Cinquina con una prima (per me) del secolo scorso e quattro film già visti di pochi anni fa (2009-2017), che senza dubbio hanno meritato le nuove visioni. Il più noto al grande pubblico, e ufficialmente acclamato, è quello in merito al quale nutro qualche riserva; gli altri probabilmente li inserirò di nuovo in cartellone fra qualche anno.
1945 (Ferenc Török,
2017, Ung)
Che bel film!!! Che bella storia, che bella fotografia (inquadrature e bianco e nero), che bel commento sonoro! Gli ungheresi vantano una solida e storica tradizione cinematografica e sanno produrre bei film, di cinematografia pura, senza dover ricorrere a grandi star né a grandi investimenti. Questo 1945 pare sia costato meno di 1,5 milioni di euro e conta su un ottimo cast di veri attori e non un fritto misto di bellocci incapaci e procaci ma insipide fanciulle. In questa breve storia che si sviluppa nelle ore diurne di un sol giorno dell’immediato dopoguerra, si assiste all’arrivo in treno di due misteriosi uomini con due grandi casse che caricano su un carretto, per poi avviarsi verso il paese dove tutto è pronto per un matrimonio. A tratti fa pensare a Bodas de sangre di García Lorca, in altri momenti a Cronaca di una morte annunciata di García Marquez. Dal momento in cui si sparge la voce dell’arrivo dei due sconosciuti, nel paese niente va più nel verso giusto. Mentre la tensione sale, si assiste a scontri violenti negli ambiti familiari, a ripicche, rimorsi, minacce e pentimenti; per la maggior parte del tempo con un occhio a sorvegliare i due uomini che seguono a piedi il carretto con le casse.
In questo trailer HD, che consiglio di guardare a schermo intero e almeno a 720p, si può notare molto di quello che mi è
piaciuto (tutto), vale a dire angoli di ripresa, montaggio, fotografia, tempi, costumi,
recitazione, scenografia, storia, commento sonoro e regia. Assolutamente
consigliato, da non perdere!
Blancanieves (Pablo Berger, 2012, Spa)
Film di
grandissimo pregio che però, purtroppo, non è riuscito ad avere una buona
distribuzione, probabilmente limitato dai preconcetti che tanti hanno nei
confronti del bianco e nero. Per dare un’idea del suo pregio, basti ricordare
che ebbe 18 Nomination ai Premi Goya (i più importanti per i film in spagnolo)
guadagnandosi ben 10 premi. Ha ottenuto altri 38 premi e oltre 50 nomination in
Festival di tutto il mondo. Pochi ne avranno sentito parlare e ancor di meno
avranno visto questo film spagnolo del 2012 che, similmente a The Artist
(2011), è in bianco e nero e con solo commento sonoro più cartelli ma che ha
ben poco a che vedere con il suo più famoso e acclamato collega. La trama, che
solo vagamente segue la storia della Biancaneve dei Grimm, viene
ambientata nell’Andalusia degli anni ’20 ed è infarcita di citazioni
cinematografiche - p.e. Freaks (1932, Tod Browning) e Faust
(1926, F. W. Murnau) - e di riferimenti ad altre favole (p.e. Pinocchio
e Cenerentola). Fotografia e montaggio assolutamente superlativi, e non
solo secondo me. Precisa e nitida ricostruzione di un’epoca e di alcuni
ambienti sia attraverso ritratti di semplici comparse (complimenti anche a chi ha
diretto il casting) sia soffermandosi su ambienti, oggetti e, ovviamente sui
rituali e superstizioni legate alla corrida. Anche la colonna sonora è stata
molto apprezzata ed ha conseguito numerosi premi, in particolare per la canzone
originale No te puedo encontrar (Silvia Pérez Cruz, voce, Juan
Gómez Chicuelo, chitarra). La trama ha vari sviluppi inaspettati,
fino al termine ... e le scene di suspense in stile classico con lunghi primi
piani sfociano spesso in un montaggio frenetico che non sempre descrive ciò che
ci si aspetta. Anche se non fedele alla storia originale, sono presenti e ben
descritti tutti gli elementi sostanziali di una favola classica: innocenza,
ingenuità, bontà e coraggio avversate da perfidia, invidia, gelosia e avidità.
The White Ribbon (Michael
Haneke, 2009, Ger)
Questo film
confermò l’impressione che ebbi di Haneke dopo aver guardato Caché
(2005): ottimo regista, tempi perfetti, belle inquadrature. Con Il nastro
bianco (tit. it.) dimostra che senza dubbio tratta magnificamente anche il
bianco e nero, confermando anche la capacità di gestire al meglio soggetto e sceneggiatura.
La misteriosa storia viene narrata da un testimone diretto degli strani eventi
che si svolsero durante l’anno precedente l’inizio della I Guerra Mondiale, in
una piccola comunità rurale austriaca nella quale tutti al servizio di un
Barone. Questa volta il Haneke fornisce più indizi per indirizzare lo
spettatore alla ricerca di chi sia a provocare i misteriosi incidenti e chi sia
l’autore di vere e proprie aggressioni. Oltretutto, non essendo palese che si
tratti sempre della stessa persona, si resta liberi di pensare che gli
avvenimenti non siano connessi tra loro, o che dietro tutto ciò ci sia un
gruppo di persone che agiscono seguendo un preciso schema. Senz’altro ne
consiglio la visione; non a caso ottenne due Nomination agli Oscar (fotografia
e miglior film straniero), vinse un Golden Globe, ben 4 premi a Cannes oltre ad
un’altra cinquantina di successi. Da non perdere!
Come anticipato,
di questo gruppo è quello con meno carattere; sembra più un omaggio ai tempi d’oro
del cinema muto hollywoodiano (fine anni ’20) e al triste (per alcuni)
passaggio al sonoro, che sconvolse la vita di tanti cineasti che non riuscirono
ad adattarsi e riciclarsi velocemente alle nuove tecnologie. Nonostante l’Oscar,
Jean Dujardin nelle vesti del protagonista George Valentin non offre una
grande prova, ma probabilmente non è tutto demerito suo ma di chi ha voluto
creare un personaggio con un perenne falso sorriso; il film ottenne altri 4
Oscar e 5 Nomination. Certamente più convincenti sono l’allora semisconosciuta Bérénice
Bejo, il solito John Goodman e anche Uggie (il cane)! Comunque
si tratta di dettagli e di opinioni personali; anche questo film merita senz’altro
una visione.
Subarnarekha (Ritwik
Ghatak, 1965, Ind)
Il regista (ma
anche sceneggiatore e autore teatrale) Ritwik Ghatak fu uno degli
elementi di spicco del Parallel Cinema indiano, movimento ispirato al
neorealismo italiano che, precedendo la Nouvelle Vague francese e la Japanese
New Wave, rivoluzionò gli stili e i contenuti di quella cinematografia,
insieme con altri registi apprezzati in tutto il mondo a cominciare da Satyajit
Ray e Mrinal Sen. I riferimenti storici e sociali in Il fiume
Subarna (tit. it.) sono relativi agli anni immediatamente successivi alla
divisione dell’India coloniale (1947), i rifugiati, la condizione femminile e
la separazione delle caste. Ma al di là di tali temi ben trattati, ancorché superficialmente,
del film si apprezzano fotografia, inquadrature e prospettive, con tanto uso di
grandangoli e riprese dal basso. Quelli che pensano che la cinematografia
indiana sia solo il più o meno moderno stile Bollywood, dovrebbero
guardare qualcuno dei film del Parallel Cinema, per lo più in idioma bengali
e non in hindu.
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