Uno dei tanti piaceri e vantaggi di guardare un
film, anche nel caso non sia un capolavoro, è quello di venire a conoscenza di
luoghi, tradizioni, cibi, popolazioni, avvenimenti storici, problemi sociali e
via discorrendo fino a quel momento completamente sconosciuti.
Dal mio punto di vista di infaticabile viaggiatore
ed escursionista sono manna dal cielo i film girati per lo più in esterni in
paesi lontani e casomai in regioni sperdute come di recente il deserto della
Namibia di Mad Max o la Terra del fuoco e le praterie del nordamerica in The
Revenant. Paesaggi che non sono cambiati più di tanto nel corso degli anni e
quindi poco conta il fatto che il film sia ambientato un paio di secoli fa o
nel futuro. Spesso sono un irresistibile richiamo!
All’estremo opposto ci sono pellicole di interesse
storico o antropologico che trattano (più o meno bene e con maggiore o minore
accuratezza) di avvenimenti del passato, etnie a rischio di estinzione (se non
già scomparse del tutto) e per le storie contemporanee scene di vita
quotidiana. A mo’ di esempio ne cito giusto qualcuna fra quelle che ho visto
quest’anno e non sono filmacci né filmetti:
- La storia del cammello che piange (fra i pastori nomadi del deserto del Gobi, Mongolia) Oscar nom.
- Himalaya - L'infanzia di un capo (carovane di yak fra le vette del Nepal) Oscar nom.
- La Trilogia di Apu (come altri film indiani dell’epoca, seppur non di questo livello, raccontano e mostrano molto di più dei moderni documentari) Oscar ad Honorem nel 1992 al regista Satyajit Ray
- Raices (episodi di vita di indios messicani) premio FIPRESCI e nom. per la Palma d’Oro a Cannes
- Sanshu Dayu (ambientato nel Giappone medievale) Leone d’argento, nom. per il Leone d’Oro a Venezia (quando contava veramente)
Il titolo del post si riferisce tuttavia a Tarahumara - Cada Vez Más Lejos, un altro ottimo film, (premio FIPRESCI a Cannes, nom. per la Palma d’Oro e ai Golden Globe) guardando il quale ho appreso varie cose nuove in merito a questa etnia indigena messicana della quale già conoscevo l'esistenza.
Sapevo della loro esistenza, ma non avevo mai
approfondito il tema prima di guardare questo film.
La storia riguarda un gruppo di Rarámuri (Tarahumara), letteralmente "piedi leggeri”, i più resistenti corridori del mondo, che tuttora
vivono spesso in grotte nei canyon della Sierra Madre nel nord del Messico. Questi indios (indigenas) non
sono veloci, ma corrono distanze inimmaginabili; per loro una maratona è una
semplice passeggiata. Per fornire un’idea della loro resistenza sappiate che i cacciatori
per catturare un cervo lo inseguono all’infinito, senza colpirlo, finché l’animale
non si accascia al suolo spossato.
Nel film il protagonista “bianco” (ma indigenista, schierato dalla parte dei Rarámuri) spara ad un cervo, mancandolo, e il suo interlocutore gli spiega questa loro tecnica, che ho poi verificato in rete.
Ormai sono anni che, oltre agli antropologi, anche
la comunità scientifica si sta interessando a loro, alla loro dieta, al loro
modo di correre a piedi scalzi o con semplici huaraches (sandali che assemblano da soli utilizzando copertoni
di pneumatici come suola e lacci di cuoi per fissarli ai piedi). Che corrano o
meno, in qualunque stagione, gli uomini indossano un tradizionale e distintivo poncho
colorato e una specie di gonnellino bianco e le donne ampi vestiti altrettanto
colorati.Nel film il protagonista “bianco” (ma indigenista, schierato dalla parte dei Rarámuri) spara ad un cervo, mancandolo, e il suo interlocutore gli spiega questa loro tecnica, che ho poi verificato in rete.
Una ventina di anni fa un gruppo di Rarámuri fu invitato e convinto a
partecipare ad alcune competizioni negli Stati Uniti, in particolare iniziarono
con una gara di 100 miglia (circa 160km) in Colorado. In apparente scioltezza
uno di loro (55enne, non un giovanotto) giunse primo e un altro secondo,
staccando tutti i superatleti professionisti. L’anno successivo fecero
partecipare dei giovani e uno di essi vinse la gara e abbassò il record
precedente di quasi mezz’ora.
Ovviamente gli ultramaratoneti, a part,ire dai vicini statunitensi si sono interessati a
loro ed hanno organizzato gare come quella famosa del Caballo Blanco proprio fra i loro profondissimi canyon,
molto più del famoso Grand Canyon.
Trailer del documentario Maria Juliana
Ci sono molti video disponibili online, da quelli di atleti professionisti o amatoriali a documentari con base strettamente scientifica o sportiva. In molti di essi è possibile notare che talvolta i partecipanti con i piedi o con un bastone lanciano in avanti una “palla”, in effetti una sfera di legno.
Si tratta del gioco nazionale dei Tarahumara: il rarajipari. Si affrontano due squadre di 4 o più che hanno come obbiettivo di raggiungere la meta (spesso a 50-60km di distanza) calciano a turno la loro palla.
Sembra l’estremizzazione del gioco che quasi ognuno di noi talvolta ha fatto camminando e calciando una pietra, una castagna, un tappo o un qualunque altro oggetto trovato lungo il cammino.
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