Ennesimo piacevole film del gran narratore Rohmer, accompagnato da tre film poco conosciuti (comunque di livello più che buono) del miglior periodo della cinematografia messicana, ricca di ottimi registi e interpreti, ed anche le trame non sono da meno essendo spesso molto originali e non brutte copie degli stili americani traslati in Messico. La commedia giapponese, pur godendo di buona critica, mi ha invece molto deluso.
Pauline à la plage (Éric Rohmer, 1983, Fra)
Si tratta del
terzo film della serie Comédies et proverbes (1981-87) ed il
proverbio al quale fa riferimento è “Chi parla troppo danneggia se stesso”,
attribuito a Chrétien de Troyes, autore medioevale che per primo trattò
diffusamente di Lancillotto, Parsifal e del Sacro Graal. La storia si sviluppa nel corso di
pochi giorni passati in una località balneare della Normandia dalla 15enne
Pauline, affidata alla cugina Marion di parecchi anni più grande. Solo sei
personaggi, dei quali uno secondario, intrecciano le loro storie fra
innamoramenti, avventure, tradimenti, corteggiamenti e bugie. Con narrazione
scorrevole e piacevole, come suo solito, Rohmer ben descrive i
protagonisti e nella sua sceneggiatura riesce anche ad inserire tante
considerazioni sull’amore, visto da vari punti di vista, da persone di varia
età. Tre premi a Berlino e Nomination all’Orso d’Oro.
El asesino X (Juan Bustillo
Oro, 1955, Mex)
I film che
trattavano di rivoluzione della rivoluzione lo resero uno dei più famosi registi
messicani, ma Juan Bustillo Oro in questo caso si cimenta in un lavoro
inusuale per lui, reso ancor più particolare da Carlos López Moctezuma
in uno dei suoi rarissimi ruoli di uomo di legge, di sani principi morali e non
il solito perfido spietato infame. Tratto da un romanzo, narra la storia di X a
partire dall’omicidio (apparentemente per vendetta) di un uomo che viveva sotto
falso nome. Dopo questo ottimo inizio noir, e dopo una brevissima parte
investigativa, il film diventa un court room movie con l’accusato che continua
a ribadire che non sa niente e non ricorda niente (neanche il proprio nome) e
il direttore della prigione (anche penalista) che lo difende pur trattandosi di
un caso disperato visto che X è reo confesso che si è consegnato spontaneamente
alla polizia. Interessanti gli interrogatori che alternano momenti kafkiani a
momenti da commedia, mettendo in ridicolo il pubblico ministero.
Pecadora (José Díaz Morales, 1947, Mex)
Ninón Sevilla in questo film ricopre un ruolo
secondario (comunque di ballerina cabaretera), mentre la vera
protagonista è Emilia Guiú. Pertanto non rientra nel classico genere rumbera
ma è una storia romantica che si sviluppa al margine della vita dei locali
notturni e tende al noir in più occasioni. Infatti non mancano ricatti e
pistolettate e, più che pecadora, la protagonista è perseguitata da
incontri inopportuni e sfortunati e le sue disgrazie ricadono anche su chi le
sta vicino. Quindi sono poche le esibizioni nei cabaret, ma non mancano i
classici boleros e un po’ di musica caraibica.
Camino del infierno (Miguel Morayta, 1961, Mex)
Melodramma
tragico che inizia come un classico noir ma ben presto si trasforma in una
storia d’amore prima contrastata e poi di gran passione per passare infine a
una tragica conclusione piena di buoni sentimenti e gran finale di nuovo
noir/crime. Protagonisti Pedro Armendáriz (da poco uscito di galera
seppur innocente) e Leticia Palma, nei panni di donna fatale che
mira solo ad avere amanti ricchi disposti a spendere fortune per i suoi capricci.
In effetti sono due poco di buono che si trovano insieme per caso dopo un colpo
andato più che male e, pur essendo evidentemente incompatibili, iniziano una
storia che sarà un calvario un po’ per colpa loro, ma saranno anche perseguitati
dalla mala sorte.
Survival Family (Shinobu
Yaguchi, 2016, Jap)
L’idea sembrava
buona (blackout totale della durata di vari mesi) ma è sviluppata in modo
pessimo e oltretutto non era assolutamente necessario trascinare la storia per
quasi due ore fra incongruenze, situazioni impossibili, twist scontati e spesso
ridicoli. Desolante ritratto di una famiglia giapponese moderna (ma esteso alla
classe media borghese) completamente standardizzata in quanto a stile di vita e
alimentazione, con totale perdita di vista delle realtà naturali e
tradizionali. Da evitare.
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