Già si intuisce che questo gruppo è molto vario, con due film di genere, di quelli che si producevano quasi in serie rispettivamente in Messico e Giappone nel secolo scorso, e tre recentissimi che trattano di argomenti che vanno dall’immigrazione al razzismo, guerre civili e produzioni porno.
Farewell Amor (Ekwa Msangi, 2020, USA)
Storia di un
ricongiungimento familiare dopo 18 anni … il padre, integrato tassista a New
York, riceve moglie e figlia rimaste in Angola per tutto quel tempo. Le moderne
idee di indipendenza della ragazza cozzano con il fanatismo religioso della
madre che, ovviamente, si scontra anche con suo marito ampiamente
americanizzato, incredibilmente paziente e pacificatore. La regista è una
tanzaniana-americana, nata in California, cresciuta in Kenya, attualmente insegna
alla New York University. Con buon garbo sottolinea l’inevitabile cultural
clash all’interno della stessa famiglia, anche se tutto sembra un po’
troppo edulcorato. Molto convincenti gli attori, specialmente Ntare Guma
Mbaho Mwine e Zainab Jah, rispettivamente nei ruoli di padre e madre.
Positive ben il 97% delle 72 recensioni professionali raccolta su RT.
Pleasure (Ninja Thyberg,
2021, Swe)
Questo film
molto sui generis è proposto su MUBI e tratta del mondo del cinema porno,
soprattutto dal punto di vista degli attori. Ho scritto sui generis in
quanto visivamente si propone meno di tanti film erotici appena spinti e sono messi
in evidenza più membri maschili che parti intime femminili. La protagonista è
una giovane svedese che arriva in California con il preciso scopo di diventare
una superstar del porno e fra successi e delusioni farà molta strada. Penso che
in ogni ambiente si trovino i buoni e i cattivi, professionisti ed
avventurieri, e qui si mettono in risalto i preliminari nei quali si concorda
cosa l’attrice è disposta a fare e cosa no, nonché il suo cachet. Anche nelle
scene più violente c’è un codice con il quale si chiede di interrompere le
riprese. Si parla di come vengono valutate le star, con followers sui social,
visualizzazioni su YouTube e su che tipo di scene di sesso spinto sono disposte
ad interpretare. Gli spettatori potranno anche riflettere sugli enormi guadagni
realizzati in questo campo nel quale si producono film (meglio dire corti o
videoclip) in poche ore e con solo due o tre interpreti ed uno staff composto
da regista (talvolta anche operatore) e uno o due tecnici luci/suono, contro le
centinaia di persone impiegate per la realizzazione di un vero film le cui
riprese durano settimane se non mesi e spesso vanno in perdita. Per fortuna ci
sono alcuni indipendenti che riescono a combinare le due cose proponendo buoni
prodotti con staff e cast ridotti all’osso e attrezzature non troppo
sofisticate, come il pluripremiato Tangerine (2015, di Sean Baker,
96% su RT) girato con tre iPhone 5s e con una app da $8; la gran
parte dei 100.000 dollari del budget furono utilizzati per convertire le
immagini in un formato professionale, proiettabile nelle sale.
Notre-Dame du Nil (Atiq Rahimi, 2019, Fra/Bel)
Un regista
afghano ci porta in Ruanda una ventina di anni prima della sanguinosa guerra
civile nota come genocidio del Ruanda, quando gli hutu uccisero quasi un
milione di tutsi. Sono gli anni 70, il Ruanda (ex colonia belga) è già una
repubblica da una decina di anni, ma il fuoco dell’odio razziale cova sotto la
cenere, anche nell’isolato collegio femminile riservato alle figlie di politici
e militari. Gli attriti fra le ragazze appartenenti alle due etnie ricalcano un
po’ i soliti schemi, ma la parte interessante trattata nel film è quella della
interferenza alternata a indifferenza delle istituzioni religiose (nel collegio
c’è una superiora bianca e un sacerdote nero) e la presenza di coloni
europei rimasti in Ruanda. Le adolescenti crescono quindi lontane dalla realtà quotidiana
ma indottrinate contemporaneamente dalle proprie famiglie (spesso con idee
razziste sia nei confronti dei bianchi che dell’altra etnia), dalle regole
religiose imposte dal cattolicesimo e dalle credenze nei riti e magie
tradizionali. Fu premiato con l’Orso d’argento a Berlino e giudicato miglior
film a Giffoni (+16).
Isla para dos (Tito Davison, 1959, Mex)
Classico melodramma
romantico che vede protagonista uno dei migliori attori della Epoca de Oro del
Cine Mexicano: Arturo de Córdova. Senza infamia e senza lode, quasi
teatrale per avere pochissimi personaggi e (tranne la prima breve parte in
ambiente ricco/borghese) per svolgersi in un resort isolato fra le montagne (l’isola
immaginaria). Il maturo protagonista (pittore) è l’unico ospite oltre ad una
giovane pianista e i due sono accuditi dalla famiglia dei gestori composta da
un giovane insulso, un padre paziente ed una madre logorroica e intrigante (qui
la parte di commedia). Piacevole.
Yakuza Soldier Rebel in the
Army (Yasuzô Masumura, 1972, Jap)
Nono e ultimo
film di Masumura della serie Hoodlum Soldier con Shintarô
Katsu e Takahiro Tamura, nei panni dell’ex-yakuza Omiya e del
sottufficiale intellettuale Arita, l’unico che riesce a tenerlo a bada senza
violenza. Di quello iniziale del 1965 (il cui successo favorì le produzioni
successive con i medesimi personaggi) scrissi nel post precedente, ma in questo
si nota che si è perso il piglio iniziale e che alcune situazioni appaiono ripetitive.
Pur riconoscendo al regista giapponese la buona qualità media dei suoi film, di
qualunque genere, penso proprio che anche gli altri 7 furono girati in modo
abbastanza simile. Sufficiente, ma certamente non fra i migliori di Masumura.
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