340 The Irishman (Martin Scorsese, USA,
2019) * con Robert DeNiro, Joe Pesci, Al Pacino *
IMDb 8,6
RT99%
E per pura (e fortunata) combinazione,
sono riuscito a godermi in sala, con schermo grande e ottimo audio quest'ultima
fatica di Scorsese che riempirebbe qualunque sala, in qualunque parte
del mondo e non per un solo giorno. Trovo assolutamente insensata la prova di
forza di Netflix che obbliga milioni di spettatori ad accontentarsi dello
streaming, specialmente considerando che la percentuale di quelli che possono
contare su una connessione veloce e schermo HD abbastanza grande è ancora
bassa. Chi può dovrebbe comunque guardarlo in versione originale per apprezzare
il caratteristico accento e slang di quell’ambiente e le varie frasi pronunciate
in cattivo dialetto italiano (assolutamente reale).
Nel complesso mi sono piaciute molto le
prime ore, con buona sceneggiatura in stile classico fra mafiosi italoamericani, con alcuni divagazioni da dark comedy, ma verso la fine il film è scaduto di qualità e di ritmo. La
ricostruzione di ambienti, le scenografie, la scelta di abiti, arredamenti,
auto ecc, si fa apprezzare per meticolosità e ricchezza di particolari, anche
la colonna sonora è piacevole e ben strutturata.
Veniamo agli attori principali: DeNiro
bravo ma con espressioni viste e riviste, Al Pacino un po' sopra le
righe, quello che si distingue su tutti è secondo me Joe Pesci, quasi
certo candidato Oscar come non protagonista. Mi ha meravigliato la scelta di
includere nomi noti in parti ridottissime come quella di Anna Paquin
(che proferisce solo 6 parole) e ancor più a Harvey Keitel, un vero
peccato.
Come tutti sapranno si è quasi
rinunciato al trucco per ringiovanire gli attori principali (la parte sostanziale
del film spazia su vari decenni) utilizzando invece il modernissimo de-aging
VFX (editing digitale per ridurre l’età degli attori). Pur costando una
fortuna e fornendo risultati decenti, i volti ringiovaniti appaiono “gommosi” e,
ricordando l’aspetto dei vari attori quando erano effettivamente più giovani,
poco soddisfacenti.
La regia di Scorsese non si
discute, a partire dalla prima contorta carrellata / soggettiva in avanti e
tante altre ottime sequenze e riprese, ma devo dire che ho trovato quelle al
rallentatore assolutamente fuori contesto e, permettetemi, inutili. Spesso
appare autoreferenziale non solo per personaggi, ambiente ed epoca, ma più
volte anche nelle inquadrature come quella “storica” del primo piano della
ruota e parte anteriore dell’auto che avanza lentamente nella notte (Taxi
Driver).
Film da
non perdere, ma veramente non comprendo la necessità - o scelta che sia - di
farlo durare 3 ore e mezza. Ho guardato tanti film di pari durata e anche più
lunghi senza batter ciglio, ma questo non riesce a mantenere veramente desta
l'attenzione fino alla fine. In sala si percepivano vari segni di insofferenza e
gli applausi finali non sono sembrati troppo convinti, certamente non scroscianti.
339
A Vida Invisível (Karim
Aïnouz, Bra, 2019) tit. It. “La vita invisibile di Eurídice Gusmão” * con Carol Duarte, Julia Stockler, Fernanda
Montenegro * IMDb 7,8 RT92% *
Premio Un Certain Regard a Cannes 2019
Film più che soddisfacente, con una
buona sceneggiatura (per la verità a tratti un po' confusa) e, soprattutto, una
fotografia veramente ottima, quasi tutta con luce naturale, senza alcuna luce
sparata da angolazioni impossibili. I colori sono per lo più pastello, con toni
saturi, quasi assenti ombre ben definite. Le prove delle due protagoniste sono
senza dubbio di buon livello e anche i personaggi di contorno sono molto ben
interpretati, soprattutto Zelia (Maria Manoella) e Filomena (Bárbara
Santos), con la sola eccezione di Gregório Duvivier, ma si deve
onestamente dire che il suo personaggio (Antenor) è abbastanza insulso. Seppur limitata
in una breve ma intensa apparizione nelle vesti di Eurídice anziana, Fernanda Montenegro (Nomination come protagonista di Central
do Brasil, 1998, di Walter Salles) si fa notare con una interpretazione
di tutto rispetto.
La storia si sviluppa nell'arco di
quasi un decennio (anni '50) per poi saltare nel finale quasi ai nostri giorni.
Narra di due sorelle Eurídice (Claudia Duarte) e Guida (Julia
Stockler) che cercano disperatamente di mettersi in contatto con l’altra dopo
essere state indotte dai genitori a pensare di essere distanti pur vivendo
nella stessa città. Viene presentata una Rio de Janeiro con società profondamente
maschilista, nella quale le donne devono lottare per avere i loro spazi e perseguire
le proprie aspirazioni.
Pur non avendo visto altri film
presentati nella sezione Un Certain Regard dell'ultimo Festival di Cannes (ma
in settimana avrò occasione di guardare Dylda / Beanpole),
penso che il riconoscimento ottenuto sia stato meritato.
Consigliato ... in Italia è già uscito
in sala, non so se è ancora in giro.
338 The Last Color (Vikas Khanna, India,
2019) * con Aqsa Siddique, Neena Gupta, Rajeswar Khanna, Aslam Shekh * IMDb 7,3
Prodotto, scritto e diretto da un cuoco
/ scrittore (e ora regista) dalle visioni evidentemente molto moderne e progredite
per alcune aree dell'India ... e questo è il suo problema. Chiarisco, in un
film di appena un'ora e mezza, la metà del classico standard di oltre 3 ore, ha
voluto stipare tanti dei problemi atavici che permangono in alcune comunità
indiane quali: isolamento delle vedove e tutte le limitazioni a cui sono
soggette, ragazzini senza famiglia che vivono di espedienti, per strada,
transessuali, atteggiamento maschilista generalizzato, violenza generale e
familiare e, come se non bastasse, poliziotti violenti e corrotti. In questa situazione
che appare estrema se si considera la contemporaneità di quanto detto, Khanna
inserisce la storia del legame fra una giovanissima funambola e venditrice di
fiori con una anziana vedova molto rassegnata. Affronteranno tante
vicissitudini dalle quali, nella maggior parte dei casi, usciranno quasi
miracolosamente. Nonostante le buone intenzioni, il film non prende una strada
chiara, restando sospeso fra denuncia sociale, dramma, un po' di commedia e
favoletta buonista a lieto fine.
All’inizio e alla fine del film viene
ricordato che solo nel 2012 la Corte Suprema ha soppresso l’obbligo per le
vedove di vestire solo di bianco (fino ad allora non potevano usare alcun
colore) e quindi di partecipare alla Holi, la famosa festa dei colori …
ovviamente qualcuno non è ancora d’accordo.
A prescindere dalla sceneggiatura poco
omogenea, il film ha i suoi meriti: la buona interpretazione della piccola Aqsa
Siddique (Choti), giusta colonna sonora, i set naturali forniti dalle rive
del Gange e dagli edifici d'epoca di Varanasi, un'ottima fotografia.
Interessante commedia drammatica etnica.337 JoJo Rabbit (Taika Waititi, Cze/NZ, 2019) * con Scarlett Johansson, Sam Rockwell, Roman Griffin Davis, Thomasin McKenzie, Taika Waititi * IMDb 7,9 RT78%
Satira arrischiata e allo stesso tempo arguta su nazismo, indottrinamento dei più giovani e razzismo ambientata in Germania nei giorni della caduta del Terzo Reich, ma in un certo senso assimilabile d altre realtà contemporanee. Dopo aver apprezzato il ben più demenziale (ma divertente Vita da vampiri (esordio dello stesso regista/sceneggiatore/protagonista Taika Waititi) mi aspettavo di più, ma ciò è quanto spesso accade ai giovani autori che dopo essersi fatti notare per il loro primo lavoro prodotto con pochi soldi e mezzi, quando passano a maggiori budget e contano su attori di fama risultano essere meno innovativi e interessanti. Qui, oltre all’angelo custode-Hitler (interpretato da Waititi) appaiono in ruoli quasi secondari e ben più noti Scarlett Johansson e Sam Rockwell (Oscar l’anno scorso per Three Billboards Outside Ebbing, Missouri e Nomination quest’anno per Vice).
Il film procede a sprazzi, in modo per niente uniforme; trovate originali si alternano a fasi di stanca, i rapporti del protagonista con l’ectoplasma di Adolf (che risulta quasi simpatico per essere assolutamente distante dalla realtà comunemente conosciuta) e i ripetuti incontri con il suo amico del cuore tracagnotto e occhialuto sono spesso esilaranti. Al contrario, i personaggi interpretati da Johansson e Rockwell risultano essere banali e mediocri e si ha la netta sensazione che i produttori li abbiano scritturati solo per avere due nomi famosi sui poster.
A tempo perso si può guardare, ma senza aspettarsi molto, specialmente continuità.
336 Edo Castle Rebellion (Toshio Masuda,
Jap, 1991) * con Hiroki Matsukata, Yukiyo Toake, Shinobu Sakagami * IMDb 6,9
Un’eminenza grigia che trama per
mantenere il proprio (enorme) potere di consigliere anziano gestendo molto spregiudicatamente
la successione al trono nel 1680, considerato che lo shogun non ha eredi
diretti, è al centro di questo dramma storico. Come mi ha spiegato il direttore
del Movie Museum (conoscitore di storia giapponese oltre che esperto cinefilo)
tutti gli eventi narrati nel film si riferiscono a fatti e personaggi reali (verificato),
non si tratta quindi di un qualunque “film di samurai”. Trame, tradimenti e
agguati si susseguono rapidamente, e ciò causa qualche problema agli spettatori
non nippomani essendo talvolta difficile stare dietro ai discorsi in cui si
citano tanti personaggi e relativi ruoli.
Il film è pertanto più che altro basato
su trame di palazzo anche se le lame vengono sfoderate più di una volta e
compare anche una pistola!
Non leggero, ma ben realizzato e
apprezzabile per regia, fotografia (a colori) e scenografie.
Le oltre 1.400 precedenti micro-recensioni dei film visti a partire dal 2016 sono sul mio sito www.giovis.com; le nuove continueranno ad essere pubblicate su questo blog.
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