Cercando
una foto da aggiungere alla micro-recensione #346 del 2017, mi sono imbattuto in un
divertente, ma molto arguto, post pubblicato su revistacinefagia.com dal
titolo appunto La mujer que no tuvo infancia. L’articolo,
a firma di Marco González Ambriz, inizia con una considerazione che posso
riassumere così:
“Ci sono nomi che fanno impallidire anche il più irriducibile “cinéfago” e che sono capaci di curare chiunque dalla dipendenza dalla settima arte”
Fra i suddetti attori e registi include perfino nomi di fama internazionale come Manuel de Oliveira e Theo Angelopoulos (ovviamente qualcuno non è d’accordo ... e altri non hanno la benché minima idea
di chi siano), per poi passare ai messicani e prosegue:
“Ciò che li accomuna è che i loro film non devono essere viste neanche per scherzo. La cinefagia ha i suoi limiti. Giunge un momento nella vita di chiunque nel quale ci si deve chiedere se vale la pena di sorbirsi film come Parola e Utopía giusto per “completismo”. E’ vero che per i veri amanti del cinema l’importante è divorare quanti più film possibile (François Truffaut diceva “Tre film al giorno, tre libri alla settimana, dei dischi di grande musica faranno la mia felicità fino alla mia morte” n.d.r.) senza preoccuparsi dei riconoscimenti o dei record di incassi, ma questo a volte conduce a esperienze molto poco gradevoli. Per questo motivo è consigliabile conoscere la lista di attori, registi, sceneggiatori da evitare ad ogni costo.”
E
qui entra in gioco Libertad Lamarque,
da alcuni vista come
“l'emblema del melodramma lacrimevole e stucchevole, con sentimentalismo superficiale, esagerato e falso, che servì da modello per la creazione delle telenovelas, che lo superarono in quanto a morale ipocrita e ad idiozia, fino a divenire intrattenimento preferito di spettatori cerebrolesi.” (sic!)
Per
onor del vero Doña Liber (così veniva chiamata) si guadagnò questa fama con
numerose interpretazioni del genere tanto che molti giovani messicani che non focalizzano
immediatamente ottimi caratteristi come Joaquín
Pardavé, Andrés Soler o Sofía Álvarez, collegano invece immediatamente
il nome Libertad Lamarque a quella
signora con accento argentino che sparge lacrime a iosa, si mette le mani nei
capelli, si lamenta delle sue sventure strepitando a piena voce e, appena può, canta ... una specie di Julie Andrews latina.
A
questo punto Marco González Ambriz
attacca senza mezzi termini Emilio
García Riera (autore della “Historia Documental del Cine Mexicano”,
18 volumi nei quali commenta oltre 3.500 film prodotti fra il 1929 e il 1976) contestandogli
di essere un “collezionista di dati” e non uno storico del cinema. Le critiche mosse a La mujer que no tuvo infancia dimostrano palesemente che non avesse visto il film che invece, secondo lui, è una sottile e arguta presa in giro di
quel tipo di melodrammi di medio e basso livello, pieni di luoghi
comuni, personaggi stereotipati e gioventù assolutamente poco rispondente alla
situazione reale che alla fine dei ’50 si evolveva rapidamente. In pratica sostiene che, nonostante la presenza della famigerata Libertad Lamarque, il film ha i suoi pregi e quindi implicitamente la esclude dalla lista nera.
346 La mujer que no tuvo infancia (Tito Davison, Mex, 1957)
con Libertad Lamarque, Pedro Armendáriz, Elsa Cárdenas * IMDb 7,5
Personalmente
sono d’accordo con González Ambriz
in quanto mi pare evidente che Tito Davison (regista e co-sceneggiatore del film, certo non fra i più titolati cineasti
messicani ma lungi dall'essere un inetto incapace) tratta la storia, di per sé abbastanza scontata, senza eccessi, con garbo, senza personaggi troppo poco plausibili e con una buona dose di satira sociale dipingendo un ambiente già ampiamente sfruttato in precedenza, ma quasi sempre con poco gusto, e mirando al ridanciano di basso livello.
Nel film Libertad Lamarque, già sposa bambina e appena divenuta vedova, soffre di uno sdoppiamento della personalità (più che altro dell'età) e si trova a combattere gli avidi e bigotti vecchi cognati Matilde, Cleotilde e Andrés, per fortuna con l'aiuto dell'esecutore testamentario interpretato da Pedro Armendáriz che certo non ricorderà questo film come uno dei suoi più memorabili, ma probabilmente si divertì a non interpretare (una volta tanto) il cattivo, duro, rude classico macho messicano ... non per niente Luis Buñuel lo ritenne perfetto per il ruolo di protagonista in El bruto (1953).
In effetti Libertad Lamarque negli anni ’40 era già famosa attrice drammatica
e apprezzata interprete di boleri, tango e canzoni popolari latine e a
quel tempo si guadagnò il soprannome "La Novia de América" (la
sposa dell’America), ma dopo una decina di anni era diventato “Regina del
melodramma".
Con
un salto di oltre 30 anni, mi accingo alla visione di una decina dei 15 film che
non ho ancora visto delle “30 mejores peliculas mexicanas 1990-2012”.