Pur consapevole di non aver certo scelto il
meglio dei decenni scorsi, mi sono ritrovato a rimpiangere le mie visioni di film sconosciuti del
secolo scorso, talvolta mediocri ma quasi sempre ben realizzati ed
interpretati. Fra questi 5 si distingue un film russo che sembra non sia mai stato distribuito
in occidente.
Pop (The Priest) (Vladimir Khotinenko, Rus, 2009)
Basato su un personaggio reale, il pope
(sacerdote ortodosso) Aleksandr Ionin che negli anni della guerra si trovò nella
difficile condizione di cercare di limitare i danni per la sua comunità in
Lettonia. Questa, occupata dai comunisti russi nel 1940 alla pari delle altre
repubbliche baltiche, l’anno successivo fu invasa dai nazisti tedeschi rimanendo
poi per vari anni terra di frontiera senza più una propria identità. Alcuni decisero
di collaborare con i tedeschi altri divennero partigiani, non tanto pro-russi,
ma contro entrambi gli aggressori. Gli ortodossi erano malvisti e talvolta
perseguitati dai leninisti e quindi i tedeschi restituirono loro i luoghi di
culto requisiti e trasformati dai russi, ma non è che i rapporti fossero
proprio idilliaci.
Storicamente e socialmente interessante,
tratta di situazioni storiche poco conosciute, con una buona sceneggiatura e
notevole fotografia; regia e scenografia non sono da meno.
Merita una visione … lo trovate in rete
con sottotitoli in inglese.
Things We Lost in the Fire (Susanne Bier, USA, 2007)
Sostanzialmente ben sopra la
sufficienza pur soffrendo di alcuni cali nella sceneggiatura e di una storia
troppo “utilitaristica”. Buone le caratterizzazioni dei numerosi personaggi secondari,
meno buono l’uso dei flashback. Ancora una volta è da apprezzare Benicio del
Toro, stavolta in un ruolo per lui insolito, si difende bene Halle Berry,
affidabile come sempre il caratterista John Carroll Lynch. Un po’
strappalacrime in più punti, si fa comunque guardare grazie anche alla buona
regia della Bier.
La trinchera
infinita (Aitor Arregi, Jon
Garaño, Jose Mari Goenaga, Spa, 2019)
Ennesimo film relativo alla guerra
civile spagnola e agli anni del franchismo, che in questo caso tratta di un di coloro
che sopravvissero nascosti fino all’indulto emanato in occasione del
trentennale (1969) della fine della guerra; storie bene o male viste e riviste.
Pur contando su due buoni attori protagonisti come Antonio de la Torre e
Belén Cuesta, il film non riesce a coinvolgere, anche perché è
spezzettato in avvenimenti che si svolgono nell’arco di una trentina di anni. Momenti
e scene cinematograficamente buoni si alternano a situazioni ripetitive e poco
credibili.
En la ciudad sin límites (Antonio Hernández, Spa/Arg, 2002)
Ottimo soggetto, sceneggiatura
mediocre, pessima messa in scena. Salvando l’immarcescibile Fernando Fernán
Gómez, il resto del cast offre prove scadenti a cominciare dai nomi più
noti (almeno nel mondo ispanico) quali Leonardo Sbaraglia e Geraldine
Chaplin (figlia di Charlie – Charlot). Dramma familiare fra tradimenti
e finanza, con (ancora una volta) l’ombra della guerra civile spagnola.
Intacto (Juan Carlos Fresnadillo, Spa, 2001)
Mi sono imbattuto di nuovo in Leonardo
Sbaraglia, che mi sembra sempre più mediocre, meraviglia la presenza di un
gran attore come Max von Sydow (ma si sa che a fine carriera anche molti
mostri sacri si concedono a progetti scadenti o insulsi. Intacto si
basa su un’ipotesi poco plausibile ma, ammesso e non concesso la si voglia
accettare, restano incomprensibili le azioni delle persone coinvolte nel
macabro gioco. Non lo consiglio, praticamente ridicolo.
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