Comincio dai documentari, quello firmato da Wim Wenders insieme con il figlio del fotografo sul quale è incentrata la narrazione è a dir poco eccezionale; l’altro ha grandi meriti, ma solo per i cultori della storia del cinema. I due film dei quali non conoscevo l’esistenza sono risultati più che soddisfacenti, il quinto del gruppo è stato assolutamente deludente.
The Salt of the Earth (Wim Wenders, Juliano Ribeiro Salgado, 2014, Fra/Bra/Ita)
Ottimo documentario, al di là di ogni più rosea aspettativa non solo per la qualità delle immagini ma anche, e forse soprattutto, per la personalità del fotografo (per lo più sociale) brasiliano Sebastião Salgado. Girato quasi interamente in bianco e nero, unisce riprese curate da suo figlio Juliano Ribeiro Salgado e fotografie scattate per lo più in Africa e America Latina, ma non mancano incursioni nella ex Jugoslavia e in Kuwait. Salgado si è sempre interessato molto più alle persone che ai paesaggi, con un occhio particolare alle conseguenze delle guerre, carestie, siccità, migrazioni, povertà, malattie. Come se non fosse bastata la sua collaborazione con Medici Senza Frontiere e missioni ONU, insieme con la moglie si è reso protagonista di un’impresa ecologica a dir poco incredibile. Tornato in Brasile dopo molti anni, il fotografo trovò la grande tenuta di famiglia quasi completamente inaridita e con pochissimi alberi delle foreste che coprivano i 600 ettari di colline ancora in vita. Creò quindi la Fondazione Terra, fece piantare oltre 2 milioni di alberi e ora si è già tornati alle condizioni originali della macchia atlantica. Dopo tanti anni passati portando a termine grandi progetti fotografici sociali della durata di vari anni ciascuno (The Other Americas, Sahel, Workers, Migrations, Exodus, Africa, Genesis, …), questa esperienza ambientale lo portò ad interessarsi anche della fotografia naturalistica e così ha continuato ad andare in giro per il mondo riprendendo trichechi sulle rive dell’Artico, gorilla in Africa, iguana e tanto altro alla Galapagos.
Fra le foto che lo resero famoso nei primi anni della sua carriera fotografica (dopo aver lasciato l’economia) sono quelle della Serra Pelada (in alto un paio di esempi), la famosa miniera d’oro a cielo aperto, una voragine paragonata all’inferno dantesco nella quale operavano fra le 50mila e le 100mila persone, alla quale si interessò anche Godfrey Reggio con il suo documentario Powaqqatsi (1988). Ovviamente, ne consiglio la visione ma … ATTENZIONE! … non è adatto a persone molto sensibili poiché nelle parti dedicate all’Africa si vedono quantità di cadaveri, persone malnutrite al punto di sembrare scheletri viventi. Nomination Oscar e 3 Premi a Cannes.
Perdida
(Lost in Time)
(Viviana García-Besné, 2009, Mex/Spa)
Interessantissimo documentario per cinefili (in particolare per i conoscitori del cine mexicano), intrigante per gli altri grazie alle tante sfaccettature dei rapporti fra i peculiari membri della famiglia Calderón, dai primi anni del secolo scorso produttori, registi, proprietari di cinema in Messico e Stati Uniti, imprenditori, alcuni in settori al limite della legalità. La regista è discendente dei protagonisti del documentario ma, in apertura, dichiara che le era sempre stata nascosta buona parte della storia della famiglia. Il documentario segue quindi la sua ricerca e scoperta di vecchi filmati familiari, cinema ormai distrutti (ce n’era anche uno da 3.000 posti), locandine, interviste a parenti e altri cineasti.
Diva (Jean-Jacques Beineix, 1981, Fra)
Crime molto
intricato, con tanti protagonisti che a Parigi si seguono e inseguono, per
interessi propri per eliminare prove a proprio carico, o commerciali per una
registrazione unica. Chi dovrebbe avere i nastri è un giovane postino che dovrà
scappare da poliziotti (corrotti e non), taiwanesi e killer. Affascinanti sono
gli spettacolari loft arredati con incredibile creatività, molto singolare l’inseguimento
di un motorino Malaguti fra i corridoi della metro, scale, scale mobili e anche
nei vagoni. Qui e là, fra inseguimenti, omicidi, esplosioni e minacce, Beineix
inserisce alcune inquadrature di ottima fattura, fotografie oserei dire
eccezionali. Film d’azione piacevole e d originale, merita una visione.
Monsieur Lazhar (Philippe Falardeau, 2011, Can)
Ottimo film
canadese (Nomination Oscar) che riesce a combinare tanti elementi socialmente
interessanti ed attuali con molto garbo e attenzione. Si inizia con un suicidio
in una scuola, evento che naturalmente lascia i giovani studenti abbastanza
scossi, e si continua con l’arrivo di un maestro algerino richiedente asilo
politico. Si parla quindi di scuola, metodi di insegnamento, culture diverse,
ingerenza delle famiglie nelle attività scolastiche, giudizio per l’accettazione
del rifugiato, una certa rivalità fra insegnanti e psicologa, rapporti fra i
ragazzini, alcuni dei quali immigrati. Consigliato.
6
donne per l'assassino Blood and Black Lace (Mario Bava, 1964, Ita/Fra/Ger)
Guardato per
pura curiosità, sapendo della grande fama che Mario Bava si è guadagnato
anche oltreoceano per i suoi horror a budget ridotto. Apprezzatissimo dal famoso
regista/ produttore Roger Corman del quale, per certi versi, può essere
considerato il suo omologo italiano. Come anticipato, questo film mi ha molto
deluso sia per la prevedibilità degli eventi che per le interpretazioni,
veramente di scadente livello.
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