mercoledì 30 maggio 2018

Buone notizie per gli “sportivi” nostalgici dei giochi di strada

A 25 anni dalla prima edizione di quello che fu pomposamente e scherzosamente chiamato “Campionato Mondiale”, la F.I.B.O.R. (fantomatica e inesistente Fed. Italiana Barracca ‘o Ruttunnielo) ripropone il torneo ufficiale VI Campionato Mondiale di  Barracca 'o rutunniello. Infatti per 5 anni di seguito (93-97) ne furono organizzate cinque edizioni e poi, nel 2003 una edizione indoor, non ufficiale.
Il Mattino, 1 settembre 1993 - I Campionato Mondiale di  Barracca 'o rutunniello
Nella foto: a sx il primo Campione Mondiale Lorenzo Balduccelli (Antognoni), a dx Benedetto Abbate,
quarto classificato. In quella I edizione secondo e terzo giunsero Giancarlo Milano e Cirotto Grieco
Per 5 estati, quindi, nel corso di una settimana, almeno un centinaio di persone si riunivano in piazza e con le loro “divise” estremamente eterogenee le decine di giocatori al loro turno si inginocchiavano o si accovacciavano per colpire la 50 lire tentando di mandarla nel rutunniello.
Inaspettatamente parteciparono persone di tutte le estrazioni e di tutte le età; anche se la maggior parte di loro erano nella fascia 45-55 (l’ultima generazione che aveva giocato frequentemente e seriamente) non mancarono giovani e anche ultrasettantenni, signore e signori …
Quest’anno quasi “assillato” (simpaticamente) da un vecchio compagno di giochi un po’ più grande di me, e visto che più che mai sono un "capafresca", mi sono dato da fare per accontentarlo e organizzare questo grande ritorno. Insieme, in pochi giorni siamo riusciti a trovare un nuovo Barracorutunniellodromo olimpico (quello storico di piazza San Francesco non è più adatto), scegliere date infrasettimanali cercando di evitare i santi (= feste patronali), i weekend e i periodi nei quali ci sono troppe altre distrazioni, stilare un regolamento, scegliere le monete (le vecchie 50 lire usate nei Campionati precedenti sono difficilmente reperibili), e restano ancora da definire altri piccoli dettagli come iscrizioni, premi, comunicazione, e così via.
Per ora quindi, a nome e per conto della F.I.B.O.R., comunico ufficialmente che da lunedì 25 a giovedì 28 giugnosarà disputato il VI Campionato Mondiale di  Barracca 'o rutunniello, secondo il seguente calendario:
lunedì 25 e martedì 26 giugno, ore 21,30: serate di qualificazione
mercoledì 27 giugno, ore 21,30: quarti di finale (48 o 64 ammessi)
giovedì 28 giugno, ore 21,00: semifinali (24 o 32 ammessi) e FINALE a 8
Appena apportate le ultime correzioni, sarà pubblicato il Regolamento. Nel frattempo gli interessati si segnino le date, in modo da non prendere altri impegni, e si incomincino ad allenare. I novellini possono apprendere (quasi) tutto della Barracca 'o rutunniello leggendo il capitolo a detto gioco dedicato sul libro scaricabile gratuitamente in versione eBook (.mobi e .ePub).
A breve aggiornamenti in merito a iscrizioni, campo di cara, premi, regolamento, e altre informazioni interessanti.

lunedì 21 maggio 2018

“Stanley Kubrick: A Life in Pictures” (Jan Harlan, USA, 2001)


Un gran colpo di fortuna mi fece trovare questo DVD su una bancarella del Rastro a Puerto de la Cruz, insieme con un'altra rarità (molto interessante, ma non certo di questo livello) che ri-guarderò, dopo tanti anni, stasera. 

144 “Stanley Kubrick: A Life in Pictures
documentario di Jan Harlan, USA, 2001
voce narrante: Tom Cruise * IMDb  8,0  RT 87%

Più che documentario, è un eccezionale documento per cinefili, che siano o meno fan di Kubrick. Il lavoro di assemblaggio di tante interviste e commenti, molti dei quali inediti, e spezzoni di riprese amatoriali della famiglia, intercalati a brevi sunti della nascita e realizzazione di ciascuno dei soli 13 lungometraggi in quasi mezzo secolo, è assolutamente encomiabile. Il merito va attribuito al regista Jan Harlan, produttore esecutivo degli ultimi 4 film di Stanley Kubrick: Barry Lyndon (1975), The Shining (1980), Full Metal Jacket (1987) e Eyes Wide Shut (1999). Di conseguenza questo documentario uscito appena due anni dopo la sua morte conta su una visione dall’interno frutto di una collaborazione lunga oltre un quarto di secolo.
Ciò ha consentito ad Harlan, che quindi conosceva Kubrick come persona, padre, marito, regista e “tecnico” della fotografia e cinematografia, di descrivere in modo appassionante non solo ciò di cui era stato diretto testimone, ma anche di raccontare del suo passato grazie ai tanti commenti di amici comuni e conoscenti.



Fra quelli che compaiono nel film (molti di loro più volte) ci sono i vari membri della famiglia quali la moglie Christiane (conosciuta sul set di "Paths of Glory”, nel quale lei interpretava la giovane cantante tedesca), le figlie e la sorella, registi di indubbia qualità come Steven Spielberg, Martin Scorsese, Sydney Pollack, Paul Mazursky, Alan Parker, Woody Allen, la ben nota costumista italiana Milena Canonero (che per i costumi di Barry Lindon vinse il primo dei suoi 4 Oscar), attori protagonisti di alcuni dei suoi film come Peter Ustinov (Spartacus), Malcolm McDowell (Clockwork Orange), Jack Nicholson e Shelley Duvall (The Shining), Nicole Kidman e Tom Cruise (Eyes Wide Shut), quest’ultimo anche voce narrante per tutto il documentario. 
La piacevolezza del racconto, gli interessanti racconti, opinioni e aneddoti fanno passare velocemente le 2 ore e un quarto, troppo per alcuni ma forse non abbastanza per altri, specialmente quelli che conoscono i suoi film e quindi sono in grado di visualizzare mentalmente i clip nell’ambito di ciascuna pellicola e li guardano ben sapendo cosa succederà di lì a pochi secondi.
Nel proporre alcuni spezzoni di ciascuno dei suoi 13 film (rigorosamente in ordine cronologico), Harlan porta a conoscenza dello spettatore anche tanti dettagli tecnici, fra i quali ho trovato particolarmente interessanti quelli relativi alla scelta degli obiettivi, in merito ai quali Kubrick era particolarmente esigente dati i suoi trascorsi fotografici. Si parla anche molto del suo essere inflessibile con tutto il cast, pur riuscendo a non essere mai arrogante e senza mai alzare la voce con alcuno.
Si esce un po’ dallo stretto ambito cinematografico con originali riprese di Kubrick bambino, la sua passione per il gioco degli scacchi, l’amore per gli animali, divagazioni che comunque contribuiscono a formare una più esatta immagine di un genio schivo, riservato, poco amante di quella mondanità tanto cara al mondo di Hollywood.
Non mi addentro in un discorso sul regista in quanto il suo lavoro nel complesso è già stato ampiamente analizzato da persone più qualificate di me e ognuno dei suoi film è stato esaltato e criticato, con visioni assolutamente opposte.

Posso solo consigliarlo a tutti gli appassionati di cinema e sollecitare chi non abbia visto tutti i suoi film a colmare al più presto la sua lacuna recuperando quelli che “gli mancano” ... del resto sono solo 13 e a qualunque cinefilo non ne possono essere sfuggiti più di 3 o 4.

Vi ricordo i titoli originali e anni di uscita: 
    
Fear and Desire (1953)  ***  Killer's Kiss (1955)  ***  The Killing (1956)
    

Paths of Glory (1957)  ***  Spartacus (1960)  ***  Lolita (1962)
   
Dr. Strangelove (1964)​  ***  2001: A Space Odyssey (1968)  ***  Clockwork Orange (1971)
    
Barry Lyndon (1975)  ***  The Shining (1980)  ***  Full Metal Jacket (1987)
e infine Eyes Wide Shut (1999)

lunedì 14 maggio 2018

Prendere un gelato (dondurma) in Turchia può essere molto difficile!


Chi è stato in Turchia, avrà certamente notato i folkloristici gelatai delle aree turistiche, con il loro bravo gilet con ricami dorati e fez, che richiamano a gran voce i clienti e con la loro lunga speciale paletta metallica battono in modo ritmato sul bordo dei contenitori dei gelati e sulle campanelle che pendono dall’alto.
Più che gelatai sono dei veri e propri giocolieri, ognuno con la sua routine che può durare anche oltre 2 minuti, alternando varie “figure” classiche, porgendo allo stupito cliente il cono senza gelato, il gelato sena cono, dandogli il cono e riprendendosi il gelato, lasciandolo con il solo tovagliolino di carta in mano, e altro. Riescono a gestire alla perfezione piccole quantità così come a tirare fuori dal contenitore l'intera massa di dondurma. Qui di seguito trovate un paio di video che vi possono dare un’idea delle pene che deve patire chi vuole un gelato!
Chiaramente, non si tratta di un gelato “normale” (come viene inteso in quasi tutto il mondo) ma della versione moderna di uno già popolare alla corte ottomana, prodotto secondo una ricetta rimasta segreta per vari secoli. La differenza principale, che è quella che permette ai gelatai turchi di effettuare le loro evoluzioni, consiste in un ingrediente in cui nome non è molto allettante: il mastice di Chio. Questo si ricava dalla resina del lentisco (Pistacia lentiscus, comunissima pianta mediterranea, in inglese nota proprio con il nome di mastic tree) ed è un prodotto usato già da millenni e non solo per fini alimentari.
Come tante altre resine, si raccoglie facendo piccole incisioni sul tronco delle piante dalle quali sgorgano le gocce di "mastice". Anticamente (secoli a. C.) si utilizzava, sia in Oriente che nel mondo romano, anche per produrre delle "gomme da masticare ante litteram". Sia in Grecia che Turchia, ma anche in altri paesi dell'area mediorientale ed in tutto in mondo arabo, il mastice di Chio viene utilizzato per dare aroma e/o consistenza a formaggi, vini, liquori, dolci (inclusi i famosi of Turkish delight), tipi di pane tradizionali e, non da ultimo, l'olio santo per il Natale ortodosso.
Nella medicina antica era apprezzato per le sue caratteristiche digestive e da recenti ricerche sembra che sia ottimo per limitare il colesterolo. Non mancano le applicazioni industriali in quanto viene aggiunto a particolari tipi di vernici.

venerdì 11 maggio 2018

Spesso accade che la memoria inganni ... (scoppio faro Campanella)

Considerazioni generali e aggiornamenti in merito alla ricerca di “prove” della data dello scoppio del quale ho parlato nel precedente post.
Comincio con l’aggiornamento (ovviamente da verificare): 
"mio padre mi raccontò che il faro era scoppiato, colpito da un fulmine" 
Potrebbe trattarsi di due eventi distinti (fulmine e scoppio) abbinati in un unico ricordo ma, se così non fosse, il racconto fatto al figlio da tale persona (deceduta nel 1968) escluderebbe in modo categorico che la vera data dello scoppio possa essere il 6 agosto 1969 (fornita dal Comando Marifari Napoli).

II faro non c'è più! dal 1972, la luce su traliccio ha sostituito il fanale temporaneo sulla torre
Foto di ciò che resta del vecchio faro e scansioni del documento del 1848 
(migliori di quella proposta precedentemente) sono in questo post di Ludovico Mosca
Premesso che è mia abitudine cercare “fonti certe”, o quantomeno attendibili, prima di pubblicare notizie, penso che tutti siano d’accordo che, in caso di voci contrastanti, solo una possa essere vera ... forse. Nel campo della logica, infatti, due affermazioni contrastanti non possono essere entrambe “vere”, almeno una deve essere “falsa”, ma potrebbero anche esserlo entrambe. Chiunque abbia seriamente fatto qualche ricerca, per quanto futile possa essere stata, si sarà imbattuto più di una volta in dati incongruenti. Trattandosi di fonti scritte, più facilmente si riesce a venire a capo della situazione ma se la ricerca è basata su testimonianze orali il percorso diventa molto più difficile e lungo.
Questo dello scoppio del faro di Punta Campanella è esempio lampante di quanto detto ma, considerata l’assoluta mancanza di utilità pratica e di scadenze, le innumerevoli chiacchierate con persone che ricordano l’evento mi hanno molto interessato per alcun versi e divertito per altri, in particolare quando gli interlocutori erano vari. Similmente a quanto quasi regolarmente accadeva nel corso del mie ricerche toponomastiche nelle marine della penisola, i “giovanotti” intervistati non rispondevano solo al quesito specifico (in modo positivo o negativo che fosse) ma aggiungevano una miriade di dettagli e storie assolutamente inutili allo scopo e spesso contraddittorie, tuttavia antropologicamente estremamente interessanti.
Trovo sempre affascinante ascoltare persone che raccontano (spesso con passione) fatti di decine di anni fa, abitudini, modi di vita, pratiche lavorative ed eventi non registrati. Molte volte, infatti, l’assoluta veridicità del racconto non è fondamentale ... non siamo in tribunale! Se ciò rende più difficile appurare l’essenza dei fatti, allo stesso tempo rende più interessante la ricerca, spinge ad approfondire nuovi dettagli e spesso dalle innumerevoli notizie apprese il ricercatore può essere sollecitato a cominciare ad indagare in una nuova direzione o in un campo inesplorato, diverso da quello di originario. Questa stessa ricerca è nata in tal modo ed è un ennesimo esempio di serendipity (cercare una specifica informazione e imbattersi in un’altra di maggiore interesse), in quanto nata parlando della strada che conduce alla Campanella e non certo del faro. 
Che si tratti di indagini riguardanti percorsi, toponimi, pratiche, giochi o date, il ricercatore si imbatte inevitabilmente in tante persone molto disponibili a raccontare gli eventi, che (secondo loro) ricordano con esattezza, ma le date indicate sono sempre diverse e quindi si torna all’affermazione iniziale, vale a dire che solo uno può dire il vero (forse).Nelle settimane passate quasi tutti concordavano sul fatto che fosse fine estate (si propendeva per settembre, associato con il passaggio delle quaglie), ma in quanto all’anno le indicazioni erano quasi uniformemente distribuite fra il 1963 e il 1969. 
Ciò è normale quando si richiedono date precise di eventi accaduti vari anni addietro, nel caso specifico una cinquantina, se non si è in grado di associarli ad altro evento certo (personale o di cronaca). Sulla buona fede di ciascuno non ho alcun dubbio (molti sinceramente hanno confessato di avere ricordi confusi), ma c'è stato chi mi ha assicurato che era il 1966 perché aveva 15 anni, chi sosteneva che era un anno dopo sposato (ma non ricordava l’anno del matrimonio), chi giurava che fosse il '63 per poi correggere al '68, molti mi hanno suggerito di rivolgermi a Tizio o a Caio “perché si ricorda tutto!” ma ovviamente sono stati smentiti, ...
  
Non essendo giunto ad un punto fermo, e fino a prova contraria, continuo a prendere per buona la data fornita da Marifari, unica fonte scritta in mio possesso, ma continuerò a cercare un riscontro, possibilmente inconfutabile.

mercoledì 9 maggio 2018

Mercoledì 6 agosto 1969: scoppio del faro di Punta Campanella

Pochi giorni fa, prima di rientrare dalla mia trasferta turca, avevo avuto la bella sorpresa di ricevere dal Comando Zona dei Fari e dei Segnalamenti Marittimi di Napoli una risposta precisa e dettagliata in merito alla data dello scoppio e conseguente crollo del faro di Punta della Campanella che cercavo da un po’ di tempo.  
“L’incendio ed il successivo scoppio presso l’infrastruttura in argomento è avvenuto il mattino del 6 agosto 1969.”
   
Pertanto, oltre alla data esatta - con precisazione della parte della giornata - ho appreso anche che lo scoppio fu conseguente ad un incendio, fatto al quale nessuno dei tanti terminesi e marinieri (M. della Lobra e M. del Cantone) da me intervistati aveva fatto riferimento. Al contrario, quasi tutti avevano precisato che sorsero forti sospetti che l’evento fosse stato causato volontariamente proprio da un fanalista (così sono chiamati localmente, più corretto sarebbe farista), fatto mai dimostrato, almeno a quanto ne sappia io.
  
Avendo aggiunto al mio quesito principale “sarei felice di conoscere anche quella (data) di inizio attività”, il suddetto Comando ha gentilmente fornito detta informazione con una precisazione che ha suscitato in me ulteriore curiosità:
“Per completezza di informazione, si comunica che il faro è stato attivato a cura del Regno delle due Sicilie nel 1848 su un fabbricato a due piani già esistente.”
Ovviamente, mi riferisco all'essere venuto a conoscenza del fatto che nel 1848 già vi fosse un fabbricato a due piani, distinto dalla Torre Minerva, che si trovava a monte. 
Risolto un interrogativo, ne sorge un altro, anzi due poiché Stefano Ruocco (presidente dell’Archeoclub locale, al corrente della mia ricerca), oltre a un paio di foto qui riportate, mi ha inviato il documento qui in basso che, secondo me, aveva mal interpretato vedendolo come un progetto di costruzione, datato proprio 1848, nel qual caso il fabbricato non sarebbe stato preesistente, contraddicendo quanto riportato nei registri del Regno delle Due Sicilie
A mio parere, si tratta invece di un preventivo o consuntivo economico per la sola “accensione” del faro al primo anno di attività, avvalorato dal fatto che i costi delle “fabbriche” sembrano non congrui per la costruzione dell’intero edificio e quindi dovrebbero essere relativi al solo adattamento. Ma c’è di più, se la "Pianta" in basso a sinistra illustra la posizione esatta del fabbricato - a valle della Torre Minerva e separato da essa - nonché l’accesso tramite le scale in buona parte ancora oggi visibili, la ripartizione dei vani e la terrazza semicircolare che si affaccia sul mare, nel “Prospetto” si vede la lanterna chiaramente posizionata davanti ad un edificio ad un solo piano e non “su un fabbricato a due piani” come invece è scritto nei documenti e come in si vede dalle fotografie d’epoca. La faccenda si fa sempre più confusa ...

Avevo preparato questo testo stamattina prima di andare a Napoli a cercare ulteriori notizie e foto dell'evento da aggiungere a quelle surriportate ma, scorrendo le edizioni sia Il Mattino che il Roma dei giorni successivi, non ne ho trovato cenno. Per ora, pur non avendo la certezza assoluta della data, dobbiamo prendere per buona quella fornita da MariFari.

Sarò "costretto" a continuare le mie ricerche per cercare di risolvere quest'altro "mistero di Punta della Campanella".

domenica 6 maggio 2018

Ultimo giorno di ricerca gastronomica (in stile turco)

Ieri a ora di pranzo sono andato a sperimentare una lokantasi, questo è il nome di specie di trattorie con piatti pronti, talvolta tipo selfservice, altre volte anche con servizio al tavolo. 
Locale quasi pieno e nessuno straniero in vista ... ottimi indizi. Ho preso le tradizionali köfte (polpette, che non avevo ancora provato qui) con patate e qualche pezzo di altri ortaggi e un piatto di bulgur (qui più comune del riso) e, con tutto che il cibo fosse ottimo e abbondante, ho pagato “la bellezza” di 18 TL = 3,60 euro.

Adocchiata nei giorni scorsi e sembratami molto invitante, ieri sera sono andato a sperimentare la Balkan Lokantasi, in zona relativamente turistica, fra Topkapi e il ponte Galata, ma tradizionalmente popolare non essendoci particolari attrazioni nelle immediate vicinanze e trovandosi poco distante dalla vecchia stazione. L’avevo vista sempre affollata di turchi e, dato il grande transito di turisti, anche di vari stranieri che evidentemente seguono i miei stessi criteri di scelta.
Preso dall’entusiasmo e per recuperare le calorie bruciate negli oltre 20km della lunga passeggiata seguendo per quanto possibile le mura (+ deviazioni) ho scelto ben tre piatti: uno stufato di carne (tanta carne e poche verdure, patate, carote e funghi), i manti turchi con salsa di yogurt (molto più piccoli di quelli turkmeni provati venerdì) e una porzione di ceci in salsa, e qui mi sono dissanguato ... ben 25,50 TL = 5,10 euro!
   
Oggi sono tornato lì per pranzo e, avendo concluso la mia colazione verso le 9 e avendo camminato poco, mi sono limitato alla moussaka (versione turca, comunque abbastanza simile alla greca originale) e un'abbondante porzione di "spanish and egg" (letteralmente "spagnolo e uova", ma chiaramente volevano dire spinach) che tuttavia non era a base spinaci, ma di una varietà di bietole, il tutto coperto da un uovo (ciò che a prima vista può sembrare formaggio fuso è invece l’albume). Ancora una volta tutto buono e abbondante e stavolta ho pagato 13,50 TL = 2,70 euro!
Prima di pranzo, stanco della sottile pioggerellina e della prima giornata grigia che non mi permetteva di fotografare come avrei voluto e in attesa che giungesse ora di mettermi a tavola, mi sono fermato al Kervan Cafe, uno dei tradizionali piccoli locali dove si servono quasi esclusivamente caffè e tè, per bermi appunto un çay (tè, pronuncia ciai) seduto su uno dei bassissimi e abbastanza scomodi  sgabellini al lato degli altrettanto bassi tavolinetti, coperti da classiche tovaglie colorate con motivi tradizionali.
Fra tutto questo classico di sapore antico, al lato dell'ingresso spiccava un caricabatterie per smartphone a moneta, con cassetta chiudibile con chiave e all'esterno di ciascun sportellino erano indicati i tipi di spinotto disponibili. Prezzo 1 TL (20 centesimi di euro), ma non ho capito a quanto tempo di ricarica si avesse diritto. 
   
Forse perché non sono certo all'avanguardia in quanto a cellulari, questa "geniale invenzione" non l'avevo ancora vista o forse solo non notata.

sabato 5 maggio 2018

Alla scoperta della cucina del Turkmenistan

Su mia specifica richiesta ieri sera sono stato accompagnato da uno dei concierge dell'albergo in un ristorante che servisse cibo veramente tradizionale "non per turisti". Così mi ha guidato in una zona di Istanbul a oltre 5 km dal centro dove mi è sembrato di essere veramente l'unico non locale. Il posto mi ha lasciato un po' perplesso in quanto sembrava un fast food, molto poco turco. In effetti non aveva niente di "fast" in quanto la pasta è stata stesa e riempita al momento e la cucina non era turca ma turkmena (mi ha spiegato che ci va spesso in quanto la sua ragazza è del Turkmenistan, quindi una garanzia di originalità).
Innaffiati da abbondante tè (servito in teiera e con foglie) abbiamo mangiato:
fiçi (traslitterato fitchi, suona quasi come “ficci”) 
pasticcio di carne, contenuto in una sfoglia di pasta molto sottile, cotto al forno. I tagli nella sfoglia superiore si fanno per fare uscire il vapore, considerato che il contenuto è molto umido. Ho letto che hanno una dimensione standard di 14 cm di diametro. Di solito i locali che propongono cucina turkmena si pubblicizzano inserendo fiçi o nel loro nome (p. e. Fiçi Restorani).
   
manti (nel mio caso husar manti, cotti al vapore) 
ricordano tanto i wonton cinesi, ma sono di dimensioni molto maggiori. Per darvene un'idea, oltre ad aver inserito nella foto le posate, sottolineo che il piatto a sinistra era di dimensioni solo di poco inferiori a quelli da pizza e, in quanto all'abbondanza, la porzione è di 6 manti. Questi turkmeni non devono essere confusi con quelli turchi che sono molto più piccoli, simili ad un incrocio fra i nostrani tortellini e ravioli (e così sono proposti sui menù internazionali: Turkish ravioli) e che vengono di solito serviti con una salsa (piccante) a base di yogurt.
samsa 
quelli serviti li definirei simili a dei grandi panzarotti napoletani (quelli fritti e ripieni, non i crocchè di patate), quasi della dimensione di un calzone fritto. Sono comuni in quasi tutta l’Asia, dalle aree centrali al subcontinente indiano, al sud-est e alla Cina e, ovviamente, sono preparati in varie forme e dimensioni e con i più svariati ripieni e vengono chiamati: somsa, samoosa, sambosak, sambusa, singada, samuza, somasi, somas ... 
Le tre suddette ricette utilizzano più o meno lo stello ripieno, un impasto i cui ingredienti principali sono carne (tradizionalmente di montone oggi più spesso vaccina) e cipolle. Tuttavia c'è una sostanziale differenza nella qualità della sfoglia che contiene l'impasto e, chiaramente, nel metodo di cottura: al forno (fiçi), al vapore (husar manti), fritti (samsa).

Precisazione storica: i turchi non sono originari della Turchia moderna, bensì delle aree dell’Asia centrale. I turcomanni giunsero a dominare una enorme parte del continente, dalle coste del Pacifico a quelle del Mediterraneo. Stabilitisi già in Anatolia, solo nel 1453 conquistarono Istanbul ai bizantini e lì stabilirono la capitale dell’Impero Ottomano che durò fino alla costituzione della Rep. Turca, avvenuta nel 1923. 
Pertanto, si può considerare la cucina del Turkmenistan come quella originaria della turca degli ultimi 5 secoli.

giovedì 3 maggio 2018

Visita breve di un monumento quasi unico: Yerebatan Sarnıcı

Dopo quasi 40 anni giustamente mi aspettavo che molte cose fossero cambiate ma, in questo caso, ho avuto delle sorprese di segno opposto. Quando vidi la cisterna nel 1981 (all'epoca poco conosciuta), la visita la feci in barca! ... e, in quanto alla luce, ci si affidava alle sole torce!
Questa che ora in ambito turistico viene comunemente chiamata Basilica Cisterna fu fatta scavare per volere dell’Imperatore Giustiniano (527-565 d.C.); è lunga 143 metri e larga 65, conta ben 336 colonne alte circa 9 metri, disposte in 12 file di 28 elementi, unite da 366 archi. Inizialmente fu utilizzata per rifornire d'acqua la città, successivamente fu abbandonata e dimenticata per poi essere riscoperta nel XVIII secolo. Fu misurata con una certa esattezza solo nel corso della I Guerra Mondiale, grazie ad un archeologo tedesco che si servì di un battellino di salvataggio di un sottomarino. Successivamente vi fu trasportata una barchetta e da allora fu possibile a tutti visitare la cisterna pagando un “biglietto” al proprietario della casa dalla quale iniziavano le scale. 
   
Le cose oggi son ben diverse, è diventata una delle principali attrazioni di Istanbul, c'è sempre una lunga fila alla biglietteria e di conseguenza folla all'interno, ma la barca non c'è più e i turisti percorrono i 140 metri di lunghezza del colonnato camminando su un'ampia, comoda e solida passerella.
Ho appreso che nella seconda metà degli anni '80 furono effettuati grandi lavori di pulizia e ristrutturazione, fu dragata l'intera superficie e si scoprì un pavimento di mattoni; nei 4.000 metri cubi di fango estratti fu trovato un po' di tutto, anche qualche scheletro ....
Ma il fatto estremamente più rilevante fu la completa venuta alla luce delle due ora famose grandi teste di Medusa, una completamente rovesciata e l'altra inclinata su un lato, a 90°, con la guancia destra sul pavimento. 
   
Queste vere e proprie opere d’arte certamente furono scolpite per qualche importante monumento (alcuni suggeriscono un arco di trionfo) ma, così come le colonne, giunsero in loco come materiale di riciclo e furono adoperate come sostegno di un paio di colonne in fondo alla cisterna, all’estremità più lontana dall’attuale ingresso. 
Purtroppo, non ho potuto apprezzare al meglio la suggestiva moderna illuminazione in quanto a causa dei lavori in corso la vasca è attualmente vuota e c’è solo una parte in cui è stata lasciata abbastanza acqua per le carpe. 
A quanto ho visto da alcune fotografie, in condizioni normali la superficie diventa un vero e proprio specchio con conseguenti riflessi delle colonne.
La maggior di queste sono semplici, lisce e cilindriche, qualcuna è un po’ lavorata, ma ce n’è una che spicca fra tutte, la cosiddetta colonna che piange. Su essa sono stati scolpiti degli “occhi” e la pietra è di quel tipo che dà l’impressione di essere sempre umida. Si dice che fu realizzata per rappresentare il dolore dei 7.000 schiavi che scavarono la cisterna nella roccia viva.
Pur essendo molto più grande e "artistica", ricorda un po’ la Piscina Mirabilis di Bacoli, enorme cisterna di epoca romana, fatta costruire da per approvvigionare la flotta imperiale che faceva base appunto fra Bauli, Puteoli, Miseno e Cuma.
Da cinefilo non posso fare a meno di proporvi questa scena tratta da 007, Dalla Russia con amore (1963, con Sean Connery nei panni di James Bond).

mercoledì 2 maggio 2018

Anche i giovani sultani gradiscono le Süt Mısır

Fra i cibi di strada venduti dagli ambulanti in giro per Istanbul con i loro carrettini di solito coperti da una caratteristica tenda a strisce bianche e rosse,  i più comuni sono i simit (ciambelle con crosta croccante coperta di semi di sesamo, ma morbidi all'interno). 
   
Pur non essendo per niente piccoli, costano solo 1,25 TL (=25 eurocent, prezzo fisso praticamente ovunque). Con i simit si vendono spesso altri dolci asciutti, talvolta si trova anche frutta.
   
Subito dopo, ci sono le spighe di mais (mısır ), anche queste molto economiche costando 3 o 4 TL bollite (süt), 4 o 5 arrostite (közde) quindi rispettivamente 0,60 - 0,80 e 1 euro ... anche nei posti più turistici. Spesso dagli stessi ambulanti si possono acquistare anche castagne arrostite (ma la disponibilità potrebbe essere limitata ad alcuni periodi dell'anno).
   
Siccome le castagne (esposte mezze sbucciate e ordinate, allineate o in piccole piramidi) vengono vendute a peso, sui carrettini c'è anche una piccola bilancia in stile antico a due piatti. 
E oggi ho anche trovato (e provato) un ayran artigianale, bevanda dissetante popolarissima nel Medio Oriente ma diffusa, con nomi diversi, dal subcontinente Indiano all'area Balcanica
Si tratta molto semplicemente di yogurt (ma di quello vero ... denso e non "cremoso" come quelli pubblicizzati oggi) mischiato con uguale quantità d'acqua e "condito" con un po' di sale ed eventualmente delle foglie di menta o altre spezie. 
Viene spesso servito anche con le carni e con piatti piccanti, proprio per contrastarne il "bruciore".
Ovviamente, avendo un areale di consumo così vasto, fra popolazioni estremamente diverse, climi diversi e cibi ancor più diversi, ce ne sono una varietà infinita, più o meno densi, più o meno salati, dai sapori più svariati.
Chi è stato in India lo avrà forse provato come lassi
Nella foto a sinistra vedete il mio bicchiere di ayran, ancora con della schiuma in superficie, anche dopo averne bevuto un bel sorso. 

Last but not least, è dimostrato che l'ayran è un eccellente integratore salino, prebiotico e probiotico, ... altro che prodotti industriali come i vari xxxade!