venerdì 30 ottobre 2015

Jai Alai al Frontón México (1983)


Ciudad de México, marzo 1983

Accingendomi a tornare per la terza volta a Città del Messico sto riscorrendo mentalmente le mie esperienze precedenti, per determinare quali voglio approfondire, quali ripetere (ove possibile e seppur con gli inevitabili cambiamenti derivanti dal tempo trascorso) e in quali luoghi voglio tornare.
Fra le esperienze assolutamente irripetibili, in quanto troppo legate alle persone e all’ambiente umano, sono le serate passate al Frontón Mexico nell’83. Ricordo che più che altro ci andai per assistere ad un incontro di Jai Alai (pelota vasca o cesta punta) uno sport del quale avevo spesso sentito parlare in termini più che positivi, in particolare per la sua spettacolarità. Infatti, ormai solo pochi se ne ricordano, la pelota si giocava anche nello Sferisterio di Napoli, a Fuorigrotta, ma quando fui abbastanza grande da andarci già era scomparsa e lì si giocava solo a tamburello (non quello da spiaggia, chiaramente). Ma di questo parlerò in altro post.
Terminata questa divagazione, passo a raccontare ciò che ricordo delle mie frequentazioni del Frontón Mexico nel 1983, un posto affascinante e interessantissimo dal punto di vista sociologico, ancor più che per quello sportivo, assolutamente da non sottovalutare. Al di là dell’intrattenimento fornito dagli spettatori c’è da dire che la pelota è un gioco altamente spettacolare, specialmente se giocato da professionisti. Su YouTube si trovano tanti video di incontri di Jai Alai, per ora accontentatevi di queste poche foto. I salti apparentemente incredibili dei giocatori sono veri e possibili in quanto sfruttano il muro per spingersi in alto. Potrete immaginare il tempismo e la coordinazione necessari per arrivare lassù nel momento esatto nel quale giungeva anche la velocissima pallina.


L’edificio, inaugurato nel 1929, aveva una capienza di circa 2.000 spettatori e un campo di 54m di lunghezza (il più lungo fra quelli regolamentari). In occasione delle Olimpiadi del 1968, in omaggio alla grande popolarità, la cesta punta, che nel frattempo aveva avuto successo anche negli U.S.A., fu addirittura inserita nel programma olimpico ed ovviamente il Frontón ospitò le partite più importanti. Per regolamenti, misure, tipi di incontri, e tutto quanto relativo al gioco vi rimando alle solite facili ricerche in rete, limitandomi ora a descrivervi quello che accadeva fuori della cancha (campo di gioco).
Come quasi tutti i luoghi nei quali si scommette (ippodromi, cinodromi) il Frontón attirava un pubblico molto eterogeneo, ma le categorie più numerose erano ricchi borghesi per lo più anziani nobili e malavitosi di un certo livello (almeno così apparivano). Infatti dovete sapere che non era possibile scommettere ufficialmente solo pochi spiccioli e che la puntata minima era di ben 500 pesos. Per avere un termine di paragone vi dico che il mio budget medio giornaliero con il quale coprivo le spese per un letto in un posto spartano ma decente, tre pasti al giorno, trasporti, ingressi, ecc. era di 750 pesos (all’epoca equivalenti a soli 5 dollari!). La suddetta puntata minima era quindi ben oltre le possibilità di molti messicani.
In uno sferisterio gli spettatori siedono tutti da un lato del campo in quanto gli altri tre presentano un alto muro che viene utilizzato per far rimbalzare la palla, come è ben evidente in questa splendida foto del Frontón de la Habana, Cuba, scattata nel 1904. (ingranditela, è di ottima qualità)

Nella foto è possibile notare vari personaggi fra pubblico e campo, quelli seduti sono chiaramente arbitri, ma chi saranno mai quelli in piedi, in giacca bianca, con un basco sulla testa (tutti gli altri hanno cappelli con tesa), rivolti verso il pubblico? Sono gli allibratori il cui basco, almeno nel 1983, era di un rosso vivo e avevano un curiosissimo modo di riscuotere le puntate e consegnare le relative ricevute. Durante tutto un incontro gridavano continuamente le loro quote, fino a quando mancava un solo punto alla conclusione del match. Negli incontri ai 30 tantos (punti) si affrontavano due squadre di due giocatori ciascuna, contraddistinte dai colori azul (azzurro) e rojo (rosso). A seconda dell’andamento della partita si passava, per  esempio, dalle grida “80 azul” a “90 azul” e dopo aver passato la parità, a “90 rojo” e via discorrendo, ma in caso di recupero si tornava a “xx azul”. 
Quindi gli interessati a scommettere, raramente in prima fila, alzavano la mano e l’allibratore gli lanciava una pallina da tennis con un taglio lungo circa mezza circonferenza, chiaramente fatto all’uopo. Premendo i poli al limite del taglio la pallina si apriva e lo scommettitore infilava la banconota di 500 o 1.000 pesos, o anche più banconote all’interno e quindi la rilanciava all'allibratore il quale contava i soldi, scriveva la ricevuta riportando l’importo e la quota di quel momento e con lo stesso metodo la restituiva allo scommettitore. 
Questo poster spagnolo del 1894 (sotto) pubblicizza due incontri fra Valenciani Baschi, contraddistinti in questo caso dai colori bianco e azzurro, con squadre di 4 giocatori che si sarebbero affrontati sulla distanza di 60 e 50 tantos.
   
Chiaramente per consentire un buon numero di scommesse i giocatori facevano spesso delle pause e riprendevano solo quando il “traffico di palline” diminuiva. In questi intervalli chi come me non era interessato a scommettere aveva tutto il tempo per osservare gli spettatori ed in particolare gli scommettitori che, posso assicurare, erano uno spettacolo nello spettacolo. In particolare ricordo una signora, sulla settantina, che scommetteva con grande continuità e quindi consistenti somme di denaro. Ma la cosa che non dimenticherò mai era la sua prontezza di riflessi e l’abilità nell’afferrare la pallina al volo, con una sola mano e senza mai fallire un colpo!
Come dicevo non ero il solo ad osservare gli altri ed in un’occasione la mia attenzione cadde su un paio di scommettitori seduti poco distanti da me che osservavano con grande insistenza un persona di origine asiatica vestito in modo molto appariscente e con vario oro ben in mostra, con due accompagnatori ben piantati che davano tutta l’idea di essere guardaspalle. Ascoltare i loro commenti era “interessantissimo” e divertente. Uno dei due invitava costantemente l’altro a replicare le scommesse del chino, seppur puntando molto meno del probabile “boss”, in quanto presumeva, come del resto tanti altri, che le partite fossero per lo più combinate. Un commento che, ammiccando, ripeté più volte al suo amico e che ricordo con estrema precisione era: “El chino sabe ...” (il cinese sa ...).

Tutto ciò, tuttavia, era ben lontano dalle scene al limite del surreale alle quali era facile assistere nelle interminabili notti di tamburello allo Sferisterio di Napoli, ma di questo parlerò un’altra volta in quanto necessita, e merita, un post a sé.

mercoledì 28 ottobre 2015

Uomini e serpenti ... breve storia del pitone Gennarino

Nei giorni scorsi a Termini, ma anche a Massa Lubrense ed in altre frazioni, si è parlato molto di un “enorme serpente” avvistato nella’area di Monte san Costanzo. Qualcuno affermava che date le sue dimensioni (oltre 2 metri e “doppio” quanto un palo di pergola, ma con le mani indicavano circonferenze ancora maggiori) era in grado di ingoiare un cane intero. Altri sostenevano che rappresentasse un pericolo imminente e quasi letale per tutti i terminesi e per gli escursionisti che, oltretutto, sarebbero potuti morire di spavento al solo incontrarlo.
Per fortuna, il giovane Pitone reale (Python regius), di appena 110cm, è stato trovato e accudito per quanto possibile dal personale della Technosky gruppo ENAV che poi si è anche attivato per il suo recupero in sicurezza, senza arrecare il minimo danno al serpente. Ieri 27 ottobre Gennarino (nome affibbiatogli dai suoi “sostenitori” e strenui difensori terminesi, ovviamente tifosi del Napoli) è stato preso in consegna dagli esperti dell’Ass. Erpetologica Erpisa,  che collabora con il Corpo Forestale dello stato, nucleo CITES di Salerno, con l'Università Federico II di Napoli e con la Regione Campania.

Quindi avventura a lieto fine anche se ad un certo punto si prospettavano scenari peggiori, simili a quelli visti tante volte nei film horror con una folla inferocita armata di forconi, bastoni e torce che assedia il luogo dove si nasconde il “mostro” di turno: vampiro, lupo mannaro, Frankenstein, ..., sobillata da pochi individui forti di “ottime” - secondo loro - ragioni basate unicamente su ignoranza, leggenda e superstizione. Nel nostro caso, per fortuna, nonostante l’impegno di alcuni ad aizzare ed istigare i più facinorosi, nessuno si è armato di roncole o più moderne motoseghe per andare a confrontarsi con gli impavidi ed eroici tecnici della Technosky, che avrebbero dovuto interpretare il ruolo degli strenui difensori dell’orribile creatura.

Tornando alla realtà, gli esperti erpetologi della Erpisa hanno confermato quanto avevo detto a chi mi aveva mostrato la foto del serpente e cioè che si trattava di un pitone, che il pericolo maggiore e imminente per l’animale era il freddo e non certo la fame e infine, ma cosa più importante, che il Python regiusè uno dei serpenti più timidi e mansueti in assoluto” di lunghezza media compresa fra i 130 e i 150 cm, fra i più comuni e amati non solo in Italia ma in tutto il mondo.

Ma urge spendere due parole per chi ha abbandonato, anzi peggio gettato, il serpente del quale voleva evidentemente disfarsi oltre la recinzione del cosiddetto "radar" di Monte San Costanzo. Questo gran *!?%^"/§ñ¿!! (noto insulto fumettistico che comprende tutti i peggiori epiteti conosciuti) visto che ha comprato il pitone, e quindi almeno un poco era interessato a lui, non poteva regalarlo a qualche altro erpetofilo, riportarlo al negozio, consegnarlo allo zoo o liberarsene in altri modi più semplici e per di più legali? 

Senza ulteriori citazioni da parte mia, invito gli interessati a visitare il sito pitonereale.it nel quale ci sono tutte le informazioni scientifiche, legali, comportamentali e via discorrendo relative all’acquisto, detenzione e accudimento del pitone reale.

lunedì 26 ottobre 2015

La lenta natura talvolta procede più velocemente degli uomini ...

Massa Lubrense, lunedì 26 ottobre

Come altre volte, pubblico in questo blog un post di interesse prettamente locale, anche se si pò facilmente leggere in senso quasi universale.
Nei giorni scorsi ho profittato del bel tempo per andare a effettuare una ricognizione su un paio di sentieri interessati dagli incendi dei mesi scorsi. In linea di massima si può ben dire che la natura fa il suo buon corso e che anche dalla maggior parte dei cespugli più rovinati dalle fiamme i nuovi germogli stanno crescendo bene.
Sabato pomeriggio ho percorso il giro di Santa Croce e ho constatato che le strade vicinali Le Selve e Vuallariello (sentiero da Cercito a Vetavole) sono ormai ben battute ed evidenti e, finora, le piogge non lo hanno reso né fangoso, né scivoloso.
    
I danni dell’incendio vanno scomparendo e, come potete vedere in queste foto, sia il pendio a valle del radar che quello a valle della cappella si stanno colorando di nuovo di verde.
Qui ci sono anche altre foto dell'escursione.  
   
Anche lungo il Sentiero delle Sirenuse, in particolare nell’area circostante il Pizzetiello, la nuova foglie sono ben evidenti ma, purtroppo ho dovuto constatare che i lavori di ripristino del sentiero, degli scalini e del passamano in legno si sono fermati. Dopo il buon  inizio del mese scorso, sembra che non ci sia stato alcun avanzamento in tutto ottobre e i paletti forniti per la realizzazione degli scalini giacciono ancora inutilizzati in cima alla ripida salita.
   
Speriamo che i lavori riprendano a breve e che il percorso sia ripristinato al più presto.
Infine, segnalo che nella pineta delle Tore sono stati assemblati tavoli e panchine costituiti da pezzi di tronchi spaccati a metà longitudinalmente. 
   
Speriamo che sopravvivano ai dementi, novelli Attila. 

venerdì 23 ottobre 2015

Quanta confusione nella denominazione dei cibi

Tante ricette e tanti piatti sono associati a località, città o regioni intere dove sono completamente diverse, poco note o del tutto sconosciute. Per esempio, quanti cibi sono associati alla tradizione napoletana?
Mi riferisco a quelli che napoletani non sono o, quanto meno, non sono esclusivi di Napoli né tradizionali.
A Puerto de la Cruz (Tenerife) uno dei dolci da prima colazione più comuni, quanto i croissant per intenderci, era la Napolitana. Si tratta di una specie di cannolo di pasta sfoglia, ripieno di cioccolata, che si trova dovunque in tutta la Spagna. In effetti è praticamente identico al pain au chocolat francese. (foto al sx).
In Argentina è famosa la milanesa napolitana consistente in una classica cotoletta successivamente infornata ricoperta di pomodoro e “mozzarella” (sarà di bufala o è una “bufala”?).
Viene comunemente chiamata salsa napolitana una qualsiasi salsa a base di pomodoro preparata per condire la pasta, qualunque siano gli altri ingredienti. Pertanto nel suddetto sugo potrete trovare - oltre all’obbligatorio pomodoro - porri, cipolle, carote, funghi, ecc. ed è quasi sempre aromatizzato con origano.
Tutti conoscerete, almeno per averli visti, i wafer al cioccolato di una famosa marca commercializzati come Napolitaner.
E nella foto accanto vedete le Napolitaines (o Biscuits napolitains) dolce molto diffuso e, pare, tipico delle Mauritius, commercializzato anche in Francia con tale nome.
Non entro nel campo della pizza come concetto generale in quanto già solo per il tipo di cottura (forno elettrico o a legna) e spessore si è scritto di tutto e di più. Ma chi va in giro come me (all’estero mi diverto a leggere i menù “presunti” italiani) avrà certamente notato che come pizza napoletana (nella lista, quindi con riguardo al condimento) si trovano molte varianti e spesso viene confusa con la romana.
Tuttavia per onestà si deve dire che i napoletani non sono esenti da queste attribuzioni indebite in quanto è risaputo che la nostra genovese è del tutto sconosciuta a Genova e la pasta alla siciliana vera non è quella al forno che prepariamo noi.
   
Passando ai nomi che si riferiscono a cibi completamente diversi, si possono citare casi classici come le braciole, che al sud sono involtini di carne (di norma di vitello, ma in Puglia anche di cavallo) mentre in quasi tutta Italia costate di carne di maiale. (vedi sopra)
Anche più a breve raggio si possono creare equivoci: i friarielli napoletani sono una varietà di broccoli amari che benissimo si sposano con le salsicce (sasiccia e friarielli, ottimi in un panino, come secondo piatto, condimento per la pasta, sulla pizza, ...), ma in penisola sorrentina a chi li ordina arriverà un piatto di peperoncini verdi. Più semplice la distinzione fra le capresi: insalata o dolce di cioccolata e mandorle.
In conclusione cito invece una orripilante storpiatura non del solo nome o origine di un cibo, ma della preparazione di una famosissima e ottima ricetta tipica quale è la carbonara che nel mondo, ahimè,  viene proposta da almeno il 90% dei ristoranti che ne elencano gli ingredienti preparata la con la panna! Del pecorino neanche a parlarne ...

martedì 20 ottobre 2015

Don Tancredo, un Carneade per i non ispanici

Per l'ennesima volta, guardando un film, mi sono imbattuto in una storia strana, singolare eppure assolutamente vera, che ha anche generato un modo di dire tutt'ora utilizzato in Spagna. Il film in questione è "El inquilino" (1955, regia di José Antonio Nieves Condes) con un giovane Fernando Fernán Gómez  nei panni di Evaristo, il protagonista della pellicola che, avendo un disperato bisogno di soldi, accetta di fare il Don Tancredo. In questo video, anche se non conoscete una parola di spagnolo, è molto facile intendere la successione degli avvenimenti: spiegazione di ciò che deve e che non deve fare al riluttante Evaristo, travestimento, attuazione nell'arena. Certamente per chi ha dimestichezza con l'idioma la scena è ben più godibile.
Come mio solito, incuriosito, ho effettuato una rapida ricerca in rete ed ecco quanto ho appreso. Quasi tutti concordano nell'individuare in un poco capace e ancor meno valente torero valenciano, tale Tancredo López, l'origine del nome. Alcuni sostengono che fu lui il creatore di questa breve rappresentazione tragicomica altri invece affermano che la copiò avendola vista eseguire da un suo collega a La Habana, Cuba. Comunque siano andati i fatti il questo breve spettacolo durò dal 1899 fino alla metà circa del secolo scorso anche se, negli ultimi anni, era già ufficialmente proibito.

Il Don Tancredo, vestito completamente di bianco e con la faccia infarinata, si sistemava su un piedistallo al centro dell'arena e doveva rimanere lì immobile. Si supponeva che il toro, entrato furiosamente alla ricerca di qualsiasi essere vivente che si muovesse per caricarlo e possibilmente incornarlo, si disinteressasse ben presto dell'oggetto immobile, limitandosi ad avvicinarsi per odorarlo per poi allontanarsi. 
Il suddetto López fu incornato più volte così come molti suoi emuli dimostrando la poca consistenza della teoria dell'immobilità. L'attuazione rimase relegata in spettacoli di basso livello in quanto quel pubblico dimostrava di apprezzare questo tipo di intermezzo fra una toreada e la successiva. Il fatto che si potessero guadagnare soldi "facili" attirava per lo più disperati, gente senza una peseta, che erano disposti a farsi incornare per risollevarsi da una situazione economica disperata. 

Fin qui la storia del Don Tancredo, reale e documentata, ci sono perfino elenchi completi dei più famosi, così come delle date degli incidenti più gravi (numerosi).

Nel già accennato uso comune, il "titolo" è stato affibbiato a numerosi personaggi politici, primo fra tutti Zapatero, e di norma si attribuisce a quelli che, sia in ambito politico che lavorativo, aspettano che i pericoli passino, ignorandoli e facendo finta di niente.

Leggende metropolitane (di vario genere): 
* si dice che anche il Generalísimo Francisco Franco facesse iDon Tancredo e che per questo motivo avesse due fascicoli sulla sua scrivania: "questioni che il tempo ha risolto" e "questioni che il tempo risolverà".
i tori non caricavano pensando di trovarsi davanti ad una statua di marmo. Ma come potevano riconoscere il marmo, considerato che oltretutto ci vedono poco? 
correva voce che Tancredo López ipnotizzasse i tori. 

domenica 18 ottobre 2015

Ultimo post tinerfeño (per ottobre)

Puerto de la Cruz, domingo 18 de octubre de 2015

Due settimane di sole e di caldo (28-31° durante il giorno) mi hanno tenuto lontano dalle escursioni, in particolare quelle attorno al Teide, senza un filo d’ombra, e quindi mi sono per lo più “adattato” a passeggiare in riva al mare approfittandone, ovviamente, per fare anche qualche nuotata. Ciò fra un’attività culturale e un’altra, fra qualche caña e vari spuntini.
A mio giudizio trovo che l’accessibilità al mare di Puerto de la Cruz sia veramente ottima. Ci si può bagnare in tanti posti diversi facilmente raggiungibili a piedi, per lo più lungo itinerari solo  pedonali.
   
A sinistra la foto satellitare del centro di Puerto, con il frequentatissimo Paseo di San Telmo e il lago Martianez, un complesso di una piscina enorme e una mezza dozzina più piccole. Questo è l’unico posto che prevede il pagamento di un biglietto di ingresso, tutte le atre spiagge e spiaggette sono libere ma – badate bene – regolarmente sorvegliate dagli addetti del salvamento (con evidenti divise rosse), pulite, con docce e rubinetto basso per levarsi la sabbia dai piedi. L’unica spesa che potreste voler fare è quella di un “lettino” (di buona qualità) che vi costerà la bellezza di 3 Euro! Dal Charco de los Piojos (alla base del paseo) si può entrare in acqua molto comodamente utilizzando le varie scalette d’acciaio e qualche scala in pietra, oltre che dal piccolo arenile di ciottoli. Semplicità e funzionalità e tutti sono contenti, dai bambini agli ottuagenari.
   
A ovest del centro (foto satellitare in alto a destra) ci sono tre spiagge nere  ben più lunghe, con la più lontana che termina a ridosso delle case di Punta Brava, a quasi due km di distanza. Conosciute nel loro insieme come Playa Jardin, sono limitate da un lungo e comodo passeggio (privo di barriere architettoniche) che corre fra gli arenili e le aree a giardino ricche di fiori, cespugli, cactacee e alberi, chiuse a monte dalla strada. Non mancano bar e caffetterie e panchine in quantità.
   
Personalmente, fra tutte le spiagge che non siano quelle bianche tropicali, le nere vulcaniche sono fra le mie preferite in quanto la maggior parte delle altre sono troppo polverose, basta un po’ di vento per spargere sabbia dovunque e qualche onda per intorbidire l’acqua.
Penso che con l’aggiunta di questo post sia chiaro, se non lo fosse stato abbastanza in precedenza, che Puerto de la Cruz è un posto che mi piace per essere vivibile, organizzato (trasporti pubblici, mercato, bagni, ecc.), ha tanto verde e tanto mare, offre una certa varietà di attività culturali, temperature primaverili nell’arco dell’intero anno, prezzi accessibili e, non da ultimo, vi si svolge un ottimo Carnevale. A questo proposito non pensiate che sia un fatto di pochi giorni in quanto i festeggiamenti ufficiali durano quasi due settimane, ma già adesso ci sono gruppi di giovani che percorrono le strade del centro a ritmo di batucada, battendo furiosamente i loro tamburi di tanti tipi diversi, accompagnati da qualche ballerina).
Ci saranno altre occasioni per parlare di Puerto de la Cruz e di Tenerife in genere, spero delle cañadas del Teide in particolare.

venerdì 16 ottobre 2015

3 tipi di scene che non sopporto nei film

Ne parlerò fra poco, ma comincio con i trailer. Ormai tutti quelli di film di azione, terrore, guerra e simili si risolvono in una serie di dissolvenze al nero intervallate da pochi fotogrammi, accompagnate da suoni bassi e cupi che ti rimbombano alla bocca dello stomaco e altri improvvisi e forti (esplosioni, crolli, ecc.) che giungono da un lato o addirittura alle spalle grazie all’effetto surround
Ieri 3 dei 4 trailer proposti erano di questo tipo, praticamente identici, “brutti” e, almeno per me, per niente attraenti, ma del resto rispecchiano l’andazzo di produrre e proporre film di scarsissimo valore basato solo su effetti speciali, con poca regia e zero interpretazione.
Per fortuna The visit (La visita, in uscita in Italia a fine mese), dal quale non mi aspettavo più di tanto, si è rivelato non certo un capolavoro, ma senz’altro sui generis, un mystery leggero mascherato da horror, a volte tendente alla commedia, con numerose trovate originali.

Ed eccomi all’oggetto del post: scene che si ripetono da anni con minime varianti, che dovrebbero creare tensione e invece tendono al ridicolo e spesso sono trascinate per vari minuti. Film che fino a quel punto si erano tenuti sui binari della verisimiglianza (o almeno ci provavano) si perdono cadendo quasi nel ridicolo. 
1 * gli inseguimenti, in particolare quelli in auto
Si sono aggiornati in quanto ai mezzi di trasporto e alle strade, ma restano pessime copie degli inseguimenti a cavallo dei quali ben pochi sono memorabili. Quante volte avrete visto ripetersi passaggi a velocità folle su marciapiedi gremiti (senza riuscire a investire nessuno), corse contromano in autostrada, salti di corsie e “macchine volanti in avvitamento sopra ad altre” (solo grazie a rampe ben posizionate altrimenti, e logicamente, lo schianto sarebbe stato inevitabile)? Ogni tanto mostrano anche un tachimetro che indica velocità notevoli pur essendo chiaro che le scene sono girate a velocità ridottissime?

2 * quelli che corrono davanti ad un’auto o che la inseguono
Avrete certamente presente tante scene nelle quali qualcuno corre, spesso goffamente e senz’altro non velocemente, davanti ad un’auto alla cui guida c’è qualcuno che tenta chiaramente di investirlo. Il corridore nella migliore delle ipotesi può percorrere brevi tratti a 20km/h mentre l’auto, anche partendo da ferma, raggiunge tale velocità in un paio di secondi. Ergo, l’arrotamento dovrebbe essere quasi istantaneo eppure per interminabili secondi la scena si stiracchia e raramente il genio di turno pensa di levarsi dalla strada invece di continua a correre al centro della carreggiata. Per quanto riguarda i tempi, la situazione non cambia con quelli che corrono dietro ad un’auto che parte a gran velocità eppure non riesce a distanziare il corridore.

3 * resto sul fattore tempo con i conti alla rovescia
Avete presente la bomba che sta per scoppiare e il nostro eroe che deve evitare l’esplosione? Oltretutto, dov’è la tensione se siamo sicuri che ci riuscirà in quanto siamo a metà del film e non può ancora morire e quindi bisogna sorbirselo fino alla fine? Ma non è solo questo. Per esempio, avete mai notato come dal momento in cui viene mostrato il timer (o sveglia vecchio tipo che sia) che indica il tempo rimanente prima dell’esplosione questo viene esteso a dismisura, anche raddoppiato o triplicato, ed in pochi secondi succede di tutto e di più. La dilatazione del tempo è tutt’altra cosa.

Concludo sottolineando che tuttavia ci sono stati grandi film di vari generi (western, road movies, polizieschi) nei quali simili scene sono state trattate in modo quasi perfetto tanto da diventate cult.
Ne cito uno per tutti in quanto interamente basato su un inseguimento e nel quale, per di più, non appare mai l’inseguitore ... si vede solo il suo braccio sinistro sporgere dal finestrino del’enorme e minaccioso camion. 
Parlo di Duel (1971) uno dei primi lungometraggi diretti da Steven Spielberg, prodotto per la televisione e poi rimontato per le sale con l’aggiunta di varie scene. 
A chi non lo conoscesse suggerisco di effettuare una ricerca con le parole Duel e Spielberg, troverà un’infinità di notizie e commenti in tutte le lingue, clip di varie scene e probabilmente anche il film completo. 

martedì 13 ottobre 2015

Due nuovi murales a la Ranilla

Puerto de la Cruz, martes 13 de octubre de 2015

In concomitanza con PERIPLO, del quale ho già ampiamente parlato, seppur non abbastanza, sono stati creati due nuovi murales che si vanno ad aggiungere alla decina già presenti da qualche anno. Questa volta ho potuto quindi osservare il rapido procedere dei lavori, eseguiti stando su un cestello di quelli che si utilizzano per interventi su pali, alberi e facciate. In questa serie di foto (recanti data e ora di ciascuno scatto) ci si può rendere conto della velocità con la quale questi artisti operano, dipingendo superfici enormi. Notate che questo in basso si sviluppa per ben sei piani e, per quanto l’edificio sia relativamente “stretto”, restano pur sempre una ventina di metri!
   

   

   
Martin Ron, pittore e muralista argentino. Vi suggerisco di dare una scorsa ai suoi fantastici disegni, spesso surreali, con i quali ha colorato pareti in tutto il mondo. Ce ne sono tanti nel suo sito dal quale ho ripreso questo in basso.



Il secondo è di forma e proporzioni ben diverse, e si trova molto più in basso, più vicino al livello stradale. Entrambe li ho fotografati per la prima volta durante il secondo giorno di lavoro (6 ottobre), ma qui in basso potrete notare che questo disegno sembra troppo avanzato per così poco tempo di lavoro. Penso che sia stato progettato di coprire, seppur in parte, un mural precedente composto per lo più si scritte. Guardate il risultato finale!
   
Il mural in questione è opera di Pichi y Avo, spagnoli di Valencia. Anche loro hanno, ovviamente, un sito nel quale potrete apprezzare tante delle loro opere.
Il 13 febbraio scorso in un post dedicato al barrio de la Ranilla, Puerto de la Cruz, parlai brevemente anche dei murales che già adornavano vari edifici del quartiere. In questo album ci sono numerose loro foto.

domenica 11 ottobre 2015

L'interazione con le persone vi fa più viaggiatori e meno turisti ... e vi migliora

In effetti oltre a ciò sono tanti i benefici derivanti dal parlare con i locali e sono ancor di più se si approfitta delle occasioni "culturali". Per mia abitudine vado sempre a conferenze, presentazioni di libri, inaugurazioni di mostre e eventi simili in quanto, al di là dell'interesse specifico, si sentono parlare spesso degli ottimi oratori.

Per questo motivo, quando non si ha la necessità assoluta di “staccare” e dimenticarsi di tutto e di tutti, è opportuno scegliere destinazioni che offrano attività culturali, ma si sa che anche quelli che dicono di volersi veramente isolare non riescono a star lontani da cellulari, tablet e simili, peggiorati da applicazioni come FB, Twitter e WhatsAppSe si riesce a ridurre il tempo dedicato al non far niente (p.e. addormentarsi su una spiaggia) e quello alle reti sociali (molti, stando all'estero, ci passano ancora più tempo che a casa) si avrà la possibilità di incontrare i locali e parlare con loro. Per fare ciò, basterà avere un minimo di disposizione alla socializzazione, mentre una discreta padronanza di un idioma comune che ci permetta di comunicare (meglio se quello del luogo in cui ci troviamo) è un aiuto sostanziale ma anche poche parole e tanta buona volontà possono bastare. Un’altra condizione che facilita questi scambi socio-culturali è quello di non viaggiare in gruppo, al massimo in coppia - se inevitabile - altrimenti assolutamente da soli.
Il viaggiatore indipendente riceve maggiore attenzione e non deve dividere con altri il tempo che il suo interlocutore locale gli dedica. Non penso che si debba spiegare quanto sia più gratificante una chiacchierata in due piuttosto che in quattro, in particolare fra sconosciuti.

Questa è l'essenza del vero viaggiare, e il concetto è stato ripetuto, seppur in modo diverso, da tutti i relatori del PERIPLO - Festival Internacional de Literatura deViajes y AventurasAnche relazionandolo alle proprie esperienze, età e professioni (estremamente varie, dai giovani blogger rampati alcuni dei quali vanno in giro per il mondo con figli di un paio di anni, a giornalisti affermati, filologi, scrittori, filosofi e ricercatori) tutti hanno sottolineato che il viaggio, più che i luoghi, lo fanno le persone, meglio se poche in ambienti non sovraffollati.
Molti dei relatori hanno fatto il giro del mondo per diversi motivi e in vari modi: Marcos e Yolanda in 11 mesi di viaggio, con tanti voli, Osvaldo Renz con moglie e figlio di un paio di anni, Adriano Rodriguez, secondo al mondo fra i blogger di viaggio di lingua spagnola, anche lui con moglie e figlia di un paio di anni, Alicia Sornosa l’ha fatto in moto con tanti km anche in Africa.
Hanno parlato di loro libri o ricerche specifiche vari autori/giornalisti come Javier Ruiz che ci ha portato nella selva amazzonica ecuadoriana illustrandoci i problemi delle varie etnie di indios, Javier Reverte che ha descritto l’Irlanda dal di dentro, dagli incontri con autori locali, alle serate passate con i pescatori nei pub, agli scontri fra cattolici e protestanti nel nord e oggi, giornata conclusiva, Patricia Almarcegui scrittrice, filosofa e tanto altro, esperta di Medio Oriente, dalla Siria e Giordania, allo Yemen a sud, alle ex-repubbliche sovietiche dell’Asia centrale, all’Iran. Con il suo apprezzatissimo intervento ha sfatato tanti pregiudizi e “leggende metropolitane” che quotidianamente i mezzi di (dis)informazione ci propinano. Inoltre, proprio per la sua preparazione filosofica e letteraria, nonché per essere donna (che viaggia da sola) ha analizzato alla perfezione le ansie, le aspettative, le soddisfazioni e i momenti indimenticabili (nel bene e nel male) dei veri viaggiatori.

La vera chiusura di Periplo è stata affidata a Paco Nadal, giornalista de El Pais, autore di libri di viaggio, blogger e youtuber conosciutissimo. Nonostante l’età (non che sia vecchio, ma non ha superato la cinquantina) è riuscito a riciclarsi e allargare le sue attività letterarie dalla sola stampa tradizionale a tutti i mezzi di comunicazione disponibili al giorno d’oggi, cosa che molti, anche più giovani di lui, non hanno voluto fare o non ci sono riusciti rifiutando le nuove tecnologie. Lo stesso Paco Nadal nel corso della settimana aveva condotto un laboratorio di produzione di testi di viaggio, con qualunque mezzo: articoli, blog, libri, video Youtube, FB, ecc.. Io sono stato uno degli “allievi” e devo dire che, al di là di quanto ho imparato ma che probabilmente non utilizzerò più di tanto, è stato un mini corso estremamente interessante nel corso del quale i vari spiriti di viaggiatori di epoche, background ed età diverse sono usciti fuori in confronti appassionati.
Questa mia partecipazione al laboratorio è un ennesimo esempio di come si possa, direi si debba, approfittare di occasioni simili per conoscere altre realtà, altre esperienze, altre persone, per non parlare di ciò che non mi stancherò mai di ripetere vale a dire migliorare la propria conoscenza delle lingue con la pratica. Ed è un classico “circolo virtuoso”, più partecipi e più sai, più sai e più assimili, più assimili e pù sei soddisfatto e potrai arrivare a livelli sempre più alti che ti permetteranno di poter comprendere testi più complessi ed elaborati. Nel corso di questa settimana densissima di attività, avrò ascoltato una ventina di ore di interviste, conferenze ed incontri, oltre 10 ore di laboratorio avendo come relatori professionisti della comunicazione. Non da ultimo mi sono dovuto cimentare nella composizione un testo, ovviamente in spagnolo, in poco più di un paio di ore e senza vocabolario ... perché limitarsi alle scuole di lingue se basta avere buona volontà e interesse e saper cogliere le occasioni? 

venerdì 9 ottobre 2015

Viaggiatori romantici e Blogger di viaggio

Mi hanno detto che sono un “viajero romantico”! Ma chi me l'ha detto è un blogger di viaggio 2.0 (si autodefinisce così) che con la sua compagna l'anno scorso ha fatto il giro del mondo ... praticamente in aereo. Quando, al termine della sua charla (una chiacchierata, letteralmente), un intervento nell'ambito di PeriploFestival Internacional de literatura de viajes y aventuras -, abbiamo scambiato due parole mi sono definitivamente convinto che di veri viaggiatori sono rimasti pochi. Pur non comprendendomi nel novero, certamente riesco a viaggiare (nel senso romantico del termine) anche ora che faccio viaggi più stanziali che di movimento e esplorazione. Ciò mi consente di avere probabilmente molti più contatti con i locali, certamente più approfonditi indipendentemente dalla quantità, e spesso ciò è più gratificante del solo saltellare da un posto all'altro con mezzi spesso unicamente per turisti, solo per dire sono stato qui, sono stato lì.
Indipendentemente da come anni fa in certe circostanze si era costretti a muoversi senza avere alternativa, ora che ci si trova di fronte ad una vasta e variata offerta, ci sono ancora margini per scegliere in modo saggio, anche se purtroppo non è sempre vero. Per esempio, per andare da Cuzco ad Aguas Calientes (stazione di Macchu Picchu) si è quasi costretti ad imbarcarsi sul treno per turisti essendo quello degli indios ormai vietato. In alcuni paesi è certamente più rapido e facile muoversi con minivan, jeep, auto a noleggio, ma in questo caso i soli locali che si incontrano e con i quali, forse, si possono scambiare due parole sono ben pochi e spesso lavoratori del settore turistico come guide e autisti.

Questo è il "moderno" autoferro, che fino a pochi anni fa univa Ibarra (sulle Ande) a San Lorenzo sulla costa dell'Ecuador. Nel 1980 viaggiai su un suo "antenato", più piccolo e più affollato.  
I mezzi di trasporto più che i luoghi nei quali si alloggia fanno la prima grande differenza. Nella maggior parte dei paesi i secondi sono frequentati esclusivamente da turisti, mentre si può ancora facilmente scegliere di viaggiare essendo fra i pochi stranieri, meglio se unici. In questo aiuta moltissimo il viaggiare soli e il contatto con i locali diventa più facile e praticamente inevitabile.
Molti falsi viaggiatori si limitano a visitare le città più famose che, anche se affascinanti per storia, architettura e musei nei quali sono esposti pezzi unici estremamente significativi, raramente forniscono una conoscenza dello spirito locale. E’ risaputo che ormai è difficile incontrare fiorentini a Firenze o veneziani a Venezia se non allontanandosi dal centro. Chi vuole veramente capire un paese deve andare nelle città più piccole (la cosiddetta provincia) o addirittura in paesini o villaggi. E ciò vale per qualunque paese ... anche negli Stati Uniti visitare e anche casomai vivere per alcune settimane fra New York, San Francisco, Chicago, non può assolutamente bastare. Si deve necessariamente viaggiare negli stati del sud, nel mid-west, nel west e negli stati centrali del nord, quelli al confine con il Canada ... completamente un altro mondo.
Molti di quelli che oggi si definiscono viaggiatori e scrivono “Blog di viaggio” tendono ad avvicinarsi più alla figura del “turista” che al vero viaggiatore in quanto il secondo, per definizione, si muove più lentamente, indipendentemente e costruisce con calma il suo itinerario. Oltretutto, molti blogger di viaggio, oltre ad avere l’ossessione dei Like, visite e commenti, devo assecondare il loro più o meno vasto pubblico. Nell’intento di raggiungere numeri di visite e ranking tali da poter sperare di ricavare dei guadagni spesso si riducono a scrivere delle meraviglie di tale hotel o ristorante o degli eccezionali servizi forniti da questa o quella agenzia e ciò va di pari passo con la sperata vendita banner o spazi pubblicitari. 
In fin dei conti sono contento di essere stato qualificato come viaggiatore romantico (y empedernido) perché significa che è evidente il mio diverso modo di viaggiare ed il differente approccio alle brevi e saltuarie notizie dal mondo che comunico via blog. In questa epoca di etichette posso definirmi (per taluni post) Blogger di viaggio 0.2 lasciando volentieri ad altri la qualifica dieci volte maggiore di Blogger 2.0.

mercoledì 7 ottobre 2015

“BORONDÓN” , opere di Jorge Perez Rodriguez

Puerto de la Cruz, miercoles 7 de octubre de 2015

Avendo resi edotti i visitatori in merito al tema dell’isola che (forse) non c’é - Borondón – l’artista Jorge Perez Rodriguez  ha fatto seguire alle prime sei tavole di testo arricchito di capilettera e cartografia, una serie di oli su tela a tecnica mista (70x70cm). Da quanto è possibile apprezzare ammirando questa serie di disegni nei quali il soggetto principale è sempre una più che strana creatura, flottante a pelo d’acqua in mari profondi e coloratissimi, lasciando fuori una porzione del dorso sufficiente per poter apparire come un’isola. Queste parti trasmettono l’idea di essere sempre all’asciutto (o quasi) in quanto sulla loro superficie si sono fiori, alberi e talvolta abitazioni e “abitanti”.
Questi molte volte, se non sempre, sono disegnati a somiglianza (molto accurata) dell’autore e di suoi parenti. Nel creare questi animali fantastici, Jorge dimostra anche una ottima conoscenza dell'anatomia animale che riesce a deformare ed esagerare con apparente facilità e tanta ottima fantasia. Da sempre i “mostri” sono stati costruiti ingrandendo a dismisura animali realmente esistenti, componendo vari animali fra loro (il Pistrice, per esempio) o anche con essere umani (sirene, centauri, fauni e via discorrendo) e per ben raffigurali è senz’altro necessario uno studio preventivo della loro reale esteriorità. Del resto, pure per fare il caricaturista si deve avere una più che buona conoscenza dell’anatomia umana. Chi ha qualche esperienza di snorkeling riconoscerà sicuramente vari pesci tropicali, ma anche chi non ha mai messo il naso sott’acqua scoprirà che fra le “basi” non mancano animali terrestri.
Almeno per quanto mi riguarda, pure le scelte cromatiche sono coinvolgenti e trasmettono allegria e gioia di vivere. Gli stranissimi esseri viventi, purtroppo solo nelle sue opere, per quanto "mostruosi" possano apparire (ma solo agli occhi dei minus habens, quelli che rifiutano qualunque difetto o diversità), sprigionano simpatia e non appaiono assolutamente aggressivi e/o potenzialmente pericolosi.
Ho già caricato una dozzina di bozzetti, anche essi facenti parte dell’esposizione, mentre di 9 disegni divisi in tre gruppi (di 2, 3 e 4 ciascuno) parlerò fra un paio di settimane. 
Alcune immagini delle opere della serie Borondón le potete ammirare in questa galleria del sito dell’autoreDalla homepage dello stesso - www.jorgeperezrodriguez.es - potrete anche accedere a tante foto di altre serie.