Nel mio continuo alternare generi,
paesi e periodi, sono tornato alla fantascienza sci-fi (genere non fra i miei
preferiti) in quanto ho avuto occasione di ri-guardare questo film nella sala dell’Honolulu
Museum of Art nella versione final cut, proiettata la settimana
scorsa con la scusa che l’azione del film si svolge ufficialmente nel novembre
2019.
Si conoscono 7 montaggi diversi di Blade
Runner più una prima estesissima di circa 4 ore per i soli Studios,
ma l'unica per la quale tutte le decisioni sono state prese da Ridley Scott
è questa cosiddetta final cut che non si chiama director's
cut perché il nome era stato già utilizzato per l’edizione del
decennale.
In pratica, ci sono 3 versioni
principali che avreste potuto vedere:
1) la più comune è quella standard del
1982, con voce fuori campo, con un happy ending voluto dalla produzione,
che lasciò scontento il regista che desiderava maggiore ambiguità. La voce
fuori campo serviva sia a chiarire alcuni aspetti del passato di Rick Deckard (Harrison
Ford) sia a richiamare la struttura classica dei noir al quale questo
sci-fi può esser in buona parte assimilato.
2) la cosiddetta director's cut
del 1992 realizzata sulla base di appunti di appunti di Ridley Scott, che era in quel
momento impegnato con le riprese di Thelma & Louise.
Spariscono la voce fuori campo e l'happy ending lasciando vago il futuro
di Deckard e Rachael e si pone anche il dilemma della natura del primo: è umano
o replicante? In questa fu inserita la scena del sogno dell'unicorno.
3) in occasione del 25ennale la
pellicola fu restaurata e fu montata la final cut (cioè la vera director’s
cut) totalmente gestita dal solo Ridley Scott, senza interferenze. Furono
integrate anche per gli USA le scene violente in precedenza incluse solo nelle
versioni europee. In effetti i cambi fra le ultime due versioni sono pochi e
per lo più non sostanziali; le vere differenze sono fra esse e la prima del
1982.
Dopo questi chiarimenti che forse
spingeranno qualcuno a ri-guardare il film e confrontare le versioni non
aggiungo altro dando per scontato che tutti ne conoscono i contenuti. Questo sci-fi
segna un punto di svolta ed è per questo diventato un cult quasi come 2001
Odissea nello spazio e come quello rimane interessante tutt'oggi anche
se le date sono ormai superate.
375 In
Times of Fading Light (Matti Geschonneck, Ger, 2017) * con Bruno Ganz,
Sylvester Groth, Alexander Fehling * IMDb 6,2
RT 100%
I giudizi appena sufficienti su IMDb
non mi hanno fatto desistere dalla visione di questo film che avevo adocchiato
per la presenza di Bruno Ganz; oltretutto su Rotten Tomatoes le poche
recensioni erano tutte positive. Si tratta di un film quasi politico che tratta
della festa di compleanno (90°) di un noto e stimato membro del partito
comunista della DDR (Deutsche Demokratische Republik = Germania est). Una
didascalia informa che siamo nell’autunno del 1989, quindi pochi giorni prima del
9 novembre, giorno in cui ai residenti di Berlino est fu concesso di passare dall’altro
lato del muro senza essere sparati; l’abbattimento del muro iniziò pochi mesi
dopo, il 13 giugno 1990.
Il film si sviluppa con due storie
parallele, una legata ai difficili rapporti famigliari e l’altra chiaramente
sociale / politica. I personaggi che vanno a visitare l'anziano leader secondo
protocollo sono presentati in modo significativo pur avendo solo poche battute,
appare evidente la dipendenza dall'Unione Sovietica e si sottolinea la volontà
dei giovani di scappare al di là del muro e il disprezzo mostrato nei loro
confronti dagli appartenenti al Partito.
Ottimo come sempre Bruno Ganz,
ma certamente molti degli altri membri del cast in ruoli di supporto offrono
prove di tutto riguardo rispetto. Presentato nella sezione speciale della Berlinale 2017.
Non comprendendo il basso rating su
IMDb, posso solo supporre che la maggior parte di quelli che hanno fornito
giudizi negativi sul film non sono europei o sono troppo giovani per aver
potuto apprezzare i tanti riferimenti alle differenze fra le due Germanie, alla
guerra fredda, alla WWII.
Consigliato, e non solo per la prova di
Bruno Ganz.
372 Children of Men (Alfonso Cuarón, USA, 2006)
* con Julianne Moore, Clive Owen, Chiwetel Ejiofor * IMDb 7,9 RT 92%
* 3 Nomination Oscar (sceneggiatura,
fotografia e montaggio)
Ben 157 commenti (su circa 1.300) su
IMDb sono assolutamente negativi (1 stella) e anche un
altro 20 rimane sotto la sufficienza,
il che significa che nonostante il discutibile rating di 7,9 ad una notevole
fascia di pubblico non è assolutamente piaciuto. Fra i cosiddetti Los tres
Amigos (gli altri due sono Guillermo Del Toro e Alejandro G.
Iñárritu) Alfonso Cuarón è senz'altro quello che apprezzo di meno e
non è bastato il pluripremiato Roma (che comunque non mi ha del
tutto convinto) a farmi cambiare opinione.
Pur considerando che si tratta di
soggetto distopico, sembra che il film non abbia né capo né coda, con simboli e
stereotipi affastellati alla rinfusa, scarsa e talvolta nulla plausibilità. I
personaggi sono quasi tutti "estremi" e mal assortiti; singolare l'anziano
capellone impersonato da Michael Caine (73 anni all’epoca).
Non penso di concedere una seconda
visione e non lo consiglio, anche se sicuramente ci saranno tanti che lo
considerano un capolavoro. Effettivamente apprezzabili fotografia e montaggio,
non così la sceneggiatura.
374 The
Judge (David Dobkin, USA, 2014) * con Robert Downey Jr., Robert Duvall, Vera
Farmiga * IMDb 7,4 RT 48%
Anche questo film si sviluppa su due
binari, una parte drammatica mostra i difficili rapporti fra i componenti della
famiglia, in particolare l’anziano giudice Palmer (Robert Duvall) e suo
figlio Hank, avvocato di grido (Robert Downey Jr), nell’altra parte è un
classico court movie.
Pochi i momenti buoni, con qualche
colpo di scena ben inserito, meritata la candidatura Oscar non protagonista per
Robert Duvall (sempre affidabile, avrebbe meritato di più nella sua
carriera), pessimo Robert Downey Jr.
Senza infamia e senza lode.
373 Snowpiercer
(Joon-ho Bong, Kor/Cze, 2013) * con Chris Evans, Jamie Bell, Ed Harris, Tilda
Swinton, John Hurt * IMDb 7,1 RT 95%
L’ho trovato insensato ed è risibile l’ipotetica
lettura sociale del film, che vorrebbe assimilare la disposizione dei vagoni e
dei loro “abitanti” ad una scala gerarchica, dai poveri (in coda al treno) ai
più ricchi (nella parte anteriore) fino alla sala di comando dalla quale un
folle dirige il tutto. Belle solo le riprese esterne degli affascinanti
paesaggi innevati.
Le oltre 1.400 precedenti micro-recensioni dei film visti a partire dal 2016 sono sul mio sito www.giovis.com; le nuove continueranno ad essere pubblicate su questo blog.
Nessun commento:
Posta un commento