Si spazia da uno dei più famosi film egiziani di metà secolo scorso (noto sia per qualità che per lo scalpore che suscitò) a un paio di recenti film dell'estremo oriente, passando per la Nouvelle Vague francese e un documentario su un discusso ma apprezzato regista-sceneggiatore hollywoodiano.
Cairo Station (Youssef Chahine, 1958, Egy)
Subito prima di Jamila,
nello stesso anno, Youssef Chahine diresse e interpretò questo che a
tutt’oggi è il suo film più famoso: Bab el hadid (trad. lett. Il
cancello di ferro). Drammatico, un po’ di commedia, abbastanza osé per
l’epoca, noir e infine thriller (molti vedono nel finale un’anticipazione delle
scene conclusive di Psycho (Hitchcock, 1960). Fra i tre
protagonisti certamente quelli che colpiscono per ruolo e per interpretazione
sono Hend Rostom (famosissima attrice, all’epoca sogno proibito di tutti
gli egiziani) nelle vesti (che in più momenti lasciano ben poco
all’immaginazione) di Hanuma, una venditrice abusiva di bibite, e lo stesso Youssef
Chahine, sorprendentemente bravo a impersonare Qinawi un venditore di
giornali claudicante ossessionato dalle donne. Apprezzabile sotto ogni punto di
vista, fu a un passo dall'ottenere l’Orso d’Oro a Berlino, ma per sua sfortuna
si trovò la strada sbarrata da Il posto delle fragole (1957, Ingmar
Bergman). Interessante anche lo spaccato che ci fornisce della società
egiziana a fine anni ’50 approfittando dell’ambiente della stazione nella quale
confluiscono le classi sociali più varie e dove si confrontano quelli che lì
cercano di guadagnarsi da vivere. I forti contrasti fra passato e modernità si
notano nel modo di vestire, di agire, nella musica e a livello lavorativo visto
che il terzo protagonista lotta per costituire un sindacato fra i lavoratori
della stazione. All’uscita in Egitto fu molto apprezzato dalla critica, ma
condannato dal pubblico e dai benpensanti tanto da farlo ritirare dalla
circolazione. Le molte scene con “troppa carne scoperta” (che mi hanno
ricordato tanto Buñuel), sempre accompagnate dagli sguardi
esplicitamente libidinosi di Qinawi, hanno di fatto tenuto al bando il film per
ben 20 anni. Forse anche per questo, quando si ricominciò a proporlo, dal 1978
fu acclamato da tutti e consacrò Youssef Chahine come il genio del
cinema egiziano.
Lola (Jacques Demy, 1961, Fra)
Film di esordio
di uno dei registi dello sparuto gruppo di iniziatori del movimento della Nouvelle
Vague francese. Tuttavia, Demy si distinse ben presto dai suoi
sodali come Truffaut e Godard per dedicarsi (con gran successo)
ai musical che lo resero famoso pochi anni dopo: Les parapluies de
Cherbourg (1964, 5 Nomination Oscar e Palma d’Oro a Cannes) e Les
demoiselles de Rochefort (1967, Nomination Oscar). Questo suo primo
film invece è molto più fedele ai principi della Nouvelle Vague con
tanta camera a mano e piani sequenza, una storia semplice con tanti personaggi
e storie secondarie ben distribuite. La prestigiosa rivista Cahiers du
Cinéma lo giudicò miglior film dell’anno; la protagonista Lola è
interpretata da Anouk Aimée. Piacevole visione, non demerita certo nei
confronti di tanti altri film della stessa epoca e con gli stessi intenti.
Sam Peckinpah: Man of Iron (Paul Joyce, 1993, USA)
Ottimo e ironico
documentario descrittivo del personaggio Peckinpah … anche se non è
strutturato come un documentario classico con voce narrante e un certo ordine
nei temi. In effetti si tratta di una serie di interviste e commenti di suoi
stretti collaboratori e attori che da lui sono stati diretti, in primis James
Coburn, Kris Kristofferson, Jason Robards, Ali MacGraw
e qualche suo fedelissimo come L.Q. Jones. Si alternano commenti sulla
personalità e vita privata del regista e sui suoi metodi di gestire il set, il
montaggio e i sempre difficili rapporti con i produttori. Un relativo limite
per godersi il documentario è quello della conoscenza dei film di Peckinpah
e quindi degli interpreti e dei ruoli ricoperti.
Moving On (Dan-bi Yoon, 2019, Kor)
Esordio (e per
ora unico film) di una giovane promettente regista-sceneggiatrice coreana. Delicato
ritratto di parte di una famiglia che si ritrova a vivere nella casa dell’anziano
e malandato nonno. I primi ad arrivare sono il figlio con i suoi due figli,
abbandonati dalla madre. Si aggiunge la figlia che si trova prossima al divorzio.
I ragazzi (lei 14enne e lui una decina di anni) vivono tutti i problemi della
loro età e, pur andando sostanzialmente d’accordo, hanno anche i loro scontri.
Gli adulti (a questo punto tutti single. il nonno è vedovo) cercano di
organizzarsi quanto meglio possibile anche se economicamente non se la passano
benissimo. Ciò che risulta e risalta è lo spirito di famiglia e l’affetto di
ognuno dei confronti di tutti gli altri. Un buon ritmo e le buone interpretazioni
rendono questo film quasi corale, anche se il padre e i due ragazzi sono i veri
protagonisti.
Fuku-chan of FukuFuku Flats (Yosuke
Fujita, 2014, Jap)
Commedia ricca
di personaggi tipicamente giapponesi, tutti con le loro manie, i loro problemi
di relazione, con tanti tipici ossequi, formalità e salamelecchi, salvo poi esplodere
in episodi di violenza più o meno gratuita e in effetti ingiustificata. I protagonisti
molto particolari e in sostanza diversi fra loro vengono messi a confronto in situazioni
e ambienti disparati, a volte con sarcasmo, a volte con humor nero, altre volte
con aspetti buonisti e romantici. Ne risulta un film discontinuo con trovate
quasi geniali contrapposte a varie banalità e cadute di stile a cominciare
dalla pressoché inutile scena iniziale. Sufficiente come curiosità
antropologica, si gusta un po’ di più se si consceo almeno qualcosa della
cultura nipponica.
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