La caza (Carlos Saura, Spa, 1966) Orso d'argento a Berlino per
la regia
Un ottimo film visto solo una volta, una
quarantina di anni fa. Pur sapendo come va a finire, mantiene tutta la sua
carica drammatica; con questa nuova visione e con una molto migliore conoscenza
della storia politica e sociale spagnola rispetto ad allora, risultano molto
più evidenti i tanti riferimenti all’era franchista e alla guerra civile. L’abbondanza
di simboli, allusioni e similitudini ne fanno quasi un film allegorico.
A chi conosce Saura solo per i
suoi famosi film e documentari a tema musicale, ricordo che la sua miglior
produzione in quanto a cinema a soggetto è quella precedente quando, nonostante
la censura franchista, riusciva a produrre interessanti film polemici e relativamente
audaci mascherando le critiche al regime nel simbolismo. Agli stessi ricordo
anche che Saura fu pupillo e poi amico di Buñuel che aveva grande
stima dell’allievo. Per esempio, quando sospese Simón del desierto
propose a Saura di continuarlo e poi nel contratto per La via lattea
incluse una clausola nella quale si stabiliva che nel caso fosse
impossibilitato a continuare le riprese queste sarebbero state affidate a
Saura. Ad un occhio
attento non sfugge l’influenza del maestro sull’allievo.
Senz’altro consiglio la visione di
almeno questi 3 suoi film degli anni ’70: Ana y los lobos (1973),
Cria cuervos (1976, Gran Premio Giuria a Cannes) e Mamá
cumple 100 años (1979, Nomination Oscar).
Il diritto del più
forte (Rainer Werner Fassbinder, Ger, 1975)
Fra i registi di spicco del Nuovo
Cinema Tedesco fu superato per fama e stravaganza sono da Werner Herzog.
Dichiaratamente omosessuale, si sposò due volte e nei suoi film comparvero più
volte le sue mogli e suoi amanti; esperto in ogni settore del cinema si
occupava spesso di molti aspetti oltre la regia ed ha al suo attivo una 40ina
di film, in questo è protagonista. Molti suoi lavori affrontano temi forti, a
volta scabrosi, come omofobia, razzismo, differenze sociali e dal punto di
vista della morale comune sono spesso reputati osceni. Questo Fox and His
Friends (titolo alternativo internazionale) si svolge quasi
esclusivamente in ambiente omosessuale fra amori mercenari, conquiste, gelosie
e tradimenti, tuttavia il tema centrale sono le differenze di classe, di
cultura e di potere economico (come sottolineato nel titolo originale). Senz’altro
sopra la media, vivamente consigliato a chi non è troppo puritano e bigotto.
Wife! Be Like a Rose! (Mikio Naruse,
Jap, 1935)
Classico film di Naruse (1905-69),
ottimo regista che ebbe la sfortuna di essere contemporaneo del gran maestro Yasujirô Ozu (1903-63)
e di trattare temi comuni, con stile relativamente simile, risultando quindi
sempre offuscato dalla sua fama.
Storia ben narrata e da lui stesso
adattata a partire da un lavoro teatrale. Una giovane ed indipendente donna di
Tokyo che vive con sua madre va a trovare il padre (che le ha abbandonate già
da molti anni ed ha una nuova famiglia in campagna) per avere il suo
tradizionale consenso alle nozze. Ciò che ognuno immaginava degli altri si
rivelerà sbagliato e molti dovranno ricredersi e agire di conseguenza.
Si nota, in positivo, l’origine teatrale
della sceneggiatura e dei dialoghi. Se gradite il genere, è un film da non
perdere.
La noire de ... (Ousmane Sembene, Sen, 1966)
Dopo aver guardato un paio di mesi fa
l’ultimo dei soli 9 film del senegalese Ousmane Sembene (Moolaadé,
2004), ho trovato il suo primo lungometraggio, di quasi 40 anni precedente.
Notevole, specialmente in considerazione che si tratti di un esordio, mostra
evidenti caratteristiche proprie della Nouvelle Vague francese, tanto in
voga in quegli anni. A differenza dell’altro (e della maggior parte dei suoi
film) questo si svolge quasi interamente a Parigi dove una giovane senegalese raggiunge
la famiglia francese presso la quale già lavorava in Senegal come babysitter,
ma ben presto le aspettative della ragazza andranno deluse.
Ben girato e ben fotografato in bianco
e nero, evidenzia una regia molto attenta con buone inquadrature, montaggio snello
e qualche dettaglio pregevole come la maschera di legno. Interessante visione.
Touki-Bouki (Djibril Diop Mambéty, Sen, 1973)
Di tutt’altro genere quest’altro
senegalese, in bilico fra surrealismo e avant-garde, certamente meno
incisivo del film di Ousmane Sembene. A volte risulta confuso per
mancanza di continuità spazio-temporale e per gli inserti onirici. Apprezzabili
tentativo, ma per surrealismo e avanguardia di rilievo ci vuole molto di più.
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