Freaks (Tod Browning, USA, 1932)
Tod Browning, dopo aver lasciato l’agiata
famiglia a 16 anni per unirsi (per amore) ad una compagnia di circensi, entrò nel
mondo del cinema come attore apparendo in una cinquantina di corti fra il 1913
e il 1915, ma la svolta ci fu con la partecipazione allo storico Intolerance
(1916) di D. W. Griffith; lasciò definitivamente la recitazione per dedicarsi
alla regia preferendo i generi crime, mistery e horror. I suoi pochi film muti
che ebbero un vero successo furono quelli con il formidabile Lon Chaney
(The Unholy Three, 1925, e The Unknown, 1927 – meritano
entrambi una visione) e poi divenne famoso per il suo Dracula (1931,
il primo americano su tale personaggio), con Bela Lugosi. Forte della
fama ottenuta si imbarcò nel folle progetto di Freaks, in origine
lungo 1h40’ ma quasi immediatamente ridotto a un’ora circa a seguito delle
proteste e dello scandalo suscitato non solo per aver mostrato tanti deformi
(che impersonavano i buoni) opposti alla bellezza e alla forza dei cattivi,
ma anche per aver inserito torture e addirittura vivisezioni (nelle parti
tagliate). Praticamente da allora sparì dalla circolazione lavorando pochissimo
ed in incognito, così come del film se ne persero quasi le tracce fino alla
riproposizione 30 anni più tardi. Nel 1962, infatti, cominciò a circolare di
nuovo ricevendo soprattutto il plauso delle nuove correnti europee e diventando
di fatto un cult.
Aguirre, furore di Dio (Werner Herzog, Ger, 1972)
Altro film diventato
una pietra miliare, sia per l’ambientazione, che per qualità nonostante il
ridottissimo budget, per come fu realizzato in ambiente naturale ostile con una
troupe tecnica di sole 8 persone, per l’incontro/scontro fra il regista e Klaus
Kinski … due geni fuori di testa che avrebbero lavorato insieme in vari
altri film fuori della norma. L’essenza della trama è tratta da una relazione
di metà ‘500 relativa alla ricerca del mitico El Dorado; Herzog elaborò
la trama estrapolando solo la parte in cui Lope de Aguirre, nel 1561, decise di
ribellarsi a Filippo II re di Spagna e conquistare gran parte dell’America
meridionali per sé. Spettacolari le scene sulle Ande, nella foresta amazzonica
e sulle zattere discendendo i corsi d’acqua, tutte più o meno improvvisate,
adattandosi alle situazioni. Per fornire una minima idea della follia del
progetto (brillantemente portato a termine, con buona dose di fortuna),
sottolineo che il budget fu di appena 370.000 dollari, di cui un terzo era la
paga di Kinski. La troupe dormiva sulle zattere o accampamenti di
fortuna, il bagno era la piccola capanna che si vede nel film, non c’erano
controfigure; per le riprese fu utilizzata la mitica cinepresa rubata da Herzog
alla scuola di cinema di Monaco … altro che megaproduzioni e effetti speciali
generati da CGI!
Il nome della rosa (J. Jacques Annaud, Ita/Fra, 1986)
Questa megaproduzione
richiese 5 anni di preparazione, la costruzione di una replica dell’abbazia di Rocca
Calascio su un colle presso Fiano Romano (il più grande set esterno dopo
Cleopatra, 1963), lunghissime selezioni per il cast per cercare attori dai
volti inquietanti. Gli interni furono invece girati in una vera abbazia fondata
nel XII secolo, quella di Eberbach in Germania. Basato sul primo romanzo di
Umberto Eco (l’unico ad avere un adattamento cinematografico) non soddisfece
l’autore perché non riuscì a proporre tutti i complessi temi trattati nel
libro, ma questo è quello che succede normalmente (e ovviamente) quando si
tenta di concentrare in un paio d’ore i contenuti di centinaia di pagine che
trattano argomenti vari, dal potere temporale della Chiesa alla persecuzione
dei presunti eretici, fra filosofia e Inquisizione, senza dimenticare la
ricerca degli autori di misteriosi omicidi. Film certamente intrigante, che
certamente avvince la maggior parte del pubblico più per il lato crime che per
quello puramente culturale.
Esperando la carroza (Alejandro Doria, Arg, 1985)
Commedia grottesca classica argentina che ruota attorno ad un’anziana signora che nessuno dei figli vuole in casa propria e le nuore ancora meno. La coppia che all’inizio del film la ospita è in ristrettezze finanziare e con una figlia di pochi mesi da accudire. In crisi isterica, Susana (che è la nuora più giovane) si precipita quindi a casa dei cognati che aspettano anche gli altri cognati per un pranzo domenicale per implorare (o costringere) una delle altre coppie a farsi carico della suocera e alle accesissime discussioni si aggiunge la comunicazione di una tragica notizia. Da apprezzare in lingua originale (castigliano rioplatense). Tratto da un lavoro teatrale di successo, non fu immediatamente ben accolto ma col passare degli anni è diventato un vero cult anche perché propone uno spaccato sociale degli anni ’70-’80. Continua ad essere proposto in tv e ci sono addirittura gruppi di fan che periodicamente si riuniscono per replicare i dialoghi del film, vestiti come i suoi personaggi, nei luoghi in cui fu girato.
Kagemusha (Akira Kurosawa,
Jap, 1980)
Pur essendo
grande estimatore di Kurosawa, devo dire che i suoi kolossal non valgono
i suoi noir, né i suoi film di samurai, pur essendo comunque molto superiori
alla media. Si perde un po’ nelle tante riprese delle masse di soldati in
continuo movimento, sempre con i loro bravi vessilli attaccati sulle spalle. Certamente
spettacolari sono i costumi ma, al contrario, sembra ci sia poca cura per gli
interni e spesso il ritmo della narrazione rallenta a tal punto da considerare
che forse le tre ore di durata non fossero strettamente necessarie. Nomination
Oscar miglior film straniero e scenografia, Palma d’Oro a Cannes.
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