Come
scrivevo qualche giorno fa parlando del Frontón Mexico e jai
alai, a parte le tante similitudini in quanto a campo e regole di gioco,
l'ambiente dello sferisterio partenopeo era completamente diverso. L’imponente edificio
ebbe vita relativamente breve in quanto, inaugurato negli anni ’50, smise di
ospitare manifestazioni sportive (jai alai prima e tamburello poi) a seguito dei gravi
danni subiti in occasione del terremoto del 23 novembre 1980 (foto in basso) e poi fu incendiato
a fine dicembre 1986
Tornando
a parlare delle persone che ne frequentavano la tribuna, dimenticate i ricchi
borghesi e i nobili decaduti messicani. Le attività erano per lo più notturne,
si iniziava in tardissima serata e si andava avanti fin verso le 4 del mattino.
Al frontón
Fuorigrotta più passavano le ore e più personaggi strani arrivavano. Lenoni
che facevano una pausa dopo aver "parcheggiato le signorine", ladri,
imbroglioni di ogni genere e, se fosse già arrivata l'era dello spaccio a
tappeto, sarebbero giunto anche qualche pusher.
Si
aveva la netta sensazione che soldi che circolavano fossero quasi tutti di
dubbia o illecita provenienza, salvo per i pochi curiosi, nottambuli e studenti
che di solito si limitavano ad assistere agli incontri, divertendosi ad osservare
questo zoo umano più unico che raro, e talvolta a piazzare una scommessa,
ovviamente con la puntata minima.
Questa foto è tratta da un post su Diario Partenopeo, che consiglio di leggere
Vi troverete anche altre foto particolarmente interessanti anche perché rare.
L'affluenza
per il resto non era significativa, ma già verso 1:30 cominciavano ad arrivare
tanti spettatori-scommettitori che regolarmente parcheggiavano le loro auto
proprio davanti all’ingresso dello sferisterio, in seconda e terza fila, tanto
erano tutti lì per lo stesso motivo.
All'epoca
c'era ancora il tram notturno (linea 1, Bagnoli-stazione) che restava
puntualmente bloccato dalle auto in sosta selvaggia. I tramvieri navigati, conoscendo l'andazzo e il
motivo di quell’ostacolo, non protestavano né si perdevano d'animo, ma
semplicemente invitavano tutti i passeggeri a scendere, chiudevano il veicolo e
tutti insieme entravano per assistere alla partita tanto sapevano che, finché
non fosse finita, nessuno sarebbe uscito per spostare l'auto.
Ho
trovato in rete un simpatico e arguto commento relativo agli scommettitori
incalliti i quali dopo aver perso all’ippodromo prima e al cinodromo poi, tentavano
la fortuna allo sferisterio come ultima spiaggia. Leggi tutto il post su il napoletano, la pelota casca.
Altra
significativa differenza, strettamente connessa con la "qualità" del
pubblico era l'esistenza di una rete metallica, dal suolo al soffitto, fra
pubblico e campo di gara. Ufficialmente serviva per proteggere gli spettatori
da eventuali pallinate completamente
fuori bersaglio, ma in effetti proteggere i giocatori dalle ire degli
scommettitori. Quasi tutti erano convinti, o sapevano per certo, che molti
incontri, se non tutti, erano combinati eppure nonostante l'enorme scritta che
campeggiava sulla parete di fronte a loro "Chi non ha fiducia non scommetta" insieme con “La decisione
dell’arbitro è inappellabile” continuavano imperterriti a scommettere, a
perdere e a prendersela con i giocatori e, come in ogni altro sport, con l’arbitro.
Gli atleti avevano dei nomi ufficiali (p.e. Lenci, Passetto, Vitale, Florio) che comparivano sul
tabellone segnapunti, ma per il pubblico erano ‘o Cavallaro, Faccia
Janca (faccia bianca), ‘o prufessore, ...
Solo
avendo buona dimestichezza con il vernacolo si potevano apprezzare appieno i commenti,
le prese in giro, le offese tra le più variegate e inusuali possibili che mettevano
in evidenza la ben nota creatività partenopea. Molte locuzioni, similitudini e
abbinamenti includevano vegetali e/o animali del tipo, per esempio, del famoso
modo di dire “Tiene cchiù corna ca nu panaro 'e maruzze” (hai più corna di un
paniere di lumache).
Impossibile descrivere la varietà di personaggi singolari che si
incontravano nello sferisterio flegreo e ogni sera si poteva essere testimoni
di situazioni sempre diverse ed estreme che tuttavia, per fortuna, raramente andavano
oltre coloritissimi insulti a qualche spintone. Eppure una volta ho visto uno che, dopo continue discussioni a proposito di imbrogli e incontri combinati, si sfilò una scarpa e cominciò a batterla sulla testa di chi sedeva davanti a lui, a mo’ di novello Krusciov (1960, all’ONU - guarda gli 8" del video di Repubblica La ''scarpa di Krusciov''), quindi tenendola per la punta e colpendo con il tacco.
Pur essendoci molti malavitosi, almeno presunti tali, soprattutto di basso rango, lì si andava per passare il tempo, divertirsi, prendersi in giro, per il "brivido" della scommessa e, non da ultimo per insultare i giocatori che, a onor del vero, restavano per lo più o meno impassibili essendo abituati al “vivace e pittoresco pubblico”.
E
proposito del rapporto quasi diretto, data la vicinanza, fra spettatori e giocatori
ricordo un altro episodio che penso non dimenticherò mai. Al termine di un
incontro combattutissimo (almeno apparentemente) i giocatori si avviarono a
passo lento verso gli spogliatoi. Al termine di ciascun incontro tutti
rientravano negli spogliatoi e quindi, per raggiungerli, quelli che si
trovavano a sinistra della tribuna percorrevano la striscia fra il campo di
gioco a gli spettatori, camminando lungo la rete di protezione. Uno
scommettitore che chiaramente non aveva gradito il risultato finale cominciò a
prendersela in particolare con Faccia Janca (non ne sono certo, ma
mi sembra di ricordare fosse lui) e affiancandolo, seppur diviso dalla rete, lo
insultò in ogni modo possibile tirando in ballo parenti, ascendenti, madre,
sorelle, il suo onore, insomma di tutto, senza che il giocatore reagisse
minimamente. Continuava a procedere lentamente, imperturbabile, come se non
sentisse o pensasse che lo scommettitore non ce l’avesse con lui.
Giunti in prossimità della porta degli spogliatoi, Faccia Janca, mantenendo la stessa apparente flemma, si voltò e, con “gesto di grande eleganza”, sputò in faccia allo spettatore e uscì dal campo. Nei minuti successivi un attento ricercatore avrebbe potuto raccogliere e catalogare quasi tutto lo scibile in merito al turpiloquio napoletano in quanto lo scommettitore, a ragione ancor più imbestialito di pocanzi, sciorinò una sequela interminabile di improperi aggrappato alla rete (ora capite a che serviva veramente), arrampicandovisi e scuotendola furiosamente, meglio e con più impeto della più arrabbiata delle scimmie.
Giunti in prossimità della porta degli spogliatoi, Faccia Janca, mantenendo la stessa apparente flemma, si voltò e, con “gesto di grande eleganza”, sputò in faccia allo spettatore e uscì dal campo. Nei minuti successivi un attento ricercatore avrebbe potuto raccogliere e catalogare quasi tutto lo scibile in merito al turpiloquio napoletano in quanto lo scommettitore, a ragione ancor più imbestialito di pocanzi, sciorinò una sequela interminabile di improperi aggrappato alla rete (ora capite a che serviva veramente), arrampicandovisi e scuotendola furiosamente, meglio e con più impeto della più arrabbiata delle scimmie.
Con
un minimo di buon senso e prudenza, si potevano quindi passare un paio di ore
spendendo poco, o anche niente, divertendosi a guardare pubblico e giocatori,
alcuni dei quali non proprio ragazzini e con qualche chilo di troppo, eppure
dotati di tecnica sopraffina, che mettevano a frutto semplicemente caracollando
da un punto all’altro del campo e facendosi trovare pronti all’appuntamento con
la palla ... a meno che non volessero.
Era come attività agonistica e tecnica di punteggio simile al paddle?
RispondiEliminaJai alai (pelota basca) e tamburello, niente a che vedere con paddle
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