martedì 29 novembre 2022

Microrecensioni 326-330: ecco 5 neo noir

Cinquina apparentemente omogenea, ma con film molto diversi, sia come argomento che come co-genere, sia come qualità e paesi e anni di produzione.  

 
Dark City (Alex Proyas, Aus, 1998)

Mai sentito nominare e di genere misto neo noir e sci-fi (non il mio preferito), guardato fidandomi dei rating, liste di preferenze ed alcuni commenti, è quello che mi ha piacevolmente sorpreso e mi piaciuto non poco. La trama è senza dubbio originale e ben sviluppata, pur avendo vari punti in comune con tanti altri film, a cominciare dalla amnesia del protagonista. La scenografia e gli effetti speciali descrivono alla perfezione l’atmosfera pesante che opprima questa città che non vede mai il sole. La situazione ricorda molto Paris qui dort (Parigi che dorme) ottimo e originale mediometraggio muto diretto da René Clair nel 1923 (consigliato). Alex Proyas (nato in Egitto, da genitori greci e poi emigrato in Australia) è bravo regista ma con molti alti e bassi; senz’altro l’altro suo film di livello è The Crow (1994), a qualcuno potrebbe essere piaciuto anche I, Robot (2004). Singolare la composizione del cast nel quale, al lato del protagonista Rufus Sewell, compaiono star come William Hurt (che non ha bisogno di presentazioni), Jennifer Connelly (Oscar in A Beautiful Mind) e Richard O'Brien (il Riff-Raff del cult The Rocky Horror Picture Show, 1975), ma ci sono anche Ian Richardson e Kiefer Sutherland. Consigliato.

Memories of Murder (Bong Joon-ho, Kor, 2003)

Questo è il più conosciuto e apprezzato della cinquina, addirittura al 196° posto nella classifica IMDb dei migliori film di tutti i tempi, direi abbastanza sopravvalutato. La sceneggiatura (tratta da un lavoro teatrale) è più che buona ma viene rovinata dall’esagerazione dei comportamenti dei poliziotti, dal commissario ai due detective e al poliziotto violento. Anche la fotografia e il montaggio meritano, come è lecito aspettarsi da Bong Joon-ho, co-autore della sceneggiatura. Vi ricordo che il regista coreano nel 2020 ha ottenuto ben 4 Oscar con Parasite (miglior film, film straniero, regia e sceneggiatura) e 34° posto nella classifica IMDb, assolutamente esagerato.

   
Body Heat (Lawrence Kasdan, USA, 1981)

Noir quasi classico, con una torbida storia passionale con la vista e rivista pianificazione dell’omicidio di un uomo, perpetrato dalla moglie insoddisfatta e dal suo amante. L’ambiente è quello della ricca borghesia di una cittadina sulla costa della Florida, con un taglio decisamente erotico (soft). I personaggi principali sono interpretati da William Hurt e Kathleen Turner, nel suo primo ruolo da protagonista. Non un gran film, ma ben messo in scena; forse riducendo il numero delle scene passionali sarebbe stato più scorrevole, ma è inutile negare che tali riprese attirano il pubblico, ergo …

Devil in a Blue Dress (Carl Franklin, USA, 1995)

Non un granché ... ha l’originalità di un noir moderno (seppur ambientato nel 1948, in California) di matrice afroamericana. La trama, un po’ troppo densa di avvenimenti (e morti), pone quasi tutti i “neri” dalla parte dei più o meno buoni e i bianchi da quella dei cattivi. Aggiungete quelli che stanno a metà strada, politici che concorrono alla carica di sindaco, pedofili, persone dal grilletto molto facile, storie d’amore, ricatti incrociati e il protagonista (Denzel Washington) che i guai se li va a cercare e concorderete che per un’ora e mezza di film è un carico eccessivo. Mi ha inoltre lasciato perplesso, in un film nel quale si tratta più volte il tema del razzismo, la rappresentazione della comunità afroamericana che vive tranquillamente e pacificamente in un ordinatissimo quartiere con strade larghe adornate con palme, aiuole perfettamente tenute davanti alle moderne case, macchine moderne e splendenti e via discorrendo. Qualche merito glielo riconosco, soprattutto per la fotografia e la caratterizzazione di alcuni personaggi (altri, come quello di Don Cheadle, sono quasi ridicoli), ma in linea di massima è appena sufficiente.

Brick (Rian Johnson, USA, 2005)

Film fra un’indagine indipendente di un giovane e intraprendente studente sulla misteriosa morte violenta di una sua ex e una guerra fra giovani spacciatori di droga. La trama sembra tanto una variante studentesca di Per un pugno di dollari, con il protagonista che, pur essendo regolarmente e pesantemente malmenato, riesce a infiltrarsi fra i probabili assassini e, facendo il doppio gioco, riesce a mettere gli uni contro gli altri. Film evidentemente prodotto a basso budget con scene quasi sempre ridicolmente deserte (strade, scuole, campi sportivi, …) e con cast molto poco convincente.

sabato 19 novembre 2022

Microrecensioni 321-325: ecco 5 road movie cult

Si tratta di 5 classici, quasi tutti alternativi, indipendenti e senza grandi nomi. I co-generi, e quindi i personaggi principali, sono molto diversi; nell’unico con star ci sono due evasi in fuga (a piedi), nel secondo dei fanatici di gare illegali su strada, nel terzo un ex-pilota, professionista delle consegne auto da uno stato all’altro, braccato dalla polizia, nel quarto, al contrario, il protagonista è proprio un poliziotto motociclista (che aspira a diventare detective) e infine ci sono due amici presi in ostaggio (con la loro auto) da un evaso. Oltre ad essere road movies, vari sono accomunati dalle location, strade desolate del sudovest americano, rettilinei senza fine nel deserto, piste sterrate fino alla California e anche al Messico. Due sono degli anni ’50, gli altri 3 degli inizi degli anni ’70, in pieno periodo di fermenti giovanili, comunità hippy e sulla scia del progenitore Easy Rider (1969, Dennis Hopper). Comincio con due super-cult (per i cinefili).

 
Vanishing point (Richard C. Sarafian, USA, 1971) tit. it. Punto Zero

Film che ha immortalato un’auto (la 1970 Dodge Challenger R/T 440 Magnum) e un nome, quello del protagonista: Kowalski. La macchina in questione (di serie, da portare da Denver, CO a Los Angeles, CA) era un mostro di 7.200cc, da 375 cv, 8 cilindri a V, modelli simili di tale potenza erano relativamente comuni negli USA all’epoca. Pensate che nel 1985 ho personalmente guidato una Pontiac Lemans del 1969 (6.100 cc, 330 cv) inviata da una madre di Los Angeles, CA a sua figlia che studiava a Eugene, OR (come se fosse una vecchia utilitaria!) e non persi l’occasione di percorrere la mitica Highway 101, la spettacolare strada costiera spesso a picco sul mare e con tante curve che avrete visto in centinaia di film! Il cognome Kowalski è stato utilizzato in vari altri film successivi, l’orologio e gli occhiali sono state citazioni, nel 1997 è stato prodotto un remake (scadente) con Viggo Mortensen. Oltre a Super Soul, conduttore (cieco) di una piccola radio indipendente che assiste a distanza l’ex pilota, militare e poliziotto, ci sono tanti altri personaggi incredibili che fanno brevissime apparizioni: dal catturatore di serpenti a sonagli, a comunità religiose, alla coppia gay Just Married che tenta di rapinarlo, un’affascinante autostoppista (una giovane Charlotte Rampling, scena tagliata nella prima versione), una ragazza completamente nuda su una moto Honda nel bel mezzo del deserto. Ottima la colonna sonora che mette insieme pezzi rock, country, soul e gospel. Film molto datato ma certamente rappresentativo di quell’epoca di rivoluzione giovanile, guerra in Vietnam, droga, rock, hippies, capelli lunghi, promiscuità e vestiti coloratissimi.

Two-Lane Blacktop (Monte Hellman, USA, 1971) tit. it. Strada a doppia corsia

Il titolo italiano, in questo caso, è quasi letterale in quanto blacktop si riferisce alle strade asfaltate (quindi nere) per distinguerle da quelle in cemento (grigie) comuni negli States. I protagonisti sono tre, tutti senza nome: the Pilot, the Mechanic e GTO (dal tipo di auto che guida). In effetti, per una parte del film c’è anche una autostoppista, ovviamente identificata con un vago the Girl. Warren Oates è lo sbruffone che viaggia da solo su una Pontiac GTO nuova della quale si vanta e sfida i due ragazzi che con una vecchia Chevrolet 1955 ampiamente modificata con la quale partecipano a gare legali e non dovunque si svolgano. Monte Hellman è regista semisconosciuto ai più, ma molto apprezzato fra i cineasti, è stato finanziato da Roger Corman ed ha influenzato Quentin Tarantino. In questo film, chiaramente indipendente, solo Warren Oates fu l’unico attore professionista, il pilota fu interpretato dal famoso cantautore James Taylor (100 milioni di dischi venduti) mentre per il ruolo del meccanico Dennis Wilson (batterista dei The Beach Boys) fu ingaggiato appena 6 giorni prima dell’inizio delle riprese. La prima versione montata da Monte Hellman era di 3 ore e mezza, per contratto fu obbligato a ridurla a 1h42’. Altro film specchio dell’epoca, con tanti giovani che impazzivano per gare su strada fra auto, dal quarto di miglio alle interstato (come in questo film) e moto modificate (chopper e co.).

  
The Hitch-Hiker (Ida Lupino, USA, 1953)

Ida Lupino fu stimata e conosciuta attrice dai primi anni del sonoro a metà anni ’50, ma fu anche una delle poche registe di qualità (una mezza dozzina di titoli), poi si dedicò alla tv sia come attrice che come regista. Anche questo viene reputato un classico cult, con mix di generi, fra road movie, crime, thriller, nonostante il cast “povero” che conta solo su caratteristi certamente bravi ma con nomi sconosciuti ai più. Due amici che avevano programmato di andare a pescare hanno la malaugurata idea di prendere a bordo un autostoppista che immediatamente si rivelerà essere un pericoloso criminale senza scrupoli, appena evaso e quindi braccato dalla polizia americana e poi anche da quella messicana visto che la fuga prosegue in Baja California.

The Defiant Ones (Stanley Kramer, USA, 1958)

Questo è quello con i grandi nomi a cominciare dal regista, ma si tenga presente che i due fuggitivi protagonisti del film sono interpretati da una coppia d’eccezione: Tony Curtis e Sidney Poitier. Ottenne 2 Oscar (sceneggiatura e fotografia) e ben 7 Nomination, 4 delle quali per le interpretazioni dei protagonisti e non protagonisti, le altre 3 per miglior film, regia e montaggio. Secondo me sopravvalutato e così sembrerebbe anche dalla poca notorietà, nonostante premi e star coinvolte. L'immancabilmente ridicolo titolo italiano è La parete di fango ...

Electra Glide in Blue (James William Guercio, USA, 1973)

Altro nome sconosciuto ed il fatto non meraviglia visto che questo è l’unico film diretto da James William Guercio. Tuttavia, in quell’epoca nella quale i road movies americani si affermavano, fu la proposta americana al Festival di Cannes del 1973. Senz’altro il meno avvincente del gruppo e l’inesperienza di Guercio come regista si fa notare; ebbe certamente molto più successo come produttore discografico … tutt’altra attività.

domenica 13 novembre 2022

Microrecensioni 316-320: strano mix, solo due connessi

A un turco di pregevole estetica , un australiano politico/razziale, un coreano drammatico ho affiancato due film unanimemente reputati pietre miliari del cinema, con tema per molti versi comune. I due vanno molto di pari passo, con folli dittatori avidi di conquiste, sottomissioni e progetti di genocidi e stermini come protagonisti. In entrambe i casi gli stessi attori (Charlie Chaplin e Peter Sellers) interpretano anche un ruolo ben diverso, impegnati a salvare il mondo da una catastrofe o, quanto meno, da tali pazzi guerrafondai. Ovviamente, per cogliere i vari riferimenti (per lo più grotteschi) alla realtà storica del momento è imprescindibile sottolineare l'anno di produzione: 1940 (inizio della II Guerra Mondiale) per quello con tanto di caricatura del Fuhrer, 1964 per Kubrick che invece fa satira sulla guerra fredda e minacce nucleari fra le due superpotenze palesemente indicate come USA e URSS. Con tutte le dovute differenze, personalmente preferisco di gran lunga il secondo, sia per la regia (Kubrick è regista, Chaplin doveva limitarsi a fare le sue solite macchiette che, a suo danno, porta anche nel film) sia per la qualità delle sceneggiature evidentemente non paragonabili per sagacia e dialoghi, sia perché Chaplin non può competere con Peter Sellers.

 
Time to Love (Sevmek Zamani, Tur, 1965)

Pellicola ottimamente restaurata, ed il fatto è significativo in quanto il film conta molto sull’estetica dell’ottima fotografia. La storia, veramente sui generis e ben proposta, narra di un imbianchino pittore di appartamenti che si innamora di una gigantografia del volto della proprietaria di un appartamento di villeggiatura su una della Isole dei Principi nel Bosforo, nei pressi di Istanbul. Solo dopo un anno, mentre lavora in un’altra villa, incontrerà la donna con la quale inizierà un insolito rapporto in quanto lui si dichiara innamorato esclusivamente dell’immagine, mentre lei è palesemente interessata all’uomo proprio per tale motivo. Interessanti i due co-protagonisti: il collega del pittore suonatore di ud (o oud che dir si voglia) e il gelosissimo pretendente della ragazza. Un po’ esagerato ed emblematico il finale che mette in risalto tutti i limiti di Süleyman Tekcan come attore, ma il resto del film merita certamente un’attenta visione per la qualità della fotografia.  

Slam (Partho Sen-Gupta, Aus/Fra, 2018)

Molto interessante per i temi affrontati: immigrazione, accoglienza dei rifugiati, legami famigliari, pregiudizi razziali, protesta tramite la poesia. La buona sceneggiatura e le buone interpretazioni mantengono costantemente vivo l’interesse per questa storia che comincia con la sparizione di una rifugiata siriana in Australia e influisce in modo drammatico non solo sulle vite della madre e del fratello (e della sua famiglia) ma anche sulla funzionaria di polizia che si interessa del caso e che ha i suoi bravi problemi, in qualche modo legati alla missione australiana in Siria. Si rivela un miscela di drammi familiari, indagini di polizia, razzismo. Merita la visione.

  
Dr. Strangelove (Stanley Kubrick, USA, 1964) tit. it. “Il dottor Stranamore” *

Kubrick è stato un regista che si è divertito a cimentarsi in nei generi più vari anche se ha forse avuto una predilezione per i film di guerra, mostrando sempre la sua avversione alla stessa. Questo è una feroce parodia dell'ambiente politico-militare, in particolare quello ai massimi gradi e dei loro rapporti internazionali. Più che il sempre bravo Peter Sellers (che interpreta 3 personaggi diversi), impressiona l'ottima prova di George C. Scott nei panni di un generale, ovviamente al limite della follia. Nel cast tanti altri bravi caratteristi (p. e. Sterling Hayden e Slim Pickens) che attuano alla perfezione le direttive del regista. I dialoghi sono di una logica stringente ma, partendo da presupposti fasulli o errati, giungono a conclusioni folli, esilaranti e allo stesso tempo tragiche. Il film segue tre storie parallele e interconnesse che si sviluppano contemporaneamente nell’arco di poche ore in una base militare americana, su un bombardiere B-52 diretto in Russia con armi nucleari e al Pentagono nella sala del Consiglio di guerra. Dr. Strangelove fu il primo film a trattare ampiamente il tema delle armi nucleari e fu aspramente criticato per il modo caricaturale in cui lo fece, con una esaltazione dell'illogicità della guerra in generale e delle minacce, delle rappresaglie e degli ordini irrevocabili in particolare. Se ci fosse qualcuno che ancora non lo ha visto, che rimedi al più presto. Al 68° posto fra I migliori film di tutti i tempi secondo IMDb, 4 Nomination Oscar (miglior film, regia, Peter Sellers protagonista e sceneggiatura).

The Great Dictator (Charlie Chaplin, USA, 1940) 61° 5N

Pur dovendo ammettere che non ho mai apprezzato più di tanto Chaplin, né come comico che come regista, penso che senza essere prevenuto sia più che onesto affermare che questo film è sempre stato nettamente sopravvalutato, indipendentemente dal paragone con Dr. Strangelove al quale qui l’ho abbinato. Non riesce mai a prendere una direzione decisa, barcamenandosi fra macchiette, capriole e parti serie; non convincono i due personaggi da lui interpretati nel film, il grande dittatore e il suo oppositore barbiere smemorato, né la storia romantica, né tutto il resto. Il discorso finale dichiaratamente pacifista è troppo forzato, ma certamente ha fatto storia nel cinema essendo ripreso per certi versi nei contenuti non solo dal film di Kubrick ma anche da un altro famoso film (messicano) quale Su excelencia (1967, Miguel M. Delgado, con Cantinflas come protagonista). Al 61° posto fra I migliori film di tutti i tempi secondo IMDb, 5 Nomination Oscar (miglior film, Charles Chaplin protagonista, Jack Oakie non protagonista, sceneggiatura e commento sonoro).

Peppermint Candy (Lee Chang-dong, Kor, 1999)

Veramente deludente, nonostante la tanto decantata costruzione cronologicamente al contrario, e con salti temporali irregolari. Il moderno cinema coreano, per nostra fortuna, conta su molti altri ottimi registi. Non lo consiglio.

venerdì 4 novembre 2022

Microrecensioni 311-315: slapstick, musical e 3 screwball

A tre buone commedie romantiche / sofisticate quasi grottesche basate su pregiudizi e differenze di classe ho aggiunto altre due classici paradossali di ottimo livello una slapstick (manco a dirlo dei fratelli Marx) e un musical con finale grandioso … tranne una, sono tutte degli anni ’30. Anticipo che le tre commedie romantiche sono effettivamente sullo stesso tema ma, benché spesso le due più note siano associate e reputate una remake dell’altra, fra loro ce n’è una terza che è effettivamente l’originale dell’ultima, messicana e del 1955. In tutti e tre i casi i protagonisti (involontariamente sotto mentite spoglie) vengono assunti da ricchissime famiglie come maggiordomo nel primo caso, come autista negli altri due. Dall’atteggiamento dei presunti barboni assunti per la smodata filantropia della padrona di casa (completamente svagata, fuori di testa) è chiaro dall’inizio che sono persone di una certa cultura e che, in precedenza, era abituati a trattare con i membri dell’alta società o, quanto meno, con quelli dell’ambiente degli straricchi. Escuela de vagabundos, più che un remake, sembra una copia conforme di Merrily We Live (quasi del tutto sconosciuto) ed alcune scene, a cominciare da quella iniziale, sono assolutamente identiche. Dei tre, forse anche perché non lo conoscevo, quest’ultimo mi è sembrato quello più arguto e divertente, nonostante il finale quasi slapstick, e da questo comincio.

Merrily We Live (Norman Z. McLeod, USA, 1938)

Con un cast di nomi semisconosciuti conquistò ben 5 Nomination Oscar (ma nessuna statuetta) ed è rimasto pressoché ignoto ai più. Rispetto al simile My Man Godfrey di due anni prima, le due sorelle non sono in totale contrasto, manca il fratello e ci sono due simpatici cagnoni. I dialoghi, specialmente quelli con la svampita padrona di casa (Billie Burke, Nomination non protagonista), sono ancor più surreali eppure arguti. La sceneggiatura è un adattamento del romanzo The Dark Chapter: A Comedy of Class Distinctions (1924, E.J. Rath), poi prodotto a Broadway nel 1926 come They All Want Something da Courtenay Savage e infine già portato sullo schermo nel 1930 da George Crone con il titolo What a Man!, eppure viene di solito associato a My Man Godfrey nei cui titoli non compare nessuno dei suddetti autori fra i collaboratori alla sceneggiatura. Io lo consiglio, tit. it. Gioia di vivere.

 
Escuela de vagabundos (Rogelio A. González, Mex, 1955)

Come anticipato, questo è un vero remake di  Merrily We Live, diventato subito un classico della Epoca de Oro, da molti giudicato uno dei migliori film di Pedro Infante, il più noto e amato attore / cantante di allora, prematuramente scomparso 2 anni più tardi. Ma se la sua partecipazione ha dato lustro e importanza al film, allo stesso tempo è diventata una palla al piede della commedia poiché, inevitabilmente sono state inserite una mezza dozzina di canzoni a discapito del buon ritmo della trama.

My Man Godfrey (Gregory La Cava, USA, 1936)

Come detto questo è il più famoso dei tre, con un gran cast che meritò ben 4 delle 6 Nomination ottenute dal film: Carole Lombard e William Powell protagonisti, Alice Brady e Mischa Auer non protagonisti. Le altre due andarono a alla regia e alla sceneggiatura, ma anche in questo caso nessuna delle 6 si trasformò in Oscar. A ben vedere i punti di contatto con le altre commedie simili sono pochi, solo il (pre)concetto della valutazione delle persone per il loro aspetto o per la loro situazione momentanea sono uguali così come la ridicolizzazione della ricca svampita filantropa padrona di casa. Alla fine regnano i buoni sentimenti ed il più che previsto lieto fine. Certamente buono, ma continuo a preferire Merrily We Live.

 

Gold Diggers of 1935 (Busby Berkeley, USA, 1935)

Busby Berkeley più che regista era coreografo molto apprezzato a Hollywood e non fatevi ingannare dal titolo che letteralmente significa “cercatori d’oro” in quanto questi non c’entrano assolutamente niente. All’epoca Gold Digger era un termine comunemente usato per indicare le ragazze, o donne, in cerca di un marito straricco; la storia si sviluppa in un grande albergo che definire di lusso sarebbe un diminutivo. La prima parte del film è una commedia molto divertente, con personaggi bizzarri non solo fra gli ospiti dell’hotel, ma anche fra il personale. Tutti quelli che hanno o hanno avuto a che fare con questo ambiente lavorativo dovrebbero vederlo ... da allora niente è cambiato. La parte finale volge più al musical classico con due coreografie affollatissime, la prima delle quali coinvolge un numero incredibile di pianoforti che si muovono come in un caleidoscopio ... e non è un gioco di specchi, sono veramente tanti! Se è piaciuto a me che non sono amante di questo genere di film penso che possa piacere anche a tanti altri.  Oscar per la miglior canzone e Nomination per la coreografia.

Monkey Business (Norman Z. McLeod, USA, 1931) tit. it. Quattro folli in alto mare

Primo film originale e non tratto da lavoro teatrale dei fratelli Marx. Il regista Norman Z. McLeod li diresse anche nel successivo Horse Feathers (1932) e in tutta la sua carriera gravitò nel genere commedie più o meno grottesche con comici famosi come W.C. Fields, Danny Kaye e Bob Hope ... si direbbe che solo per Merrily We Live non gli fu messo a disposizione nessun gran nome. La lunga prima parte della storia è certamente la più divertente e si svolge su un transatlantico, sul quale i 4 ineffabili fratelli viaggiano come clandestini e, ovviamente, portano scompiglio se non caos. La parte finale ha meno mordente e perde di vivacità. In stile classico dei Marx Brothers, è indispensabile conoscere l’inglese (ancora meglio l’americano) per cogliere le sfumature linguistiche e i giochi di parole.