Youssef Chahine studiò in California, nel 1954 lanciò Omar Sharif (già da protagonista) in The Blazing Sun, premiato in varie volte a Berlino e Venezia, nel 1997 a Cannes gli fu conferito il premio alla carriera. In occasione della sua morte (2008), sul Guardian fu pubblicato questo interessante articolo nel quale viene ben descritta la sua filosofia e quindi può servire (a chi non lo conosca) come introduzione ai suoi film, spesso in difesa di diritti civili e libertà. Completa la cinquina un film indiano in malayalam, idioma molto meno utilizzato nel cinema in confronto ai soliti hindi e bengali.
The Land (Youssef Chahine, Egy, 1969)
Uno dei migliori film del primo Chahine, ambientato nel mondo rurale e di sviluppo simile al succitato The Blazing Sun, con il problema dell'irrigazione, ossia dell'acqua che viene negata da politici e latifondisti ai piccoli proprietari. È interessante comprendere (seppur molto parzialmente) le particolari scale gerarchiche e i rapporti con polizia e militari. Un film sostanzialmente politico, che mette in evidenza la quasi inesistenza della legge che dovrebbe garantire anche il popolo quando il potere è gestito per perseguire fini personali o come merce di scambio. Ovviamente a pagarne le spese sono le fasce alla base della piramide sociale ... niente di nuovo sotto il sole!
The Return of the Prodigal Son (Youssef Chahine, Egy, 1978)
Dramma familiare in provincia, una famiglia benestante, proprietaria dell'apparentemente unica attività industriale del paese viene praticamente sconvolta messa in subbuglio dal ritorno di un ingegnere partito con grandi ambizioni e assente da 12 anni, 3 dei quali trascorsi in carcere. Il dispotico fratello che nel frattempo ha preso in mano le redini di azienda e famiglia allargata, è per lo più malvisto e in tanti sperano che il "figliuolo prodigo" (molto più umano e benvoluto) possa mettere le cose a posto in breve tempo. I rapporti familiari e quelli con i dipendenti si rivelano tesi e complicati e sfoceranno in tragedia. Questo buon film è purtroppo rovinato da vari pezzi cantati, alcuni dei quali in stile musical, assolutamente fuori contesto, che oltretutto allungano inutilmente la durata a oltre 2 ore ... evidentemente queste erano le necessità commerciali del momento. Peccato!
Al-massir (Il destino) (Youssef Chahine, Egy, 1997)
"Le idee hanno ali. Nessuno può impedire il loro volo.”
Con questa frase (attribuita ad Averroè) si conclude il film mentre si vede il
grande rogo dei libri del filosofo arabo (1126-1198) che rappresenta il
personaggio chiave nei contrasti fra fazioni di mori che all’epoca
governavano a Granada (Al-Andalus, poi Andalusia). Pur seguendo una trama prosaica (con amori, tradimenti, attentati, canti e danze) questo lavoro di
Chahine potrebbe definirsi filosofico visto che si tirano in ballo molti dei
suoi convincimenti che, ovviamente, davano molto fastidio a tanti, soprattutto
agli integralisti. Si parla tanto di libri, filosofia, religioni, leggi e
libera circolazione delle idee. Per chiarire, ecco alcune delle citazioni attribuite ad Averroè, alcune delle
quali estremamente attuali:
- L’ignoranza conduce alla paura, la paura all’odio, e l’odio conduce alla violenza. Questa è l’equazione.
- Le donne dovrebbero essere trattate come esseri umani, non come animali domestici.
- Il mondo è diviso fra uomini che hanno saggezza e non religione e uomini che hanno religione e non saggezza.
- La religione cristiana è la religione delle cose impossibili; la giudaica, è religione da fanciulli; la maomettana, da porci.
- Una è la verità in filosofia, altra in religione: la prima è per i filosofi soltanto; la seconda, invece, è per tutti.
- Chi pensa è immortale, chi non pensa muore.
Alexandria … Why? (Youssef
Chahine, Egy, 1979)
Primo segmento della quadrilogia semiautobiografica di Chahine, riferito al periodo dell'adolescenza, in una Alessandria (d'Egitto) cosmopolita ancora in mani inglesi, con il timore dell'arrivo dei tedeschi. Il giovane Youssef deve combattere strenuamente in famiglia (agiata ma non ricca) per ottenere di coronare il suo sogno di andare a studiare negli USA. I fatti sono un po' romanzata, ma in effetti Chahine riuscì in extremis ad imbarcarsi ed andare a Pasadena, California, alla scuola di teatro e televisione; dei circa 200 iscritti solo 13 furono ammessi agli esami finali e solo 4 li superarono e lui fu il primo.
Manoharam (Anvar Sadik, Ind, 2020)
Singolare commedia moderna indiana beccata per puro caso, per una similitudine di titoli, ma nel cambio ci ho certo guadagnato. Trama sulla carta semplice e lineare, ma alla resa dei conti estremamente contorta e piena di intoppi. Alcune situazioni sono certamente prevedibili, ma il percorso per arrivarci certamente no. Altro merito sono varie scene montate freneticamente che, grazie a tanti veri e propri flash di un secondo o meno, in poche decine di secondi descrivono perfettamente l'ambiente e ciò che sta succedendo, inserendo anche tanti fotogrammi avulsi dalla storia vera e propria. Queste scene sono anche accompagnate da appropriato commento sonoro ma niente a che vedere con Bollywood. Le due ore passano rapidamente grazie ai tanti rovesciamenti di situazione e il regista/sceneggiatore ci risparmia un finale banale con una secca battuta degna di una buona short story. Il chiaro e condivisibile messaggio è che la sola tecnologia non può sostituire l'arte.
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