giovedì 21 novembre 2019

71° gruppo di 5 micro-recensioni 2019 (351-355)

Ennesimo gruppo interessante ed eterogeneo, comprende gli ultimi due film dell’HIFF (un russo e un franco/belga), due film “truffaldini” ma di ben diverso livello sia come storia, sia come quantità di denaro in basso, sia come qualità cinematografica, e un buon noir giapponese del ’57, genere inusuale per Kobayashi.

   

352  Portrait de la jeune fille en feu  (Céline Sciamma, Fra/Bel, 2018) * con Noémie Merlant, Adèle Haenel, Luàna Bajrami * IMDb  8,3 RT 98%  *  Premiato per miglior sceneggiatura e Queer Palm oltre a Nomination Palma d’Oro
Intrigante sceneggiatura pur contando su un cast ristrettissimo, due protagoniste e due coprotagoniste, una sostanziale l’altra di puro contorno.
Si assiste ad un sottile gioco psicologico-dialettico molto ben messo in scena. Brave le primattrici (ma Adèle Haenel certamente più convincente di Noémie Merlant) ed anche la 18enne di origine kosovara Luàna Bajrami … piatta e incolore come sempre la prova di Valeria Golino, per fortuna limitata a poche scene. Gli uomini non sono praticamente presenti, sono loro riservate solo un paio di battute (a inizio e fine soggiorno) e scene con tante comparse nel finale. A proposito di questo, mi ha sorpreso vedere che, dopo un’ottima (possibile) scena conclusiva, ne sia stata aggiunta un’altra sforzata, con una zoomata che termina con un lungo primo piano, in diverso ambiente e diverso tempo. Secondo me, Céline Sciamma avrebbe potuto chiudere il film più brillantemente risparmiandoci quei 2-3 minuti finali.
Belle l’ambientazione, sia per gli interni oltremodo spogli dell’enorme casa, sia per gli esterni sulle scogliere e in riva al mare, tutto molto ben filmato. La poco approfondita storia omosessuale fra le protagoniste ha dei punti in comune con Beanpole visto in mattinata all'HIFF, ma ben diverso dalla incontrollata libidine di And Then We Danced ... Tutti e 3 erano fra candidati alla Queer Palm di quest'anno a Cannes, questo di Sciamma (che se lo è aggiudicato) ha senz'altro meritato di prevalere sugli altri due.
Film elegante, sottile, con buoni dialoghi, ben diretto e fotografato. Da guardare.

353  El hombre de las mil caras  (Alberto Rodríguez, Spa, 2016) tit. it. "L'uomo dai mille volti" * con José Coronado, Eduard Fernández, Miquel García Borda * IMDb  6,9 RT 83%
Film con aspetti documetaristici di Alberto Rodríguez (regista dell’acclamato La isla minima, 2014) in quanto la storia estremamente ingarbugliata è basata su avvenimenti reali dei quali si conoscono i punti salienti ma, ovviamente, sono stati aggiunti alcuni passaggi fittizi - ma plausibili - per collegare i fatti certi.
Mi sono preso la briga di verificare ed è senz’altro vero che Francisco Paesa fu artefice di tanti intrighi politici ed economici, millantando cariche e conoscenze, avendo a che fare con servizi segreti di vari paesi e che a un certo punto si fece credere morto. Il film tratta però quasi esclusivamente del suo rapporto con Luis Roldán, Direttore Generale della Guardia Civile spagnola, che a metà anni ’90, sapendo di essere indagato per frode, fuggì dal paese con l’equivalente di 10 milioni di euro dei nostri giorni. Ovviamente non dico di più, chi vuole trova tutto online. Il film si basa soprattutto sul libro scritto da Fernando Sánchez Dragó che ha ricostruito la vicenda (romanzandola), con l’aiuto dello stesso Roldán.
Anche non sapendo niente di tutto ciò, il film è perfettamente godibile e non ci vuole molto a capire che qualcuno imbroglia, probabilmente più di uno, ma chi e quali e quante sono le sue vittime? Si assiste ad una serie vorticosa di spostamenti dell’enorme quantità di denaro da un lato all'altro del mondo, pagamenti di sostanziose tangenti, ricatti e minacce … avvalorando l’affermazione: spesso la realtà supera la fantasia.
Ottimo film, avvincente e ben interpretato, con attori che appaiono molto simili ai veri personaggi. Direi da non perdere, ma non lo si può guardare a tempo perso; bisogna stare molto attenti a seguire gli intrecci della trama.

      

354  Kuroi kawa - Black River (Masaki Kobayashi, Jap, 1957) * con Fumio Watanabe, Tatsuya Nakadai, Ineko Arima * IMDb  8,3 RT 98%
Non fra i migliori del regista giapponese, troppo scontata la trama nel suo complesso, troppo caricaturali i personaggi di contorno. Pur fornendo un interessante spaccato del giappone del dopoguerra, ancora con tanta presenza militare americana e l'economia in rovina, si basa più che altro sulle convincenti interpretazioni dei tre protagonisti. Fra loro spicca Tatsuya Nakadai uno dei più attivi attori nipponici, conosciuto ed apprezzato anche all’estero per le numerose partecipazioni a famosi film di Kurosawa (con il quale esordì in 7 Samurai per poi avere ruoli in Yojimbo, Sanjuro, High and Low, Kagemusha, Ran) e di altri noti registi quali Naruse e Ichikawa. Certamente fu uno dei preferiti di Kobayashi che lo diresse in ben 11 film fra i quali ci sono i suoi capolavori The Human Condition e, soprattutto, Harakiri (aka Seppuku, 1962, Premio Speciale della Giuria a Cannes, RT 100%, IMDb 8,7 e 33° nella classifica dei migliori film di sempre … da non perdere!). Per chi non lo sapesse, ricordo che nel 1968 Masaki Kobayashi fu uno dei fondatori del The Four Horsemen Club (con Akira Kurosawa, Keisuke Kinoshita e Kon Ichikawa) che si prefiggeva lo scopo di produrre film per le nuove generazioni.

351  Beanpole  (Kantemir Balagov, Rus, 2018) tit. or. “Dylda” * con Viktoria Miroshnichenko, Vasilisa Perelygina, Andrey Bykov * IMDb  7,2 RT 100%  *  Premio FIPRESCI e Un Certain Regard (per regia) e Nomination Queer Palm e Un Certain Regard (film)
Lentissimo e abbastanza noioso, con le due protagoniste che prima di dire una parola pensano interminabili secondi fissando l’interlocutore (chiunque esso sia) per non parlare dei lunghi momenti di “paralisi” di Iya / Beanpole (=stangona). I fatti si svolgono a Leningrado nel 1946 ed entrambe soffrono di traumi diretti e indiretti della guerra appena terminata, seppur con conseguenze molto diverse. In effetti è ben filmato e decentemente interpretato, ma oltre due ore di film con molta poca sostanza (per lo più ripetitiva e inutilmente prolissa) sono oggettivamente troppe.
Non si perde molto rinunciando alla sua visione.

355  The Good Liar (Bill Condon, USA, 2019) tit. it. “L’inganno perfetto” * con Helen Mirren, Ian McKellen, Russell Tovey * IMDb  6,5 RT 63% 
Ho deciso di guardarlo più che altro per i due primi attori … e loro non mi hanno certo deluso. Purtroppo la storia regge poco, appare melensa già dopo le prime scene e il seguito non è migliore. Il finale poi, con la chiara aspirazione di voler dare un carattere serio al  tutto, mi è sembrato pretenzioso, fuori luogo, irreale e, come se non bastasse, stupido.
Da evitare.

Le oltre 1.400 precedenti micro-recensioni dei film visti a partire dal 2016 sono sul mio sito www.giovis.com; le nuove continueranno ad essere pubblicate su questo blog. 

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