martedì 22 febbraio 2022

Microrec. 56-60 del 2022: interessanti ed eterogenei film misconosciuti

Solo due hanno qualcosa in comune, vale a dire la regista ungherese Márta Mészáros; li affiancano due moderne e singolari produzioni (una colombiana e l’altra coreana) e un classico cult horror americano (ma diverso da quelli standard) con l’immancabile Vincent Price. Sostanzialmente, chi per una ragione chi per un’altra, tutti meritano una visione.

 
Moonlit Winter (Lim Dae Hyung, 2019, Kor)

Ennesimo buon film coreano, girato con pochissimi mezzi e ridottissimo cast (e immagino anche budget). Molto sottile (stracolmo di white lies) il modo in cui una ragazza cerca di far incontrare alla madre una sua vecchia grande amica della quale non sa più niente da una ventina di anni. La singolare narrazione alterna scene in Corea che descrivono i rapporti fra madre e figlia, fra questa ed il suo quasi fidanzato, e il marito/padre separato a quelle in Giappone dove la vecchia amica vive con una zia ed un gatto. Una lettera rivelatrice è lo spunto per l’organizzazione di un viaggio imprevisto, ma anche la preparazione dell’incontro a sorpresa non sarà priva di intoppi. Miglior film al Korea Film Fest di Firenze, So-hye Kim (la ragazza) giudicata miglior attrice dai critici di Busan, ma anche le altre attrici sono più che convincenti. 

The Tingler (William Castle, 1959, USA) tit. it. Il mostro di sangue

Tipo particolare William Castle, specializzato in film a basso budget, ma non per questo sempre B-movies; produttore non solo di suoi film ma anche di titoli come The Lady from Shanghai (1947, Orson Welles, recuperatelo!). Abile promotore dei delle sue opere, spesso appariva nei trailer o nei film con un cameo (come Hitchcock) o, in qualità di presentatore, nelle prime scene metteva in guardia gli spettatori sensibili del terrore che avrebbero provato. In questo senso fu a volte molto creativo nello spaventare il pubblico fisicamente facendo scendere uno scheletro davanti allo schermo durante le proiezioni di House on Haunted Hill (1959) o elettrificando le poltrone della sala provocando poi piccole scosse nei momenti topici di The Tingler. Trama originale per questo horror che però ha tanto di noir e di thriller, con Vincent Price che non interpreta un mostro e neanche un uomo particolarmente malvagio (è un ricercatore/dottore), nonostante l'insulso titolo italiano (Il mostro di sangue) si vede solo un piccolo casuale taglio su una mano, il mostro appare ingegnosamente come un’ombra dietro un lenzuolo e poi lo si vedrà nelle sembianze di un incrocio fra una scolopendra e un crostaceo marino. Dopo molte sorprese, il film si conclude un po’ drasticamente ma ci sono tutte le ragioni per essere considerato un cult del genere.

  
El día de la cabra aka Bad Lucky Goat (Samir Oliveros, 2017, Col)

Opera prima del regista/sceneggiatore Samir Oliveros; si svolge nell’arco di 24 ore sull’isola caraibica di Providenciales (Turks and Caicos) e pare sia il primo film interamente parlato in creolo (di derivazione inglese, simile al giamaicano). Avventure e disavventure di un fratello e una sorella che vanno molto poco d’accordo, punteggiate da incontri con singolari personaggi da malavitosi a poliziotti e a musicisti che suonano reggae con strumenti molto improvvisati; ovviamente ci sono alcune capre e non mancano i riferimenti allo spiritismo classico di quell’area. Film prodotto con minimo budget, interpretato da attori non professionisti, senza riprese in studio ma solo in pochi interni autentici e per il resto nello splendore dell’ambiente naturale. Assolutamente senza pretese, risulta comunque piacevole e i numerosi twist e sorprese sono ben distribuiti e per la maggior parte assolutamente originali.

The Girl (Márta Mészáros, 1968, Hun)

Lavoro di esordio di una delle più apprezzate registe magiare che vede protagonista una ragazza irrequieta cresciuta in un orfanatrofio della capitale. Da Budapest effettua un breve viaggio in un paesino di campagna per conoscere sua madre naturale (che l’aveva abbandonata) e incontrerà tante persone che evidenziano sempre la sua evidente provenienza quasi borghese. Fra i tanti ci sono anche vari ragazzi dalla mentalità moderna e un uomo che potrebbe essere suo padre. Girato in forma realistica, mostra uno spaccato della società ungherese dell’epoca, fra idee tradizionaliste e influenza russa che contrastano con stile e musica occidentale di quegli anni. La narrazione essenziale e ben costruita, con una buona fotografia bianco e nero, ricorda quella di Éric Rohmer. 

Diary for My Children (Márta Mészáros, 1984, Hun)

Rispetto a The girl, questo è molto più drammatico e politico ed oltretutto si riferisce agli anni fra fine ’40 e inizi ’50, quando molti ungheresi pensavano di essere tornati liberi dopo l’occupazione nazista mentre i russi arrivati come liberatori prendevano lentamente il potere. Viene presentata una Budapest nella quale vari ceti sociali (militari e collaborazionisti) vivono nei ricchi palazzi che furono di nobili e/o potenti e si ritrovano nei teatri e alle sfilate di moda. Un’altra (gran) parte della popolazione deve invece sottostare alle direttive dei dirigenti filorussi anche quando prendono decisioni sbagliate. Anche in questo film la protagonista è un’orfana che però viene portata nella capitale con alcuni parenti, ma fra questi e la madre adottiva che li ospita ci saranno vari attriti. Nonostante la giovane età (17 anni) la giovane si ribella continuamente agli ordini della nuova madre, che è una militare che stravede per i russi ed il loro regime. Interessante e ben girato, più che degno esempio della scuola magiara, purtroppo spesso sottovalutata o addirittura sconosciuta ai più.

venerdì 18 febbraio 2022

Le grotte dei Crapari via pineta di San Costanzo

Seppur non ancora in modo ottimale, è già possibile superare senza grandi problemi il dislivello fra la sella di San Costanzo (a circa 450m s.l.m., fra le cime della cappella e della stazione E.N.A.V.) e le Grotte dei Crapari (accesso a quella più in alto a circa 270m s.l.m.). Considerata la fitta rete di sentieri creati negli anni ’50 per l’impianto della pineta, i percorsi da seguire sono tanti, tutti gradevoli e accessibili a quasi tutti i camminatori. Infatti, grazie ai tanti zigzag, anche i tratti più ripidi presentano pendenze minori di quella del sentiero che costeggia la pineta ad est, parzialmente inserito nel CAI 300 - Alta Via dei Monti Lattari.

Ho reputato opportuno produrre una mappa sufficientemente dettagliata dell’area comprendente anche la cappella, il radar, parte della rotabile di accesso e un lungo tratto del sentiero CAI e caricarla sul mio sito www.giovis.com. Visto che, coadiuvato da alcuni sodali camminanti, proseguo con le attività di ricerca, piccola manutenzione e ripristino dei tracciati originali, tale mappa (simile a quelle già pubblicate su FB Camminate) sarà aggiornata relativamente spesso, ma senza cambiare indirizzo. Vale a dire che il link (testuale e QRcode) inserito a margine della stessa rimarrà sempre valido, quindi, aperta la mappa, controllate la data dell’ultimo aggiornamento ed eventualmente sostituite quella scaricata in precedenza. L’immagine è dimensionata per essere stampata in A4, formato nel quale è perfettamente leggibile, anche in bianco e nero.

mappa a bassa definizione, scaricate la versione HD dai link indicati
Gli ardimentosi che volessero percorrere un circuito passando per le grotte dei Crapari (in una direzione o nell'altra) sappiano che l'accesso E5 della pineta si trova in prossimità di un grosso albero sul cui tronco si nota un segno rosso,  probabilmente l'ultimo a monte di quelli apposti da ignoti a mo' di segnavia fra la vic. Fellarino (traversa di via Ieranto) e la pinetaSimilmente, chi volesse evitare il tratto più ripido del CAI 300, potrà usufruire dell'accesso E3.

Ovviamente, invito anche chi non ha alcuna intenzione di sobbarcarsi i quasi 200m di dislivello per raggiungere le grotte dei Crapari ad approfittare almeno della rete di sentieri della parte alta, godendosi i vari tratti centrali in piano o quasi (codici C e D) nonché quelli che conducono ai belvedere (B) allineati al margine ovest della pineta, a vista dei Faraglioni di Capri oltre che della Baia di Jeranto. (nella foto, belvedere B7)

Tempo permettendo, a fine settimana entrante penso di proporre una “presentazione” dei tratti recentemente liberati dagli alberi caduti a seguito di incendio e/o eventi atmosferici; con queste nuove riaperture lo sviluppo complessivo dei tracciati percorribili all’interno della pineta demaniale ha raggiunti i 3.500 metri. Data e orario saranno annunciati su FB Camminate

mercoledì 16 febbraio 2022

Microrec. 51-55 del 2022: altri 3 pluricandidati Oscar e …

Mi sembra sempre più scadente il livello medio del lotto di candidati agli Oscar 2022. Anche quest’anno ci sono biopic e sceneggiature adattate in quantità; tranne Belfast e (seppur di inferiore qualità) Don’t Look Up, sembrano non esistere più buone sceneggiature originali! Cinquina complessivamente mediocre in quanto anche gli altri due film, pur avendo aspetti interessanti, non sono veramente coinvolgenti.

 
Nightmare Alley (Guillermo del Toro, 2021, USA)

Remake dell’omonimo film del 1947 (a sua volta tratto dal romanzo omonimo), diretto da Edmund Goulding, con protagonista Tyrone Power; 4 Nomination (miglior film, scenografia, fotografia, costumi). Avendo guardato l’originale, posso dire che questa versione di Guillermo del Toro si regge solo sull’ottima fotografia, le luci molto scenografiche ancorché irreali, il grande uso di grandangoli e il design nel suo complesso. Tanti nomi di rilievo, anche se in piccole parti, si fanno apprezzare ma il protagonista Bradley Cooper si dimostra ancora una volta assolutamente inadatto. Altra pecca è l’eccesiva durata: 2h30’! Anche i critici non l’hanno accolto troppo bene, 79% di recensioni positive non sono un gran risultato per un ricco film che aspira agli Oscar.

Being the Ricardos (Aaron Sorkin, 2021, USA)

Biopic su una famosa coppia di artisti dello spettacolo; 3 Nomination (migliori attori protagonisti Nicole Kidman e Javier Bardem, non protagonista J.K. Simmons). Dalle candidature risulta evidente che sia stato apprezzato solo il cast; il montaggio risulta estremamente confuso e i continui salti temporali non fanno apprezzare il poco di buono del film. Anche se l’azione principale si focalizza sulle riprese di una famosa sit-com in una settimana dei primi anni ’50, vengono inserite tanti altri avvenimenti degli anni precedenti, senza fornire alcun preciso riferimento. Anche questo film non è stato troppo apprezzato dalla critica, il 68% su RT significa che 1 recensioni su 3 è stata negativa. Nicole Kidman viene data come favorita per l’Oscar. 

  
The Eyes of Tammy Faye (Michael Showalter, 2021, USA)

Biopic su una famosa coppia di predicatori evangelisti (lei quasi invasata, lui avido approfittatore) che fra gli anni ’70 e ’80 misero su una potente organizzazione pseudoreligiosa con tanto di proprio canale televisivo, parco di divertimenti e società immobiliari. 2 Nomination: migliori attrice protagonista Jessica Chastain, trucco e acconciature. Forse interessante per gli americani che ricordano quel periodo visto che si fanno anche tanti riferimenti ad altri predicatori e ai loro legami con la politica; per il resto del mondo sembra incredibile come possano essere arrivati tanto in alto (me certo non moralmente). Anche questo film non avuto grande successo di critica (69%) né di pubblico (6,7 su IMDb). Se Jessica Chastain interpreta bene la propria parte, non si può dire altrettanto di Andrew Garfield, tuttavia candidato come miglior attore protagonista, ma per Tick, Tick … Boom! (altro biopic, altro film deludente).

Le petit soldat (Jean-Luc Godard, 1963, Fra)

Fra i registi iconici della Nouvelle Vague, al sopravvalutato Truffaut certamente preferisco Godard che in questo film del suo primo periodo mantiene ancora lo spirito veramente innovativo del movimento. In bianco e nero e con tanta camera a mano narra di un improbabile gioco di spie, killer e terroristi ai margini della guerra franco-algerina. Trama poco interessante e poco plausibile, con vari lunghi rallentamenti relativi alla love story fra i protagonisti (di fazioni opposte) alternati a pedinamenti e inseguimenti. La tecnica è la parte meritevole, la sceneggiatura lascia molto a desiderare.

Viramundo (Pierre-Yves Borgeaud, 2013, Fra)

Di questo pseudo-doc mi aveva attratto il protagonista (il cantautore brasiliano Gilberto Gil) ed il suo confronto con le realtà degli aborigeni australiani e delle comunità di colore del Sud Africa, ma si è rivelato poco interessante dal punto di vista musicale e astruso dal punto di vista antropologico che vorrebbe paragonare gli africani portati in Brasile come schiavi dai portoghesi, agli aborigeni quasi sterminati dagli inglesi e ai sudafricani oppressi e colonizzati dai boeri. Pochi i momenti interessanti e troppe riprese con l’artista in primo piano.

giovedì 10 febbraio 2022

Microrec. 46-50 del 2022: 2 candidati Oscar, 2 revenge e un sorprendente bio-doc

I candidati sono un outsider norvegese fra gli stranieri (che, però, difficilmente avrà la meglio sul favoritissimo giapponese Drive My Car) e il noiosissimo e deludente Dune; poi un originale arthouse tunisino in b/n con una serial killer che subdolamente adesca uomini così come (con differenti motivazioni) la protagonista del revenge di Emerald Fennell, e completa ill gruppo un geniale documentario francese interamente girato in Afghanistan (non vi perdete il trailer!).

 
Promising Young Woman (Emerald Fennell, 2020, UK/USA)

Nonostante l’Oscar, mi era sfuggito e ci sono arrivato in quanto più volte citato nelle recensioni di Black Medusa. In effetti, pur avendo vari punti in comune, la differenza fra i due è sostanziale ed evidente non solo per l’ambientazione ma anche per le motivazioni delle protagoniste e il loro modus operandi. Questo film dell’esordiente Emerald Fennell (regista e sceneggiatrice) è spesso quasi una commedia, ma del genere dark che con ironia abbastanza esplicita critica stereotipi, superficialità e il ricorrente malcostume di giustificare i predatori, che comunque si autogiustificano. In sostanza una dramedy certamente di qualità che affronta temi seri e talvolta tragici in modo leggero ma assolutamente non superficiale. Non mancano i riferimenti agli stili di vita e aspettative delle famiglie borghesi americane e vita da college. Oscar miglior sceneggiatura e 4 Nomination (film, regia, Carey Mulligan protagonista e montaggio) oltre a 113 premi e altre 188 nominations.

Nothingwood (Sonia Kronlund, 2017, Fra)

Apparso su MUBI, mi ha incuriosito la presentazione e ho voluto guardarlo. Si tratta di bio-doc girato da una giornalista e regista francese sul peculiare regista/produttore/attore afghano Salim Shaheen che ha diretto oltre 100 film fra attentati, bombe e granate, nelle location più strane e pericolose, avvalendosi di mezzi poco professionali e improbabili attori. Conosciutissimo in patria, proietta i suoi film anche in piccoli villaggi e contemporaneamente ne gira almeno un altro paio. Il documentario non mostra solo i suoi (forzatamente) originali metodi di lavoro, ma anche brevi interviste a spettatori, militari, talebani, famiglie, fornendo nel complesso una varietà di inaspettati puti di vista. Al fianco del regista spesso compare il suo attore feticcio Qurban Ali Afzali (il solo professionista) che, almeno nel film, è esplicitamente effeminato e per questo interpreta ruoli comici o addirittura di donne (che hanno ancor più difficoltà ad apparire sullo schermo). Presentato a Cannes, con 3 Nomination: Golden CameraGolden Eye e Queer Palm

Ho aggiungo il trailer per darvene un’idea, anche se non rende il giusto merito al film nel suo complesso. Il titolo è una chiara e ironica allusione a Hollywood e Bollywood.

   

Black Medusa (Youssef Chebbi, Ismaël, 2021, Tun)

Interessante la fotografia in bianco e nero, ma con prevalenza di grigi e tante sfocature totali. Pochissimi i dialoghi in questo discusso film nel quale i registi (entrambi al loro primo lungometraggio) hanno curato più la parte artistica che la sostanza. Singolare anche il commento sonoro, quasi tutto in musica elettronica. La storia si sviluppa nel corso di 9 notti durante le quali viene mostrata una inaspettata vita notturna tunisina, fra tradizione e modernità. La protagonista frequenta da sola locali nei quali non mancano musica e alcool, a caccia della sua prossima vittima.

Dune (Denis Villeneuve, 2021, USA/Can)

Premesso che i miei commenti per questo genere di film sono ancor meno affidabili del solito, l’ho trovato banale, lento e molto meno spettacolare di quanto pubblicizzato. Anche le interpretazioni sono molto al di sotto della media a cominciare da quella dell'esageratamente sopravvalutato Timothée Chalamet. Non per niente delle 10 Nomination appena ottenute solo 2 sono importanti (miglior film e sceneggiatura) e solo per merito del libro dal quale è tratto. Giustamente Jodorowski lo ha definito “commerciale e prevedibile”; ricordo a quanti non lo sapessero che il geniale regista cileno negli anni ’70 ha lavorato ad un mega-adattamento di questo romanzo del 1965 di Frank Herbert, ma in stile molto più “psichedelico”, con attori professionisti e non, del calibro di Orson Welles, Salvador Dalì e Mick Jagger, con una durata prevista di circa 14 ore! Su tale idea nel 2013 fu prodotto un documentario dal titolo Jodorowski's Dune, diretto da Frank Pavich; nel trailer che vi propongo potrete vedere che varie idee di allora sono state riprese nel film di Villeneuve

Una volta abbandonata l’idea per non aver ottenuto il budget necessario, i diritti furono ceduti e la storyboard realizzata con i disegni di Moebius fu saccheggiata sotto ogni punto di vista, anche da film di grande successo come Star Wars (1977) e Alien (1979). Guardate Dune 2021 solo se siete proprio appassionati di sci-fi, ma anche in questo caso vedrete che nel recente passato è stato prodotto di meglio.

The worst person in the world (Joachim Trier, 2021, Nor)

Non sarà la peggiore in assoluto, ma certamente sembra una persona de evitare. Al di là di come si presenta, spesso con un sorriso smagliante (ebete), si rivela essere una persona incostante ed inaffidabile, bugiarda e ipocrita. Ennesimo film in cui si dimostra che il politically correct a tutti i costi e/o il voler appoggiare, giustificare e comprendere tutto e tutti alla fine non paga. Come già scritto, molte di queste società nordiche che vengono portate ad esempio come vicine alla perfezione, lo sono spesso solo come struttura sociale, ma nei rapporti personali e familiari sono mediamente perdenti nei confronti dei paesi più al sud. Le Nomination per miglior film straniero e sceneggiatura originale dimostrano ancora una volta che non c’è molto qualità nella cinematografia di questi anni ‘20; ha ottenuto anche la Nomination Palma d’Oro a Cannes, dove Renate Reinsve è stata giudicata miglior attrice. 

domenica 6 febbraio 2022

Microrec. 41-45 del 2022: 2 molto probabili Oscar e altro

In campo Oscar c’è il film dato per unico vero contendente di Encanto nel gruppo animazione, nonché uno indicato come pluripremiato che potrebbe ottenere risultati simili a quelli di Parasite 2 anni fa. Li affiancano un classico Rohmer e due produzioni molto originali di paesi freddi: Norvegia e Islanda.

 
Drive My Car (Ryûsuke Hamaguchi, 2021, Jap)

Della ventina scarsa di film potenzialmente candidati agli Oscar fin qui guardati, questo è senza alcun dubbio il migliore, con un’ottima sceneggiatura ancorché molti la troverann0 un po’ criptica. Dramma psicologico che, essendo oltretutto lungo (3 ore) e colto (senza grande azione, che comunque non manca), molti troveranno noioso, ma i contenuti, intervallati da originali twist nelle relazioni personali fra i protagonisti, lo rendono particolarmente interessante. A chi volesse guardarlo consiglio di leggere prima un seppur breve riassunta della trama di Zio Vanja di Cechov. Oltre alla qualità generale, è da apprezzare la scena conclusiva che lascia agli spettatori la scelta per la sua interpretazione. Finora 3 Premi e Nomination Palma d’Oro a Cannes, 3 Nomination BAFTA (si assegneranno il 13 marzo) e altri 54 premi (per ora). Consigliato agli amanti del buon cinema.

Conte d'hiver (Éric Rohmer, 1992, Fra)

Classica commedia drammatica, secondo dei 4 Racconti delle quattro stagioni; di gran qualità come al solito. La protagonista è una ragazza madre irrequieta e molto indecisa, che passa da un compagno all’altro continuando a sognare di ritrovare il suo unico e grande amore, padre di sua figlia. Interessanti e ben caratterizzati i protagonisti, dalla nonna alla nipotina. La narrazione, pur priva di grandi eventi, è fluida e piacevole, come di consueto. Premio FIPRESCI a Berlino, miglior film dell’anno per Cahiers du Cinéma. Consigliato.

  
Echo (Rúnar Rúnarsson, 2019, Isl)

Film molto particolare, un collage di una cinquantina di scene riprese (con camera fissa) durante le feste natalizia, fra la Vigilia e il Capodanno. Molte sono ironiche, alcune caustiche, altre drammatiche o triste. Le situazioni sono molto varie, dal funerale di un bambino ad un parto, da feste familiari a problemi di coppia, da scuse per bullismo passato a volontà di disintossicazione. Buone le riprese che riescono ad includere tutta l’attività dei protagonisti, cosi come i brevi dialoghi ridotti a volte solo a un paio di battute. Con tutto l’apparente ordine e perfezione dei paesi nordici, appare che i problemi sociali siano uguali in tutto il mondo occidentale e non sembra che la vita lì sia tanto migliore di quella dei paesi mediterranei (se non altro per il clima). Originale e in fondo divertente.

Flee (Jonas Poher Rasmussen, 2021, Den+)

Ha la particolarità (rara per i film d’animazione) di poter concorrere anche in altre categorie che non siano le solite musiche e canzoni; infatti, sembra avere buone chance di Nomination sia come miglior film straniero che documentario, ma potrebbe essere presa in considerazione la sceneggiatura. Produzione molto variegata Den/Swe/Nor/Fra/USA/ Spa/Ita/UK. La storia vera spunto alla sua base è la fuga dall’Afghanistan di una intera famiglia, dopo che il padre viene arrestato. Saranno rifugiati in vari paesi e tenteranno di passare frontiere clandestinamente pagando fior di quattrini. La storia è narrata dal più piccolo della famiglia 8ormai adulto) che si trova separato dal resto della famiglia. Animazione poco fluida, disegni essenziali ma buoni (scenografia migliore dai disegni dei protagonisti), bisognerà vedere che peso daranno i giurati ai drammatici contenuti.

Kraftidioten (Hans Petter Moland, 2021, Nor) tit. it. In ordine di sparizione

Dark comedy con tante morti violente; data l’ambientazione nei paesaggi innevati, molti lo hanno definito il Fargo (1996, f.lli Coen) norvegese, ma forse è più vicino ai film di Guy Ritchie. Per una serie di casualità viene ucciso un innocente e ciò dà la stura ad una serie di vendette e di freddi e spietati omicidi. Rimanendo all’inizio misteriosi, causano l’inizio di una sanguinosa guerra fra le due bande criminali che si dividono gli affari dell’area: i locali e una famiglia di serbi. Stellan Skarsgård veste i panni del protagonista (un operatore di spalaneve) mentre i due boss sono interpretati da Pål Sverre Hagen (il Conte) e dal solito ottimo Bruno Ganz (Papa, il capofamiglia serbo). Originale, nel suo genere non è niente male.

mercoledì 2 febbraio 2022

Microrec. 36-40 del 2022: varie produzioni molto inusuali

Fra i film presenti su MUBI e con un po' di ricerca sono tornato a girovagare fra cinematografie e film poco comuni. I tre più soddisfacenti sono legati in un modo o nell'altro all'Unione Sovietica, i due occidentali (benché premiati) sono stati molto deludenti.

 
Contest (Sostyazaniye) (Bulat Mansurov, 1964, Tkm/URSS)

Tratta di una famosa disfida musicale tenutasi un paio di secoli fa fra il virtuoso turkmeno Shukur Bakhshy e il musicista della corte persiana Ghulam Bakhshy (bakhshy = suonatore di dutar); il dutar è un liuto con manico sottile e con sole due corde (di seta), lungo da 1 a 2 metri, diffuso con nomi diversi in tutto il medio oriente, strumento nazionale dei turkmeni, kirghisi e kazaki. L’incontro è motivato da nobilissimi motivi che, nel film, vengono svelati sono nel finale. Ad alcuni potrebbe sembrare lento ma, tenendo conto dei contenuti (morali e filosofici), dell’epoca, dell’ambiente e, non ultima, della musica che richiama quella sufi, il ritmo è perfetto per questo lavoro fra lo storico e l’etnoantropologico. Fu il primo film prodotto in Turkmenistan (allora parte dell’Unione Sovietica) ad avere apprezzamenti internazionali.

Eisenstein in Guanajuato (Peter Greenaway, 2015, Mex/Net)

A partire dal documentato breve soggiorno (una decina di giorni) del regista russo nella splendida cittadina di Guanajuato, il regista-provocatore Greenaway costruisce una storia basata su un’ipotetica, assolutamente non confermata, omosessualità del creatore dei caposaldi del montaggio cinematografico, validi ancora oggi. Purtroppo, a fronte delle magnifiche immagini del Teatro Juarez (interni ed esterni) con grande utilizzo di grandangoli e fisheye, delle riprese nei peculiari passaggi sotterranei, dei primi piani delle famose mummie (cadaveri disseccati), delle panoramiche sui coloratissimi edifici, delle bi- e tri-partizioni dello schermo con inserimento di immagini di repertorio e talvolta spezzoni dei film di Eisenstein sullo sfondo, ci sono lunghe pause di tipo teatrale o erotico con dialoghi poco convincenti e recitazione esageratamente sopra le righe. Vale assolutamente la pena adi guardarlo per la fotografia e montaggio, da evitare per la sceneggiatura. Certamente più godibile per chi ha familiarità con la filmografia del regista russo e con nomi e volti di rivoluzionari e artisti messicani (tutti dovrebbero almeno riconoscere Frida Kahlo).

  
The Dazzling Light of Sunset (Salomé Jashi, 2016, Geo)

Fra documentario e cinéma-vérité, girato in una piccola comunità rurale della Georgia. Produttore e giornalista dell’unica emittente locale informano costantemente e dettagliatamente la cittadinanza di piccoli avvenimenti come il ritrovamento di un gufo, elezioni con litigi, spettacoli musicali, improponibili sfilate di moda e si occupano anche di necrologi. Tutto più che credibile e realistico, ma con una evidente vena di ironia e humor nero. Alcune situazioni non sembrano molto diverse da quelle che si vivono in altri paesi. Socialmente interessante, ma niente di più.

First Cow (Kelly Reichardt, 2019, USA)

Gode di buona critica (miglior film dell’anno per Cahiers du Cinéma e Nomination Orso d’Oro a Berlino) ed è certamente un western di pionieri (in Oregon) originale, ma la storia, le interpretazioni e la narrazione lasciano molto a desiderare. La statistica di 25 riconoscimenti e 154 nomination suggerisce che è stato presentato dappertutto ma senza grande successo. Manca la continuità, spesso i dialoghi sono fra persone fuori campo e procedono anche se cambia la scena, molti avvenimenti appaiono come poco plausibili o irrazionali; la prima decina di minuti è assolutamente inutile e neanche la location convince. Consiglio di non perderci tempo.

L'enfant d'en haut - Sister (Ursula Meier, 2012, Swi)

Inspiegabilmente (a mio modesto parere) premiato con l’Orso d’Argento (premio speciale … perché?) e Nomination Orso d’Oro a Berlino; è stata anche la candidatura svizzera per gli Oscar. Dramma sulla relazione molto particolare dei soli due giovani componenti di una famiglia che vive in un appartamento di case popolari, in una valle ai piedi di rinomata località sciistica in Svizzera. Vivono soprattutto dei proventi dei furti perpetrati dal ragazzino, ma senza alcuna organizzazione né logica e tantomeno morale. Bah …