Probabilmente chi legge conosce solo Picnic at Hanging Rock che, ormai quasi 50 anni fa, ebbe un buon successo … i più giovani, forse, non lo hanno neanche sentito nominare, nonostante rimanga nella storia come primo film australiano ad ottenere notorietà oltreconfine. Lo accompagnano un film politico/sociale neorealista che per anni fu bandito negli USA, uno dei migliori provocatori drammi di Fassbinder, l’ultimo film di Truffaut, tributo al suo adorato feticcio Alfred Hitchcock. e una commedia prodotta in Bhutan (!). Si tratta quindi di 5 film particolari, prodotti in 5 paesi diversi, di temi, ambienti ed epoche assolutamente differenti, poco conosciuti dal grande pubblico, ma in generale apprezzati dal pubblico (media 7,2 su IMDb) e con buone recensioni degli addetti ai lavori (85% su RT).
Vivement dimanche! (François Truffaut, Fra, 1983)
In questo suo
ultimo lavoro (sarebbe morto l’anno successivo), un crime con vari aspetti di
commedia, François Truffaut si ispira palesemente e dichiaratamente ad Hitchcock,
che notoriamente riusciva ad inserire dell’umorismo nei suoi crime e thriller. Si
avvale di due ottimi e noti attori (Fanny Ardant e Jean-Louis
Trintignant) nei panni di una intraprendente segretaria che, nonostante sia
stata appena licenziata dal suo datore di lavoro (un agente immobiliare), correndo
vari rischi tenta di aiutarlo a scagionarsi dall’accusa di uxoricidio e vari
altri omicidi. Ambientato nel sud della Francia, direi che tende più alla dark
comedy che al thriller ed è ben lontano dalla qualità hitchcockiana, ma
certamente è una piacevole visione.
In a Year of 13 Moons (Rainer Werner Fassbinder, Ger, 1978)
C’è molto della vita privata di Fassbinder, dichiaratamente omosessuale, in questo film messo in cantiere e completato in poche settimane del quale lui è praticamente autore unico, essendosi accollato l’onere di regia, soggetto, sceneggiatura, fotografia, montaggio e produzione. Lo spunto e la spinta a realizzarlo fu il suicidio del compagno nell’estate del '78, uno dei soli 6 anni per secolo con 13 lune nei quali, si dice, le persone sensibili siano particolarmente turbate. A parte le molto discusse immagini del mattatoio (nel quale il protagonista del film lavorava) il film è tragico e deprimente per la storia di Erwin/Elvira, figlio illegittimo abbandonato in orfanatrofio, sposo e padre, omosessuale che per amore cambia sesso, ma viene abbandonato. La sua depressione la porterà a cercare ed incontrare tutte le persone importanti della sua vita, ma senza risolvere niente. A prescindere dalla trama che potrebbe disturbare molti trattando temi e ambienti non accettati da tutti, il film è di eccellente qualità tecnica (chi fa da sé fa per tre) in tutti i sensi, ma in particolare per la fotografia ed inquadrature.
Salt of the Earth (Herbert J. Biberman, USA, 1954)
Basato su eventi reali, narra dello sciopero ad oltranza di
buona parte di lavoratori, per lo più immigrati, in una miniera di zinco del New
Mexico (USA). Per risolvere la questioni sollevate (sicurezza sul lavoro, salario
e pari diritti), dopo che il picchettaggio è stato proibito ai minatori, in
quanto dipendenti, interverranno le donne, non senza l’opposizione degli stessi
mariti. Si assisterà ad incidenti con la polizia, con lavoratori giunti da
altri posti, con i dirigenti della compagnia. La maggior parte delle scene furono
girate proprio nelle aree delle miniere, così come gli “attori” interpretavano
sé stessi (solo 5 erano professionisti). Già sul set intervenne la polizia, la
produzione fu dichiarata sovversiva e filocomunista (all’epoca imperava il
maccartismo), la protagonista fu deportata in Messico, il montaggio fu
realizzato di nascosto e la pellicola fu conservata in un deposito segreto. Bandita,
circolò più o meno clandestinamente in USA (e solo dopo molti anni riabilitata),
fu invece apprezzata in Europa e attualmente conta sul 100% di recensioni
positive su RT. Mi ha ricordato molto l’ottimo Matewan (1980, John
Sayles), di simile genere ma riferito alla strage di minatori di carbone di
tale cittadina del West Virginia, ricordata come massacro di Matewan (1920).
Picnic at Hanging Rock (Peter Weir, Aus, 1975)
Film che fece
conoscere la cinematografia australiana nel mondo, molto curato per le immagini
(fotografia, costumi e scenografia) ma lento e un po’ inconsistente. Eppure
servì a lanciare Peter Weir a livello internazionale e a farlo trasferire a
Hollywood dove ebbe una brillante carriera in crescendo, basti citare L'attimo
fuggente (1989), The Truman Show (1998) e Master
& Commander (2003). Come anticipato, questo film sembra più un
esercizio di fotografia, ricostruzione degli interni e costumi di un collegio d’epoca
coloniale (siamo nel 1900) e scene in ambiente naturale (meno incisivo,
nonostante il fascino della natura). Nella trama non ci sono grossi sviluppi e
molte incognite non verranno definitivamente risolte, rimanendo sospeso fra lo
spirituale, il mistero e il mistico.
The Cup (Khyentse
Norbu, Bhutan/Aus, 1999)
Veramente mi aspettavo
qualcosa di più da questo film che fu addirittura la proposta bhutanese per i
film non in lingua inglese agli Oscar (per conoscenza diretta, hanno prodotto film
migliori). La particolarità è che si svolge quasi interamente in un monastero che
accoglie i profughi tibetani dopo l’invasione dei cinesi che distrussero
migliaia di monasteri nel loro paese. Almeno in questo caso, da come viene
mostrato nel film interpretato quasi esclusivamente da non professionisti, la
vita degli allievi e i loro rapporti non sono molto differenti da quelli nei
collegi del resto del mondo. Oltretutto è evidente che molti si trovano lì non
per vocazione ma per necessità. L’elemento scatenante è la passione che alcuni
di loro hanno per il calcio e quindi faranno il possibile per noleggiare un
televisore (e relativa parabola) per guardare la finale della Coppa del Mondo
1998. Riusciranno a convincere lo scettico abbate e suo braccio destro? Non è un
gran film ma è interessante guardarlo per curiosità.
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