Entrambe
sono diversi dai soliti prodotti proposti nelle sale italiane e quindi il
primo, nonostante ben 6 nomination agli Oscar 2015, ha avuto brevissima vita mentre
il secondo, presentato in anteprima al Festival di Toronto a settembre scorso e uscito
nelle sale europee a novembre non è stato ancora proiettato in Italia, ma dovrebbe essere distribuito prossimamente, pare, con il titolo inglese Labyrinth of Lies.
Boyhood
è un
"vecchio" progetto di Linklater, infatti le riprese sono iniziate nel
2003 e terminate nel 2014. Segue la crescita di un bambino dagli 8 ai 20 anni
utilizzando sempre gli stessi attori che per questo motivo si sono incontrati
una volta l'anno. Quindi non ci sono trucchi per farli sembrare più
vecchi o più giovani e se una persona dopo i 30 cambia poco e lentamente, ciò
non è assolutamente vero nel periodo adolescenziale e l'impiego dei medesimi interpreti risolve brillantemente la situazione. Ci sono chiaramente
personaggi che compaiono sono in alcuni periodi e quindi non sono approfonditi,
ma i due ragazzi (il protagonista ha una sorella di poco più grande) e i loro
genitori invecchiano
naturalmente nel corso dei 12 anni.
Data
la particolarità del film ci sono anche non pochi detrattori che però, pur criticandolo, lodano il progetto in sé. I critici sono invece assolutamente d’accordo in quanto ai meriti della pellicola. Il sito rottentomatoes che valuta i film sulla base delle recensioni
pubblicate ne ha registrate 50 positive contro nessuna negativa fra i top
critics e 256 contro 5 considerando tutte le recensioni. Faccio anche presente
che oltre alle 6 Nomination all'Oscar Boyhood ha raccolto ben 140 premi e 121 nomination nei festival
di tutto il mondo, quindi tanto male non dove essere.
Le
2h45' scorrono velocemente senza grandi avvenimenti, ma in modo fluido e senza pause tanto che a me è sembrato molto più breve di certi filmacci di un'ora e mezza o meno, di quelli che si spera finiscano presto, di quelli che già a metà della proiezione ti spingono a guardare l'orologio. Se, come è probabile, la settimana prossima vincerà
qualche statuetta, potrebbe ritornare nelle sale italiane, anche se poi non vi resterà a lungo per essere comunque un film non per tutti e a causa della durata oltre la norma.
Quindi, se pensate vi possa interessare, affrettatevi.
Linklater
non è del tutto nuovo a realizzazioni simili. Infatti, ha scritto e diretto tre
film collegati fra loro - Before dawn (1995), Before sunset (2004) e Before
midnight (2013) - con gli stessi attori i quali interpretano gli stessi personaggi
che si incontrano una volta ogni 9 anni.
L'altro
film, pur essendo stato scritto e diretto dall'italiano Giulio Ricciarelli non è ancora uscito in Italia in quanto si tratta di una produzione tedesca. Il soggetto trae spunto da un fatto storico, il processo di Francoforte, molto meno conosciuto ma non meno importante di quello di Norimberga e successivo ad esso. Descrive parte degli avvenimenti che lo precedettero, ma non si addentra nella parte strettamente legale, analizzando piuttosto i risvolti sociali.
Verso la fine degli anni '50, già in fase di ripresa economica e in piena
guerra fredda, c'era chi voleva dimenticare, chi si vergognava di cosa aveva
fatto (a volte costretto), chi scappava, chi nascondeva i suoi trascorsi
nazisti e faceva finta di niente, chi voleva scavare nel passato inseguendo
ideali di giustizia o solo la pura e semplice vendetta. Il film propone una vera e
propria cospirazione (evidenziata nel titolo del film in spagnolo, La conspiración del silencio) per
tentare di non far venire a galla quanto fosse realmente successo negli anni
'30 e durante la guerra, organizzata da un gruppo di persone convinte che ciò avrebbe forse portato alla giusta punizione di alcuni, ma allo sfascio della società tedesca.
Infatti,
in quante famiglie non c'era nessun ex-nazista, per forza o per scelta, e quale
era stato il suo effettivo ruolo? Era necessario far sapere alle nuove
generazioni cosa avessero fatto i loro genitori fino al 1945? Avrebbero capito
i motivi del loro comportamento? Qualcuno a un certo punto ricorda al
protagonista "in quegli anni eravamo tutti
nazisti".
Concludo con un riferimento a una situazione evidenziata quasi
all'inizio del film che può sembrare incredibile, ma pare fosse reale: verso la
fine degli anni '50 in Germania quasi nessuno aveva sentito parlare del piccolo
paese di Auschwitz, in Polonia, e quindi di cosa fosse accaduto lì. A seconda
del ruolo avuto chi c'era stato o non se ne vantava di certo o da sopravvissuto
cercava di dimenticare, si arrendeva all'evidente impossibilità di essere
ascoltato e creduto o si nascondeva sapendo che anche fra vicini potessero
esserci alcuni dei tanti nazisti convinti, che egualmente si nascondevano
seppur per motivi diametralmente opposti.
In
ogni caso, e comunque la pensiate, il film non emette sentenze ma fornisce un'infinità di punti di
vista e quindi altrettanti spunti di riflessione e valutazione. Essendo oltretutto ben costruito e ben interpretato, con un buona
sceneggiatura alle spalle, mi sento di consigliare anche questo ... almeno ai
non cinepanettonari.
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