Torno temporaneamente alle cinquine in quanto sia questa
che le prossime saranno monografiche di cinematografie poco distribuite in
occidente. Comincio con l’Iran, seguirà la Turchia.
Le sceneggiature dei primi due di questi cinque film,
entrambi di Abbas Kiarostami, sono indissolubilmente legate alla cinematografia
e al centro del primo c’è la figura del regista del terzo, che ivi compare,
seppur brevemente, come sé stesso. Ma andiamo per ordine.
Close-Up (Abbas Kiarostami, Iran, 1990)
Abbas Kiarostami è l'autore (regia e sceneggiatura) di questo
film strano per quanto geniale, fra documentario e cinema verità, basato su
eventi reali e con molti dei veri protagonisti degli eventi narrati. Hossain
Sabzian è un giovane più o meno senza ne arte né parte, appassionato di cinema,
che viene spesso scambiato per il regista Mohsen Makhmalbaf, che l'anno
precedente era diventato famoso in tutto il paese con il suo film Il
ciclista. Su un autobus, risponde affermativamente ad una signora che
gli chiede se fosse proprio il regista. Presentato alla famiglia, finge di
voler utilizzare la casa come location di un suo prossimo film. Ma gli altri
familiari, marito e due figli adulti, cominciano ad avere qualche sospetto,
coinvolgono un giornalista e il millantatore viene arrestato e mandato a
processo. Non è mia abitudine focalizzarmi sulla trama, ma in questo caso è
necessario per evidenziare la particolarità del film e comunque ho trattato
solo la prima metà della storia.
Delle riprese in tribunale, i primi piani (close-up) dell’imputato
e dei querelanti sono quelli veri, solo il giudice (in controcampo) è interpretato
da un attore. Questa parte è quindi documentaristica e molto interessante
psicologicamente in quanto il finto regista spiega sinceramente le sue
sensazioni sentendosi qualcuno ed essendo rispettato e creduto. E si pone la
domanda: nel corso delle sue visite alla famiglia, discutendo del futuro film, era
regista o attore.? Film scarno, essenziale ma portato avanti molto bene con
tanti non professionisti che, avendo il vantaggio di interpretare sé stessi,
sono assolutamente credibili. C’è anche lo spazio per il dettaglio cult della bomboletta
che rotola.
Through the Olive
Trees (Abbas Kiarostami, Iran,
1994)
Il secondo film, anche questo diretto da Kiarostami,
si sviluppa secondo due vicende quasi parallele su un set cinematografico. Nel
corso delle riprese di un film realistico, con attori scelti fra gli abitanti
di in un paesino quasi completamente distrutto da un recente terremoto, i due
giovani protagonisti sono sposati ma nella realtà hanno un rapporto molto difficile.
Lui la corteggia insistentemente ma con poco successo, lei lo ignora, anche
spinta da sua nonna che è nettamente contraria. Ben realizzato, interessanti i
rapporti non solo fra i giovani ma anche con il resto della troupe e con gli
abitanti. Notevole l’interminabile campo lungo conclusivo. Ennesimo buon film realizzato
con quasi niente. IMDb 7,8 * RT 80%, Nomination Palma d’Oro a Cannes.
The Silence (Mohsen Makhmalbaf, Iran, 1998)
Ho poi guardato Il silenzio anche spinto da
curiosità per aver apprezzato il precedente Gabbhe (1996) dello
stesso regista (quello con il sosia in Close-up). Questo mi ha
deluso per avere una sceneggiatura senza né capo né coda e poco plausibile, ma
devo riconoscere che la fotografia, i colori e la composizione delle
inquadrature sono ottime. Continuo a preferire Gabbhe.
Killing Mad Dogs (Bahram Beizai, Iran, 2001)
Un crime drammatico che non ti aspetti, che vede come
protagonista una donna che da sola affronta delinquenti di vario genere per
cercare di salvare il marito dalla bancarotta. Succede di tutto e di più in una
sequela di inganni, minacce, violenza, pedinamenti e qualche colpo di pistola,
fino ai colpi di scena finali. Ritmo serrato, con sorprese e tensione, visto
che parte delle trappole tese e degli inganni vengono anticipati allo
spettatore ma non sono a conoscenza della ignara protagonista.
Fireworks Wednesday (Asghar Farhadi, Iran, 2006)
Infine Farhadi, probabilmente il regista più noto
e acclamato in occidente, che con About Elly (2009), Una
separazione (2011) e Il cliente (2016) ha vinto tanti
premi fra i quali vari a Cannes e Berlino, nonché un Oscar e una Nomination per
la sceneggiatura.
Chi sperava che prima di questi avesse scritto e diretto film
non con le sue solite, ripetitive situazioni di accese controversie coniugali, ma
con temi diversi, sappia che non è così. Terza delle sue sole 8 regie, Fireworks
Wednesday è un litigio quasi continuo, di una solita coppia della media borghesia, nella quale si trova coinvolta una
ragazza chiamata tramite agenzia per le pulizie, tanto onesta e volenterosa
quanto sprovveduta intrigante e bugiarda. Come negli altri film, viene sempre evidenziata l'eterna insoddisfazione di chi vive in modo agiato, opposta alla semplicità dei meno abbienti, più sereni nonostante i loro maggiori problemi, e il contrasto fra chi vive in modo più "occidentale" e quelli che rispettano di più religione e tradizioni. Nessuno dei protagonisti attira su di
sé simpatie, né i coniugi che agiscono quasi sempre in preda alla rabbia, fra
sospetti, accuse, ripicche e bugie, né la giovane ragazza che, pur avendo più di un’occasione
per defilarsi elegantemente, resta al centro della scena peggiorando spesso la
situazione.
Come per gli altri succitati film, si può affermare che si tratta di un buon pezzo
teatrale con ottime interpretazioni, ma a questo punto sembra che, visto un Farhadi,
li hai visti tutti.
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