano i contrasti nord/sud, progresso/arretratezza, ricchezza/povertà, sarebbe stato opportuno curare in modo migliore questo aspetto.
Fra gli interpreti principali spiccano Annie Girardot e Renato Salvatori (Alain Delon sembra sempre imbambolato, anche se in parte ciò è dovuto al suo personaggio), e fra i non protagonisti si contraddistingue Paolo Stoppa.
Sceneggiatura e dialoghi non si discutono, essendo frutto della collaborazione di tante “ottime penne” (Suso Cecchi D'Amico, Vasco Pratolini, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, Luchino Visconti, Enrico Medioli e Giovanni Testori), ma la messa in scena non mi è sembrata all’altezza.


75  It Happened One Night  (Frank Capra, USA, 1934) tit. it. “Accadde una notte” * con Clark Gable, Claudette Colbert, Walter Connolly * IMDb  8,1  RT 98% * 5 Oscar (miglior film, regia, Clark Gable e Claudette Colbert protagonisti, sceneggiatura) * 191° nella classifica IMDb dei migliori film di sempre
Con questo e prima con Grand Hotel ho messo mano a una serie di classici del cinema americano di molti decenni fa che non avevo mai visto, approfittando di una serie di dvd appena giunta in biblioteca.
C’è poco da dire, è una commedia quasi perfetta (per me la perfezione in questo campo non esiste) come tante altre di Capra (p.e. Arsenico e vecchi merletti, 1944). La ben congegnata storia, con tempi eccellenti e personaggi stravaganti, viene ben interpretata da tutto il reparto, sia i caratteristi che i 2 protagonisti che in questa occasione vinsero il loro unico Oscar della carriera (successivamente ottennero 2 Nomination a testa).
Commedia estremamente datata, tuttavia ancora più che piacevole per una visione spensierata.

74  Grand Hotel (Edmund Goulding, USA, 1932) * con Greta Garbo, John Barrymore, Joan Crawford * IMDb  7,5  RT 86% * Oscar come miglior film
Film di difficile definizione, quasi corale, con spunti da commedia, a tratti romantico, un po' thriller con un omicidio di mezzo, in effetti abbastanza triste per la varietà di personaggi che, pur alloggiando al Grand Hotel ed essendo invidiati per questo, hanno tanti problemi e la piacevolezza della loro vita è solo di facciata.
Non mi ha convinto molto e non ho inteso la necessità dell’ambientazione nella Berlino fra le 2 guerre visto che la trama propone storie (quasi tragedie umane) che potevano essere ambientate in un qualunque altro posto nel mondo, come viene sottolineato fra le righe alla fine del film. Certamente le ragioni ci saranno state e la miglior lettura penso sia quella della critica di costume, focalizzata su tutte le miserie che si scoprono dietro una facciata di opulenza.
Vale certamente una visione, ma non aspettatevi troppo. 

IMPORTANTE: vi ricordo che dal 2 aprile il mio GOOGLE+ sarà chiuso e che, di conseguenza, le raccolte degli anni 2016-2018 non saranno più accessibili. Tutte le 1.300 micro-recensioni sono ora organizzate in 26 pagine del mio sito www.giovis.com e facilmente rintracciabili grazie all’indice generaleIn detta pagina potrete effettuare ricerche per titolo, regista, interpreti principali, anno e paese di produzione e, utilizzando i link e i numeri d’ordine, giungere rapidamente a quella che vi interessa.

martedì 26 febbraio 2019

VAGRANT TRAIL: buone nuove per i titubanti ... 45km vi vanno bene?

Premessa: considerato che non tutti avranno letto l’integrazione/chiarimento al post precedente, ribadisco che i 58 km si riferivano all'ipotesi più lunga, quella certa, con la salita al 300 via Punta d'Aglio e S. Maria dei Monti, mentre lo schizzo del tracciato mostrava l'itinerario che già allora speravo di poter realizzare, con ascesa via Lama dei Gatti. 
Dopo due lunghe conversazioni con il massimo esperto della “sentieristica amalfitana”, dai territori a monte di Agerola a quelli verso Chiunzi, siamo giunti alla conclusione che l’ipotesi Lama dei Gatti, sentiero poco conosciuto ma interessante, sia quella più appetibile. 
Matteo (FREE Amalfi) mi ha menzionato e descritto varie piccole deviazioni possibili lungo la salita da Fic’’a Noce verso Monte Rotondo che, anche nel caso di ostacoli un po’ più consistenti,  ci permetterebbero di raggiungere la sella a quota 1.018 senza troppi problemi e senza dover aggiungere chilometri e meno che mai salita. Comunque, abbiamo anche ipotizzato altri possibili itinerari più o meno conosciuti per la parte iniziale di questa edizione della Vagrant, con possibili passaggi per Acquolella, Pontichito, Cantorate, Colle Sproviere, ecc.
Inoltre, abbiamo approfondito la questione del passaggio Crocella - Capo Muro e siamo sicuri di poter passare dal 329d al 329a risparmiando varie centinaia di metri ed evitando inutili dislivelli. I due sentieri CAI  si trovano a meno di 200m di distanza in linea d’aria e una trentina di anni fa (come si evince dalla aerofotogrammetria base qui sotto) buona parte del sentiero procedeva in quota e non c’era certo bisogno dell’impennata verso il Canino e la successiva ripida discesa (circa 100m di dislivello) dell’attuale sentiero CAI 327a. In occasione della MaraTrail di Agerola del 9 settembre 2012, proprio per evitare il suddetto tratto, pur non riuscendo ad individuare il sentiero in quota, trovammo il modo di passare a valle in modo non ideale, ma comunque molto più conveniente.
Ovviamente, prevediamo di effettuare sopralluoghi percorrendo i suddetti sentieri ad aprile o comunque prima della metà di maggio.
Il resto dell’intero percorso al momento non presenta particolare problematiche e così ho potuto calcolare distanze parziali e dislivelli in funzione della scelta Lama dei Gatti, del percorso “medio” da Crocella verso Capo Muro e di un percorso ideale verso Punta Campanella, fermo restando che specialmente in area massese-sorrentina potremo scegliere fra un'infinità di itinerari senza eccessivi allungamenti. Ho quindi disegnato i relativi profili semplificati, che non tengono conto di tratti ondulati non significativi. Pertanto, ai dislivelli in più casi si dovranno aggiungere metri, ma almeno si può già sapere a che punto del percorso si incontrano le salite e avere un’idea di lunghezza e pendenza media.

Per ora, ho disegnato i due tratti principali, per puro caso quasi di identica lunghezza: circa 20km. Il primo si riferisce al percorso da Pogerola (partenza) a S. Maria del Castello (cena) di sabato 18; il secondo a quello da  Monte Comune  (margine ovest, luogo di pernottamento) a Fossa Papa (pranzo) di domenica 19. Per la continuità e per rimanere nello spirito della Vagrant, a questi 40km si dovranno aggiungere i 2,4km (la vera salita è di poco più di 1km, per 220 m di dislivello) che percorreremo dopo cena, al chiar di luna, da S. Maria del Castello a Monte Comune e i 2,3km da Fossa Papa a Termini per un totale di poco meno di 45km.

Nel primo pomeriggio si arriva quindi a Termini e chi non vorrà percorre gli 8km fino a Sorrento (che porterebbero a 53 il totale da Pogerola), potrà facilmente farsi recuperare da qualcuno, servirsi del trasporto pubblico SITA o dirigersi verso le proprie abitazioni (per chi vive in zona). In effetti, come per le precedenti edizioni, il tratto Termini-Sorrento è inserito solo per consentire ai camminatori che si muovono con mezzi pubblici di raggiungere la stazione circumvesuviana, il porto, il terminal SITA per Amalfi.

In un prossimo post fornirò informazioni in merito al pernottamento, ai trasporti, ai punti più convenienti per aggregarsi ai camminati lungo il percorso e alla imprescindibile parte gastronomica.

lunedì 25 febbraio 2019

Lo spirito degli irriducibili veri orientisti epicurei ... sempre "in cerca di guai"

Ansiosi di crearci grattacapi, torniamo all'Orienteering di alto livello.
Dopo 4 anni di lontananza da gare impegnative di orientamento, torniamo a metterci in gioco senza troppi patemi d'animo, tuttavia seriamente e con impegno, con il vero spirito dell'orientista non di prima fascia. Il mio collega semielvetico ed io ormai mezzo canario, ci ritroveremo in Portogallo per il POM (Portugal Orienteering Meeting), che da 18 anni è la prima competizione europea importante della stagione visto che quasi tutto il resto del continente soffre ancora di temperature basse e molti terreni sono coperti di neve o sono campi di fango. Per questo sono sempre presenti varie selezioni nazionali e anche tanti atleti élite in quanto la terza della 4 gare è valida per il ranking mondiale. 
Non essendo più tesserati in Italia, correremo come FREE (Free Ramblers, Escursionisti Epicurei) il nostro gruppo di camminatori (virtuale e virtuoso) che non ha patria né confini.
    
Quest’anno ci ritroveremo con altri 2.400 orientisti provenienti da 31 paesi (inclusi alcuni di oltreoceano) diversi a Figueira da Foz, presso la foce del Mondego, a 50km dalla storica città di Coimbra, per competere nelle pinete costiere pochi km più a nord. Queste fanno parte della fascia quasi ininterrotta di centinaia di km di foreste che coprono le dune sabbiose fino a pochi metri dall’Oceano Atlantico. Per chi partecipa alle gare i problemi principali sono costituiti dalla visibilità spesso limitata dal sottobosco (foto sopra a destra), che impedisce una immediata lettura dei microrilievi, e dalla grande quantità di elementi simili. Per esempio, nei seguenti due stralci di mappe (equidistanza 2,5m) le linee tratteggiate - ausiliarie - indicano dislivelli di 1,25m, difficili da valutare in mezzo ai cespugli e ai tanti "cocuzzoli" di simile altezza rappresentati dai punti marrone. In pratica, chi non è bravo e abituato a tale tipo di terreno può essere certo che avrà problemi di navigazione.

   
Personalmente, anche quando gareggiavo 25-30 volte per anno, ho sempre avuto difficoltà su questo tipo di carte e con l'equidistanza 2,5m, ma una delle peculiarità degli orientisti è proprio quella di tornare a gareggiare nei terreni nei quali si sono avuti più problemi, per avere poi la soddisfazione di riuscire a portare a termine una prova degna ... una vera e propria doppia sfida, alla cartina e a sé stessi. Non è raro sentire dire “ho un conto in sospeso" con un certo posto, nel senso di volersi togliere gli schiaffi da faccia” o una pietra dalla scarpa”, ma non sempre ci si riesce al primo tentativo. Fra i terreni che più attirano i “testardi” ci sono quelli carsici della Slovenia, con le loro centinaia di depressioni di ogni dimensione e migliaia di rocce che fanno venire il mal di testa solo a guardare le carte (vedi esempi in basso, mappa e boschi). 

Ci si torna per rimettersi in gioco, fare nuovi errori, poi autocriticarsi fino a insultarsi, ma in fondo prendendosela allegramente. Il dopogara spesso si risolve nel confrontare gli sbagli con gli amici/avversari, prendersi in giro a vicenda, “vantarsi” delle proprie bestialità e poi finire a mangiare e bere tutti insieme ... domani chi riuscirà a far peggio?
   

Nessuno è immune da errori, ma i campioni li misurano in secondi e quelli della seconda parte della classifica in minuti o decine di minuti persi a pascolare (gergo per "girare a vuoto senza essere certi della propria posizione"), sempre che non si vada inavvertitamente fuori carta e lì sono dolori. Molte volte i problemi sorgono per l'assenza di forme evidenti ed inequivocabili o per l'abbondanza di elementi simili e quanto più difficili sono carte, terreni e percorsi, tanto maggiore sarà la soddisfazione se si riesce ad ottenere un buon risultato (per il proprio livello, non in assoluto). Agli orientisti "seri" piace affrontare sfide impegnative pur sapendo già in partenza che alla fine si dovrà fare un mea culpa in quanto, a differenza di tanti altri sport, le scuse da accampare, se esistono, sono pochissime. 
Se vari anni fa ci difendevamo più o meno degnamente, dopo questa lunga sosta il rientro si prevede impegnativo, non solo sotto l'aspetto atletico ma anche, e forse soprattutto, per quello tecnico. Persa l’abitudine a leggere e interpretare velocemente cartine per niente semplici, il rischio di “perdersi” aumenta e chi si "perde" (nel senso che non sa dove si trovi esattamente) è "perduto" (cioè rischia di pascolare per molti minuti). Dovremo certamente abbassare l'asticella, ma l'importante è mettersi in gioco e divertirsi. E in quanto a ciò contiamo sui nostri amici lusitani che, come noi, dopo le gare non disdegnano abbondanti mangiate a base di leitão, bacalhau, jaquezinhos, secreto, carapaus, ecc. annaffiate da buon vino portoghese. 
io, o Dionisio, o Antonio e o José, sul "terrazzino" al lato del Sentiero degli Dei
Le peregrinazioni gastronomiche continueranno poi a Lisbona con le immancabili soste al Tunel de Alfama e O Cantinho de José, dove si aggregheranno altri "colleghi", alcuni dei quali nel 2010 vennero a partecipare al Trek Amalfi - Capri (foto sopra, tante altre nel link), 105km con 5.000m di dislivello in 5 giorni.

venerdì 22 febbraio 2019

14° gruppo di 5 micro-recensioni 2019 (66-70)

Per questo gruppo non ho avuto dubbi nell’ordinare il film per preferenza, anche se avrei potuto concedere un pari merito ai primi due. Fra le tante strane coincidenze che non mi stanco di notare, c’è quella di situazioni ricorrenti di bambini più o meno abbandonati , 3 su 4 nelle visioni 65-68, tutti film più che buoni:
65 Tsotsi (lattante trovato in auto e temporaneamente “adottato” )
66 Cafarnao (bambino fuggito di casa che si prende cura di un poppante)
68 Record of a Tenement Gentleman (bambino abbandonato dal padre)
Ecco le 5 nuove recensioni:
        

68  Record of a Tenement Gentleman (Yasujirô Ozu, Jap, 1947) 
tit. or. “Nagaya shinshiroku”; tit. it. (tv) “Note di un inquilino galantuomo”  
con Chôko Iida, Hôhi Aoki, Eitarô Ozawa * IMDb  7,9  RT 100%
Film poco conosciuto di Ozu, il suo primo del dopoguerra dopo 5 anni di sosta forzata, l’ultimo era stato Chichi ariki (C’era un padre, 1942), con Chishû Ryû (1906-1993, 243 film in carriera) come protagonista. Anche in questo film, seppur in un ruolo secondario, compare questo eccellente attore che sarebbe poi stato protagonista di tanti altri film di Ozu degli anni ’50, fra i quali il famosissimo Tokio Monogatari, che si trova nella parte alta di quasi tutte le classifiche dei migliori film di tutti i tempi.
Seppur classificato come dramma, Record of a Tenement Gentleman è invece una commedia drammatica leggera con finale commovente, con una splendida descrizione per immagini dei due personaggi principali: una vedova un po’ scorbutica e un ragazzino abbandonato (forse) dal padre. L’arrivo del bambino nella piccola comunità crea scompiglio in quanto tutti lo vogliono aiutare, ma nessuno è disposto a prendersene cura personalmente. Le scene della donna che tenta di “liberarsi” del ragazzo che la segue a pochi passi di distanza come un randagio che ha scelto il suo padrone sono eccezionali grazie anche all’atteggiamento placido ma deciso del bambino paffuto che non parla quasi mai, con uno strano cappellino in testa e con le mani in tasca. Anche la scena della “riunione di condominio” che termina con una improvvisata esibizione canora al ritmo di chopstick è memorabile.
Ovviamente, non mancano i panni stesi (in questo caso significativi) e tanti tatami shots, le riprese dal basso in interni, un vero marchio di fabbrica di Ozu.
Un eccellente piccolo film (nel senso che è prodotto con molto poco e dura appena 71 minuti) che non a caso è stato restaurato e inserito dalla Criterion Collection.

66  Capharnaüm (Nadine Labaki, Libano, 2018) tit. it. “Cafarnao”  
con Zain Al Rafeea, Yordanos Shiferaw, Boluwatife Treasure Bankole  
Nomination Oscar miglior film in lingua non inglese  *  3 Premi (fra i quali quello della giuria) e Nomination Palma d’Oro a Cannes per Nadine Labaki * IMDb  7,3  RT 81%
Quarta regia di Nadine Labaki, che si fece conoscere una dozzina di anni fa con il suo film d’esordio Cararamel (2007), conta una decina di interpretazioni come attrice (in questo è l’avvocato). Film dichiaratamente social-politico nel quale ai temi femministi già trattati dalla regista (personalmente impegnata in politica) si aggiungono quelli dell’infanzia abbandonata e maltrattata, il traffico di esseri umani, spose bambine e migranti.
Non ci vuole molto a immaginare la drammaticità della trama e che ovviamente non può approfondire molto data la varietà e la complessità dei temi trattati, ma riesce comunque a mettere in relazione fra loro molti di essi.
Ottima l'interpretazione del protagonista Zain Al Rafeea e anche di Boluwatife Treasure Bankole (anche se, avendo pressappoco un anno, molto merito deve essere ascritto a chi ne aveva cura). Quest'ultima (una bambina anche se nel film interpreta Yonas, un bambino) è nata in Libano, ma poi espulsa e mandata in Kenya con la madre; Yordanos Shiferaw, che nel film interpreta sua madre, è eritrea e fu effettivamente arrestata nel bel mezzo delle riprese e ci vollero 2 settimane prima di ottenerne il rilascio; Zain è un rifugiato siriano. 
La sceneggiatura è senz'altro apprezzabile per il modo in cui riesce a combinare tanti argomenti scottanti e, pur proponendo storie e situazioni "esemplificative",  a non eccedere né in buonismo né in violenza ... direi è abbastanza bilanciato. La conclusione vagamente ottimista stona un po', ma sperare in un mondo migliore non costa niente e quindi vale la pena farlo.
Ho trovato talvolta eccessivo l’uso della steadicam associato a un montaggio troppo rapido, che dà sì una buona idea di agitazione e caos, ma non concede abbastanza tempo agli spettatori di apprezzare le reazioni dei tanti personaggi coinvolti. Le riprese a spalla sono comunque le più utilizzate nel film, intervallate da pochi sguardi sulla città mediante belle e significative riprese, alcune delle quali da drone (che ricordano molto quelle di Slumdog Millionaire).
Film senz'altro consigliato, ma i più sensibili si preparino ad uscire dalla sala o con fazzoletti inzuppati di lacrime e/o indignati e con un diavolo per capello.
In ogni caso, l'ho trovato senza dubbio migliore dell'altro suo concorrente finora visto: Shoplifters di Hirokazu Koreeda (gli fu preferito per la Palma d'Oro a Cannes e tratta argomento molto simile, la sopravvivenza degli invisibili).
Considerazione: nel caso in cui Roma dovesse vincere l'Oscar come miglior film, non mi meraviglierei se, dati i temi trattati e la comunque più che buona qualità del film, oltretutto diretto da una donna (una delle poche candidate di quest'anno), a Cafarnao fosse assegnato quello come miglior film non in lingua inglese ... pur essendo un evidente controsenso. 

     


67  Woman of the Lake (Yoshishige Yoshida, Jap, 1966) tit. it. “Onna no mizûmi” * con Mariko Okada, Shigeru Tsuyuguchi, Tamotsu Hayakawa * IMDb  7,4  RT 90%p
Ottima la prima ora, poi Yoshida si perde per qualche decina di minuti nelle lunghe scene su una spiaggia con dei relitti mentre si gira un film e infine si riprende per la conclusione.
I soliti apprezzatissimi sezionamenti dell’inquadratura, bianco e nero spesso molto contrasto, sempre brava Mariko Okada. Ottima la fotografia grazie anche alle sapienti scelte dei punti di ripresa, mai casuali o banali.
La bellezza delle immagini, tuttavia, non compensa totalmente la debolezza della trama che si sviluppa fra tradimenti, amanti e ricatti, con tutti i protagonisti che si comportano in maniere che appaiono un po’ insensate.
Yoshishige Yoshida (aka Kiju Yoshida) è senz’altro uno dei più rappresentativi registi della nouvelle vague giapponese, purtroppo poco conosciuti per mancanza di adeguata distribuzione. Fatto un rapido controllo, ho visto che pochissimi suoi film sono giunti in Europa, se non in Francia e uno o due altri paesi a turno. Finora ho guardato 7 suoi film e nessuno di essi mi ha deluso e certamente un paio mi hanno entusiasmato.
Visione consigliata, ma sappiate che il regista ha fatto di meglio.


70  Persepolis  (Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud, Fra, 2007) * animazione * IMDb  8,1  RT 96% * Nomination Oscar; 2 Premi e 2 Nomination a Cannes
Dopo molte titubanze, mi sono deciso a guardare Persepolis. L’ho trovato interessante dal punto di vista grafico per esprimersi con poche decise linee e disegni molto contrastati, quasi privi di grigi, anche se poco vario e spesso minimalista. Al contrario, la protagonista (la stessa regista trattandosi di storia autobiografica) mi è apparsa insopportabile, pur avendo più volte ragione non ispira nessuna simpatia per i suoi atteggiamenti arroganti, di sfida, esageratamente ribelli e chiaramente controproducenti se non addirittura pericolosi per lei e per gli altri.
Perfetto esempio di eterna insoddisfatta, esatto contrario della da lei adorata nonna che riesce ad adattarsi alle situazioni contingenti senza troppe rinunce e vive certamente in modo più sereno. Chissà se veramente nella vita reale è ancora così o, dopo il successo, si è data una calmata.
I doppiaggi nelle varie lingue sono stati affidati ad attrici e attori di primo livello come per esempio vari Catherine Deneuve, Gena Rowlands, Chiara Mastroianni, Sean Penn, ...
Secondo me sopravvalutato, sono convinto che i giudizi siano stati molto condizionati dall’argomento trattato.

69  Always Outnumbered  (Michael Apted, USA, 1998) tit. it. “Vite difficili” * con Laurence Fishburne, Daniel Williams, Bill Cobbs * IMDb  7,3  RT 81%
Film “inutile”, con tante buone intenzioni morali, ma inconcludente. Mette insieme storie diverse, che tuttavia non riesce né ad amalgamare, né ad analizzare a dovere, né a concludere effettivamente. Le scene che (nelle intenzioni) dovrebbero avere più presa sul pubblico sono troppo artefatte, poco credibili.
Pur contando su un discreto cast, Michael Apted non riesce ad andare al di là della contrapposizione fra quelli “in fondo buoni” e i violenti a tutti i costi. Ne potete fare senz’altro a meno.

IMPORTANTE: vi ricordo che dal 2 aprile il mio GOOGLE+ sarà chiuso e che, di conseguenza, le raccolte degli anni 2016-2018 non saranno più accessibili. Tutte le 1.300 micro-recensioni sono ora organizzate in 26 pagine del mio sito www.giovis.com e facilmente rintracciabili grazie all’indice generaleIn detta pagina potrete effettuare ricerche per titolo, regista, interpreti principali, anno e paese di produzione e, utilizzando i link e i numeri d’ordine, giungere rapidamente a quella che vi interessa.

martedì 19 febbraio 2019

Capharnaüm (Nadine Labaki, Libano, 2018) tit. it. “Cafarnao”

66  Capharnaüm (Nadine Labaki, Libano, 2018) tit. it. “Cafarnao” 
con Zain Al Rafeea, Yordanos Shiferaw, Boluwatife Treasure Bankole  
Nomination Oscar miglior film in lingua non inglese  *  3 Premi (fra i quali quello della giuria) e Nomination Palma d’Oro a Cannes per Nadine Labaki * IMDb  7,3  RT 81%


Quarta regia di Nadine Labaki, che si fece conoscere una dozzina di anni fa con il suo film d’esordio Cararamel (2007), conta una decina di interpretazioni come attrice. Film dichiaratamente social-politico nel quale ai temi femministi già trattati dalla regista (personalmente impegnata in politica) si aggiungono quelli dell’infanzia abbandonata e maltrattata, il traffico di esseri umani, spose bambine e migranti.
Non ci vuole molto a immaginare la drammaticità della trama e che ovviamente non può approfondire molto data la varietà e la complessità dei temi trattati, ma riesce comunque a mettere in relazione fra loro molti di essi.
Ottima l'interpretazione del protagonista Zain Al Rafeea e anche di Boluwatife Treasure Bankole (anche se, avendo pressappoco un anno, molto merito deve essere ascritto a chi ne aveva cura). Quest'ultima (una bambina anche se nel film interpreta Yonas, un bambino) è nata in Libano, ma poi espulsa e mandata in Kenya con la madre; Yordanos Shiferawche nel film interpreta sua madre, è eritrea e fu effettivamente arrestata nel bel mezzo delle riprese e ci vollero 2 settimane prima di ottenerne il rilascio; Zain è un rifugiato siriano. 
Boluwatife Treasure Bankole Zain Al Rafeea
La sceneggiatura è senz'altro apprezzabile per il modo in cui riesce a combinare tanti argomenti scottanti e, pur proponendo storie e situazioni "esemplificative",  a non eccedere né in buonismo né in violenza ... direi è abbastanza bilanciato. La conclusione vagamente ottimista stona un po', ma sperare in un mondo migliore non costa niente e quindi vale la pena farlo.
Ho trovato talvolta eccessivo l’uso della steadicam associato a un montaggio troppo rapido, che dà sì una buona idea di agitazione e caos, ma non concede abbastanza tempo agli spettatori di apprezzare le reazioni dei tanti personaggi coinvolti. Le riprese a spalla sono comunque le più utilizzate nel film, intervallate da pochi sguardi sulla città mediante belle e significative riprese, alcune delle quali da drone (che ricordano molto quelle di Slumdog Millionaire).
Film senz'altro consigliato, ma i più sensibili si preparino ad uscire dalla sala o con fazzoletti inzuppati di lacrime e/o indignati e con un diavolo per capello. 

Considerazione: nel caso in cui Roma dovesse vincere l'Oscar come miglior film, non mi meraviglierei se, dati i temi trattati e la comunque più che buona qualità del film (oltretutto diretto da una donna, una delle poche candidate), a Cafarnao fosse assegnato quello come miglior film non in lingua inglese ... pur essendo un controsenso. 
In ogni caso, l'ho trovato senza dubbio migliore dell'altro suo concorrente finora visto: Shoplifters di Hirokazu Koreeda (gli fu preferito per la Palma d'Oro a Cannes). 

lunedì 18 febbraio 2019

13° gruppo di 5 micro-recensioni 2019 (61-65)

Senza dubbio il migliore in questo gruppo è il giapponese After the Rain, seguito (più per l’originalità che per qualità assoluta) dal sudafricano Tsotsi, vincitore dell’Oscar 2006 fra i film non in lingua inglese, e poi dagli ultimi 3 film della mia serie di Allen, due dei quali apprezzati un po’ più dei precedenti. 
   


64  After the Rain (Takashi Koizumi, Jap, 1999) tit. it. “Quando cessa la pioggia”, tit. or. “Ame Agaru” * con Akira Terao, Yoshiko Miyazaki, Shirô Mifune * IMDb  7,5  RT 100% * Premio a Venezia, proposto dal Giappone per l’Oscar miglior film in lingua non inglese
Film poco conosciuto, “quasi” di Kurosawa. Proprio così, il grande regista giapponese è l’autore della sceneggiatura (basata su un racconto di Shûgorô Yamamoto) ed aveva anche già pressoché completato il piano delle riprese quando morì. Ci volle un po’ di tempo prima di trovare nuovi produttori che sostituissero quelli che si erano tirati indietro essendo venuto a mancare Kurosawa, e infine fu deciso di affidare la regia Takashi Koizumi che era sì al suo esordio, ma vantava una collaborazione quasi trentennale con il maestro e quindi avrebbe potuto interpretare al meglio quelle che erano le sue idee. Koizumi è stato aiuto regista degli ultimi 5 film di Kurosawa: Kagemusha (1980), Ran (1985), Sogni (1990), Rapsodia in agosto (1991) e Maadadayo (1993). Ulteriore elemento di continuità è rappresentato dalla presenza nel cast di Shirô Mifune (figlio del ben più famoso Toshirô) in un ruolo principale quale quello del signorotto locale Shigeaki.
Venendo al film vero e proprio, mi è sembrato un gioiellino, con un ronin generoso, sereno e “pacifista”, che interpreta il vero spirito delle arti marziali: combattere solo in caso di estrema necessità e soprattutto per aiutare i più deboli e per sanare ingiustizie. In questo è moralmente sostenuto dalla moglie che lo accompagna nel viaggio che, loro malgrado, devono sospendere a causa delle forti piogge che hanno reso impossibile il guado di un fiume. Molto belle le scene esterne, ma la descrizione del molto variegato gruppo di viaggiatori e trasportatori che come loro hanno trovato riparo nella locanda che li ospita e riprese nel castello di Shigeaki non sono da meno. Per pura pignoleria, devo dire che ho trovato fuori luogo (in quanto inutile) l’eccessiva illuminazione degli interni della locanda.
Raccomandato ... se vi accontentate, lo trovate su YouTube in HD 720p in v.o. con sottotitoli in inglese. 

65  Tsotsi (Gavin Hood, ZAF, 2005) tit. it. “Il suo nome è Tsotsi” * con Presley Chweneyagae, Mothusi Magano, Israel Makoe, Zola * IMDb  7,3  RT 88% * Oscar miglior film in lingua non inglese (per il Sudafrica)
Il protagonista Tsotsi è a capo di una piccola gang di 4 giovani delinquenti abbastanza fuori di testa, che vivono in una baraccopoli di Soweto (periferia di Johannesburg, Sudafrica). Oltre ad avere “accese discussioni” fra loro, vanno a compiere quotidiane azioni criminose in città e una di queste avrà ripercussioni sostanziali sugli atteggiamenti di Tsotsi e conseguenze anche sui suoi accoliti.
Gavin Hood mostra un mondo sconosciuto ai più, con due realtà sociali completamente diverse (la moderna, produttiva e funzionale vs il ghetto di gente di colore) divise da campi incolti dove trovano rifugio e sopravvivono giovanissimi soli, probabilmente destinati ad una carriera criminale .. se sopravvivono. Allo stesso tempo, mette in risalto l’umanità di tanti personaggi che cercano di divere dignitosamente e onestamente nonostante l’ambiente violento, povero, senza acqua corrente e senza elettricità.
La colonna sonora in stile Indestructible Beat of Soweto è quasi tutta a carico di Zola (musicista, poeta e attore) che nel film interpreta Fela, che sfoggia vestiti costosi e un’auto di lusso e quindi sembra l’unico ad avere soldi e successo in quell’ambiente.
Tsotsi non mi ha convinto del tutto e senza dubbio tante scene sono evidentemente artificiose, ma la struttura della sceneggiatura è più che buona e le interpretazioni credibili. Ancora una volta, il cinema è veicolo di cultura, nel senso che consente di dare uno sguardo su realtà delle quali sappiamo poco o niente, anche se ciò che si vede non può essere certamente generalizzato, né preso per oro colato.
Interessante visione, anche per la buona e originale fotografia.
      

61  Zelig (Woody Allen, USA, 1983) * con Woody Allen, Mia Farrow, Patrick Horgan * IMDb  7,8  RT 100% * 2 Nomination Oscar (fotografia e costumi)
63  Shadows and Fog (Woody Allen, USA, 1991) tit. it. “Ombre e nebbia” * con Woody Allen, Mia Farrow, Michael Kirby * IMDb  6,7  RT 48%
62  Broadway Danny Rose (Woody Allen, USA, 1984) * con Woody Allen, Mia Farrow, Nick Apollo Forte * IMDb  7,5  RT 100% * 2 Nomination Oscar (regia e sceneggiatura)
Commento cumulativo. Della notevole (certamente per quantità, non sempre per qualità) produzione di Woody Allen mi mancavano numerosi film e di recente ho provveduto a recuperarne vari , approfittando di una serie monografica di dvd a lui dedicata.
Fra questi ultimi tre visti, la preferenza va senz’altro a Zelig per il modo nel quale presenta una fake story, altro che le fake news dei nostri giorni. Tutti i suoi meriti risiedono nell'originalità dell’idea e nel modo in cui è proposta, in stile documentaristico con tanti finti notiziari d'epoca e riprese e foto del periodo fra le due guerre alle quali furono poi aggiunti, inseriti o sovrapposti Allen e a volte anche Mia Farrow. Tali operazioni richiesero tanto che nel frattempo Allen completò le riprese di A Midsummer Night's Sex Comedy e Broadway Danny Rose.
Tutto il film è in bianco e nero, ma c'è (volutamente) una netta differenza fra le immagini "pubbliche" (stile newsreel) e quella "private", che includo quelle psichiatriche. Per dare maggior autenticità, per le riprese furono utilizzati attrezzature d’epoca.
Shadows and Fog ha il solo merito di alcune buone scene esterne (fra ombre e nebbia, come appunto recita il titolo) e alcuni aspetti quasi kafkiani del soggetto che lasciano interdetto il povero protagonista. Altri aspetti e l’inutile abbondanza di bravi attori (Malcovich, Pleasance, Foster, Tomlin e perfino Madonna che attrice non è) non giovano più di tanto alla qualità complessiva.
Infine la trama di Broadway Danny Rose mi è sembrata assolutamente pretestuosa, poco plausibile e piena di stereotipi senza neanche riuscire ad essere divertente.
Dal mio (noto) punto di vista, dico che troppo spesso ciò che c’è di meritevole nella sceneggiatura (alcune idee e battute sono più che buone) viene puntualmente buttato alle ortiche dallo stesso Allen che si ostina a voler essere protagonista e non riesce a cambiare minimamente (o almeno a ridurre) i suoi balbettii né il suo frenetico e insulso gesticolare, riproponendo sostanzialmente sempre lo stesso tipo di personaggio più o meno insicuro e paranoico.
Molti non saranno d’accordo, ma io la penso così.

IMPORTANTE: vi ricordo che dal 2 aprile il mio GOOGLE+ sarà chiuso e che, di conseguenza, le raccolte degli anni 2016-2018 non saranno più accessibili. Tutte le 1.300 micro-recensioni sono ora organizzate in 26 pagine del mio sito www.giovis.com e facilmente rintracciabili grazie all’indice generaleIn detta pagina potrete effettuare ricerche per titolo, regista, interpreti principali, anno e paese di produzione e, utilizzando i link e i numeri d’ordine, giungere rapidamente a quella che vi interessa.

domenica 17 febbraio 2019

Ripropongo una delle grandi camminate per epicurei

Torna la Vagrant Trail, ridotta almeno di un paio di km (al più, saranno solo 58), con itinerario più basso in quanto non dormiremo sul Molare (1.444m), ma aggireremo il massiccio del Sant'Angelo a Tre Pizzi lungo il versante sud passando per Capo Muro (1.080m), senza mai giungere a 1.100 metri di quota e di conseguenza ci saranno anche 400m di dislivello in meno.
Non salendo al Faito, cambiano ovviamente le località per l’indispensabile cena conviviale (a S. Maria del Castello) e per il pernottamento all’addiaccio (Monte Comune, 880m, foto sotto). Da quest’ultimo punto (visibilità permettendo) la vista spazierà sui due Golfi, le isole e la Penisola Sorrentina, con le loro luci di notte e poi illuminati dai primi chiarori dell’alba.
Questa edizione primaverile tiene quindi conto della minore durata del giorno e delle (probabili) temperature notturne e, come per le precedenti, si effettuerà solo con buon tempo fondamentale soprattutto per la notte, ma anche per la visibilità indispensabile sia per poter camminare al chiar di luna sia per la piacevolezza della passeggiata.

Descrizione sommaria del percorso (previsto al momento)
per chi conoscesse poco la toponomastica locale, includo i numeri identificativi dei sentieri CAI
NB - vari tratti dell’itinerario non compaiono sulla carta CAI né sulla maggior parte delle altre
Tracciato ben conosciuto e scorrevole fra Pogerola Fic''a Noce lungo il CAI 359 fino a Tavernate e poi il 301. Dalle cascate, dopo aver saltato o guadato il Canneto, inizia la salita più impegnativa e probabilmente con vari ostacoli (alberi caduti e piccoli smottamenti, conseguenza dei vasti incendi di un paio di anni fa). Questo tratto di 3,3km e 550m di dislivello, pendenza media 17,5%, è un sentiero non segnato, conosciuto come Lama dei Gatti, che raggiunge la sella di Monte Rotondo dove incrocia il 300 (Alta Via dei Monti Lattari). Tutto il primo tratto Pogerola - sella coincide con l'inizio della MaraTrail di Pogerola e si può apprezzare nei primi 4'30" del video in basso, ovviamente com'era all'epoca. Dovremo verificare se effettivamente ci convenga utilizzare questo percorso che consente di ridurre la distanza complessiva di circa 5km rispetto a quello via Punta d'Aglio, Scalandrone, S. Maria dei Monti, più lungo (58km) ma  comodamente transitabile. La mappa in alto riporta il percorso "sperato", via Lama dei Gatti. 

I successivi circa 5km sono ondulati (quote fra 900 e 1100m) e molto scorrevoli in quanto in gran parte si stratta di strada sterrata. Fra Crocella e Capo Muro dovremo poi affrontare un altro tratto un po' impiccioso ... il sentiero 329a sale per poi ridiscendere di 100m di dislivello, ma più volte in passato siamo riusciti a passare più a valle risparmiando 600m e circa 50 di dislivello (qualche settimana prima controlleremo). Comunque, in un modo o nell’altro arriveremo a Capo Muro e proseguiremo per Santa Maria del Castello su mulattiere storiche ben tracciate (tranne che per il breve tratto della frana, foto in basso), oggi 329 fino alla Forestale e poi di nuovo sul 300  che viene dalla Conocchia.
   
Dopo la meritata cena, ci si rimette in cammino sull’Alta Via dei Monti Lattari al chiar di luna (piena) per andarci ad “accampare” al margine occidentale del pianoro di Monte Comune (circa 2,5km, 250m di dislivello, foto in basso a destra, quella dell'alba è dell'ed. 2012, dal Molare) e dopo esserci goduti l’aurora continueremo lungo lo stesso sentiero fino a Torca, ma sostando per colazione a Colli di Fontanelle, dove molto probabilmente si aggregheranno vari camminatori giornalieri.
   
Per sentieri e stradine secondarie si raggiungerà Termini e quindi via Vuallariello si torna ancora una volta sul 300 in località Vetavole, per scendere verso Punta Campanella fino a Rezzale e quindi iniziare la risalita passando per Fossa Papa dove è prevista la sosta pranzo.
Nel corso degli ultimi 10 km fino a Sorrento si potranno effettuare tante scelte diverse, anche in considerazione di quelli che probabilmente (e giustamente) lasceranno il gruppo a seconda di come prevedano di tornare a casa (mezzi pubblici, qualcuno che li prelevi o deviazioni per chi abita in zona).

Per ora questo è quanto, prossimamente mappe più dettagliate, foto, suggerimenti, avvisi e aggiornamenti ... sempre su questo blog.

Punto, punto e virgola, punto e un punto e virgola...
Salutandovi indistintamente ... senza nulla a pretendere.
In data odierna.
(dalla famosa lettera di Totò e Peppino)