Cinquina molto varia con un controverso film appena giunto nelle sale, due francesi degli anni ’50 e due ottimi documentari “catastrofici”.
Les diaboliques (Henri-Georges Clouzot, 1955, Fra)
Apprezzatissimo
film di Clouzot, un maestro del noir-thriller francese di metà secolo scorso. Con
un ottimo cast (Simone Signoret, Véra Clouzot, Paul Meurisse
e Charles Vanel) mette in scena un film degno di Hitchcock, visto
che si assiste alla pianificazione e alla successiva attuazione di un omicidio …
ma non finisce lì. Bella anche l’ambientazione nel collegio per ragazzini
adolescenti (talvolta troppo curiosi) e l’utilizzo di personaggi di contorno sapientemente
e ironicamente descritti. Per vostra informazione, sappiate che Véra Clouzot
fu apprezzata attrice teatrale brasiliana arrivata in Francia al seguito del
suo primo marito ma sul set di Quai des Orfèvres (altro ottimo
film di Clouzot) ci fu il classico colpo di fulmine con il regista che
poi sposò, prendendone il cognome; i suoi unici tre film sono diretti lui. Da
non perdere.
The War Game (Peter Duffel, 1966, UK)
Documentario abbastanza
angoscioso che mostra in modo quasi scientifico i possibili sviluppi di una
guerra nucleare, ipotesi molto discussa in quell’epoca di guerra fredda. I dati,
come si apprende dai titoli di coda, sono ricavati da studi effettuati sulle
conseguenze dei bombardamenti in Germania alla fine della II Guerra Mondiale e
anche sugli effetti che si sono protratti nel temo a seguito del lancio delle
bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Le scene mostrate sono ambientate in
varie cittadine del Kent (UK) e furono realizzate con la partecipazione attiva della
popolazione facendone un prodotto al limite fra documentario e fiction. E nella
categoria documentari The War Game vinse l’Oscar, nonché 2 BAFTA
e il Premio Speciale a Venezia.
La Soufrière (Werner Herzog, 1977, Ger)
Altro
documentario mediometraggio ma in questo caso la minaccia di catastrofe
(il tema comune di una mezza dozzina di film presentati alla Cinemateca
Portuguesa) viene dalle forze della natura. In quell’anno il vulcano di tal
nome situato sull'isola di Saint Vincent, nei Caraibi, iniziò una intensissima
attività che fu unanimemente interpretata come premonitrice di una imminente eruzione
esplosiva e distruttiva, tanto da far decidere di evacuare preventivamente varie
decine di migliaia di persone lasciando i villaggi completamente deserti. Quando
si sparse la voce che un solo abitante aveva deciso di rimanere, Herzog
partì dalla Germania con i suoi operatori per riprendere delle scene quasi
surreali di un paese vivo eppure deserto; il resoconto lo paragona a Pompei
dove egualmente la vita si fermò all’improvviso.
L'ècole des cocottes (Jacqueline Audry, 1957, Fra)
Alla Cinemateca
è anche in corso una retrospettiva di Jacqueline Audry, una delle
pochissime registe dell’epoca, insieme con la più nota Agnès Varda. I
suoi film erano abbastanza apprezzati dalla critica e avevano un gran successo
di pubblico visto che si distinguevano dalla maggioranza per avere donne come
protagoniste, talvolta un po’ sprovvedute, altre audaci e intraprendenti, altre
ancora al limite della morale comune (come si vedrà in Olivia). La
sua carriera fu praticamente stroncata dall’avvento della Nouvelle Vague.
Questo è ben tratto da una farsa (del genere vaudeville o pochade che dir si
voglia) e segue l’ascesa sociale di una avvenente ragazza guidata e istruita da
un nobile decaduto, improvvisatosi maestro di buone maniere. Senza pretese,
tuttavia piacevole e divertente, con una buona dose si ironia in merito ai
comportamenti dei ricchi snob.
Respect (Herman Shumlin, 2019, USA)
Certamente
saprete che si tratta di un biopic di Aretha Franklin, qui per lo più
interpretata da Jennifer Hudson, già Oscar non protagonista al suo
esordio cinematografico in Dreamgirls (2006). In effetti vengono
trattati due periodi ben precisi della sua vita, il primo verso i 10 anni (quindi,
interpretata da un’attrice ben più giovane, la brava esordiente Skye Dakota
Turner) e poi dai 17 ai 30 seguendo le sue avventure e disavventure, nella
vita privata e nella sfera dei rapporti personali. I critici non l’hanno accolto
troppo bene lasciandolo al limite della sufficienza (6,6 su IMDb e 68% su RT) e
quasi tutti concordano sul fatto che il film sia tenuto in piedi esclusivamente
dalla parte musicale e dalle performance di Jennifer Hudson la quale,
per inciso, fu scelta proprio da Aretha Franklin per interpretarla sullo
schermo. In effetti risulta nel complesso un po’ noioso e certamente troppo
lungo (quasi 2 ore e mezza) e il cast di contorno non si distingue
particolarmente … resta solo le canzoni dell’artista che poi appare in immagini
di repertorio al fianco dei titoli di coda.
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