venerdì 15 ottobre 2021

Micro-recensioni 286-290: World Cinema, di ieri e di oggi

Si spazia da uno dei più famosi film egiziani di metà secolo scorso (noto sia per qualità che per lo scalpore che suscitò) a un paio di recenti film dell'estremo oriente, passando per la Nouvelle Vague francese e un documentario su un discusso ma apprezzato regista-sceneggiatore hollywoodiano.

 
Cairo Station (Youssef Chahine, 1958, Egy)

Subito prima di Jamila, nello stesso anno, Youssef Chahine diresse e interpretò questo che a tutt’oggi è il suo film più famoso: Bab el hadid (trad. lett. Il cancello di ferro). Drammatico, un po’ di commedia, abbastanza osé per l’epoca, noir e infine thriller (molti vedono nel finale un’anticipazione delle scene conclusive di Psycho (Hitchcock, 1960). Fra i tre protagonisti certamente quelli che colpiscono per ruolo e per interpretazione sono Hend Rostom (famosissima attrice, all’epoca sogno proibito di tutti gli egiziani) nelle vesti (che in più momenti lasciano ben poco all’immaginazione) di Hanuma, una venditrice abusiva di bibite, e lo stesso Youssef Chahine, sorprendentemente bravo a impersonare Qinawi un venditore di giornali claudicante ossessionato dalle donne. Apprezzabile sotto ogni punto di vista, fu a un passo dall'ottenere l’Orso d’Oro a Berlino, ma per sua sfortuna si trovò la strada sbarrata da Il posto delle fragole (1957, Ingmar Bergman). Interessante anche lo spaccato che ci fornisce della società egiziana a fine anni ’50 approfittando dell’ambiente della stazione nella quale confluiscono le classi sociali più varie e dove si confrontano quelli che lì cercano di guadagnarsi da vivere. I forti contrasti fra passato e modernità si notano nel modo di vestire, di agire, nella musica e a livello lavorativo visto che il terzo protagonista lotta per costituire un sindacato fra i lavoratori della stazione. All’uscita in Egitto fu molto apprezzato dalla critica, ma condannato dal pubblico e dai benpensanti tanto da farlo ritirare dalla circolazione. Le molte scene con “troppa carne scoperta” (che mi hanno ricordato tanto Buñuel), sempre accompagnate dagli sguardi esplicitamente libidinosi di Qinawi, hanno di fatto tenuto al bando il film per ben 20 anni. Forse anche per questo, quando si ricominciò a proporlo, dal 1978 fu acclamato da tutti e consacrò Youssef Chahine come il genio del cinema egiziano.

Lola (Jacques Demy, 1961, Fra)

Film di esordio di uno dei registi dello sparuto gruppo di iniziatori del movimento della Nouvelle Vague francese. Tuttavia, Demy si distinse ben presto dai suoi sodali come Truffaut e Godard per dedicarsi (con gran successo) ai musical che lo resero famoso pochi anni dopo: Les parapluies de Cherbourg (1964, 5 Nomination Oscar e Palma d’Oro a Cannes) e Les demoiselles de Rochefort (1967, Nomination Oscar). Questo suo primo film invece è molto più fedele ai principi della Nouvelle Vague con tanta camera a mano e piani sequenza, una storia semplice con tanti personaggi e storie secondarie ben distribuite. La prestigiosa rivista Cahiers du Cinéma lo giudicò miglior film dell’anno; la protagonista Lola è interpretata da Anouk Aimée. Piacevole visione, non demerita certo nei confronti di tanti altri film della stessa epoca e con gli stessi intenti.

  
Sam Peckinpah: Man of Iron (Paul Joyce, 1993, USA)

Ottimo e ironico documentario descrittivo del personaggio Peckinpah … anche se non è strutturato come un documentario classico con voce narrante e un certo ordine nei temi. In effetti si tratta di una serie di interviste e commenti di suoi stretti collaboratori e attori che da lui sono stati diretti, in primis James Coburn, Kris Kristofferson, Jason Robards, Ali MacGraw e qualche suo fedelissimo come L.Q. Jones. Si alternano commenti sulla personalità e vita privata del regista e sui suoi metodi di gestire il set, il montaggio e i sempre difficili rapporti con i produttori. Un relativo limite per godersi il documentario è quello della conoscenza dei film di Peckinpah e quindi degli interpreti e dei ruoli ricoperti.

Moving On (Dan-bi Yoon, 2019, Kor)

Esordio (e per ora unico film) di una giovane promettente regista-sceneggiatrice coreana. Delicato ritratto di parte di una famiglia che si ritrova a vivere nella casa dell’anziano e malandato nonno. I primi ad arrivare sono il figlio con i suoi due figli, abbandonati dalla madre. Si aggiunge la figlia che si trova prossima al divorzio. I ragazzi (lei 14enne e lui una decina di anni) vivono tutti i problemi della loro età e, pur andando sostanzialmente d’accordo, hanno anche i loro scontri. Gli adulti (a questo punto tutti single. il nonno è vedovo) cercano di organizzarsi quanto meglio possibile anche se economicamente non se la passano benissimo. Ciò che risulta e risalta è lo spirito di famiglia e l’affetto di ognuno dei confronti di tutti gli altri. Un buon ritmo e le buone interpretazioni rendono questo film quasi corale, anche se il padre e i due ragazzi sono i veri protagonisti.    

Fuku-chan of FukuFuku Flats (Yosuke Fujita, 2014, Jap)

Commedia ricca di personaggi tipicamente giapponesi, tutti con le loro manie, i loro problemi di relazione, con tanti tipici ossequi, formalità e salamelecchi, salvo poi esplodere in episodi di violenza più o meno gratuita e in effetti ingiustificata. I protagonisti molto particolari e in sostanza diversi fra loro vengono messi a confronto in situazioni e ambienti disparati, a volte con sarcasmo, a volte con humor nero, altre volte con aspetti buonisti e romantici. Ne risulta un film discontinuo con trovate quasi geniali contrapposte a varie banalità e cadute di stile a cominciare dalla pressoché inutile scena iniziale. Sufficiente come curiosità antropologica, si gusta un po’ di più se si consceo almeno qualcosa della cultura nipponica.

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