165 Napoleon (Abel Gance, Fra, 1927) tit.
it. "La conversa di Belfort“ * con Albert Dieudonné, Vladimir Roudenko,
Edmond Van Daële * IMDb 7,6 RT 93%
Film epico sia per il soggetto sia per il suo valore nella storia della
cinematografia, anche se è doveroso precisare che oramai non si capisce più
quale possa essere stata la vera versione di Abel Gance. Come spesso è accaduto per simili kolossal del muto, le
copie sono sparite, sono state ritrovate, sono state ri-aggiunte scene tagliate
dai produttori e via discorrendo. Io ho guadato la versione restaurata prodotta
da Francis Ford Coppola nel 1981,
con commento musicale composto e diretto da suo padre, Carmine Coppola.
Pensate che se ne conoscono almeno una ventina di edizioni, a 9,5, 16 e
35mm, virate e non, sonorizzate e non, a 18, 20 e 24 fps, per durate che vanno
dalle 3 ore alle 5 ore e mezza.
Un resoconto dettagliato lo trovate in questo esauriente post.
Senza scendere in dettagli (non si finirebbe mai), cito solo una delle
varie sperimentazioni di Gance, quella conosciuta come trittico. Si trattava di
proiettare tre filmati diversi di dimensioni più o meno quadrate, allineati
orizzontalmente in modo da creare un’immagine di proporzioni 3:1, molto vicino
a quello che sarà, veri decenni più tardi, il Cinerama (3:1) e il fratello
minore Cinemascope (2,55:1, poi ridotto a 2,35:1)
In alcuni casi Gance propone continuità di immagine come se si
trattasse di una pellicola unica, altre volte i laterali sono uguali o a
specchio, mentre al centro mostra l’azione
principale, altre volte ancore le tre immagini sono indipendenti ed ad un certo
momento le immagini laterali sono virate una in blu e l’altra in rosso,
lasciando in bianco e nero sola la quella centrale, formando così una bandiera
francese.
Al momento, la migliore versione disponibile dovrebbe essere quella su
Blu Ray della BFI (5h32’), messa in circolazione nel 2016. Questo era il primo film di un progetto che ne prevedeva 6 sulla vita di Napoleone, ma rimase l'unico. Abel Gance compare nel film in un ruolo relativamente importante, interpretando Louis Saint-Just.
Secondo me è da guardare ance se non si è proprio appassionati di muto.
161 Jean Vigo: El verdadero énfant térrible (conferenza) * relatore: José Antonio Valdés Peña
(ricercatore, sceneggiatore, critico e docente cinematografico)
Ero indeciso se considerare come visione o meno la conferenza su Jean
Vigo, ma ho deciso per il sì dopo le 2 interessantissime ore ben gestite,
durante le quali sono stati mostrati un corto per intero, un altro per metà e
varie scene significative del mediometraggio Zero in condotta e del suo unico vero film, L'Atalante, praticamente quasi
la metà della sua intera produzione, che ammonta a sole 2h47'.
Ecco ciò che Vigo ci ha
lasciato: A propos de Nice
(1930, 25', documentario che stravolge
gli schemi di quelli turistici dell'epoca); Taris, roi de l'eau (1931, 9'); Zéro de conduite (1933, 44', giudicato sovversivo e per
questo proibito fino al '46); L'Atalante
(1934, 89', che riuscì appena a terminare, dirigendo le ultime scene in
barella). Morì il 5 ottobre 1934, a 29 anni.
Il relatore ha aperto con l'inquadrare pregevolmente e con competenza
il periodo di particolare fermento fra innovazioni tecniche, sperimentazioni, passaggio
dal muto al sonoro, surrealismo e realismo poetico francese con le sue storie
di legionari, criminali, prostitute, origini del noir. Epoca in cui, sulla scia
di Abel Gance e Julien Duvivier, muovevano
i primi passi i vari Jean Renoir, René Clair, Marcel Carné e a questi si unì (per poco) anche Luis Buñuel, accolto a
braccia aperte dai surrealisti.
Jean Vigo è stato presentato come una
persona allegra e gioviale, a dispetto dei gravi problemi di salute che lo
affliggevano, sempre pronto a creare nuove idee di ripresa. Nel curioso quasi mockumentary
sul nuoto (Taris) propone
varie scene sott'acqua, all'avanguardia per quei tempi, tecnica che poi perfezionerà
in L'Atalante, nella
famosissima scena dell'uomo che si tuffa dalla peniche e ne viene mostrato
il volto in immersione mentre appare la sposa vestita di bianco, proprio quella
che avrete visto migliaia di volte nella sigla di Fuori Orario di Enrico
Ghezzi.
Da notare che chi assecondava Vigo
in tutte le sue idee, era Boris Kaufman
che diresse la fotografia in tutti e 4 i suoi film. Nato in Polonia, all’epoca
facente parte dell’Impero Russo, dopo la Francia si trasferì in USA dove fu
molto apprezzato, vinse l’Oscar per On
the Waterfront (1954, Elia Kazan)
e ottenne la Nomination per Bay Doll (1956,
Elia Kazan), ma firmò anche altri
famosi film come 12 Angry Men
(1957, Sidney Lumet) e Splendor in the Grass (1961, Elia Kazan). Boris
era fratello di un altro genio del cinema noto con lo pseudonimo Dziga Vertov, del quale parlerò nel
prossimo post.
Serata molto piacevole ed interessante.
L’anno di fuoco di Carlos Eduardo Robledo Puch, meglio conosciuto come Ángel
Negro o el Ángel de la Muerte, il maggior assassino seriale
argentino. Fra marzo 1971 e febbraio 1972, ancora 19enne, con efferata
freddezza e indifferenza uccise una dozzina di persona (fra loro anche qualche
complice); arrestato, fu accusato di 10 omicidi aggravati e uno semplice, ma
lui stesso se ne attribuì 20, di tentato omicidio, di complicità in due stupri,
17 furti con scasso, sequestro di persona e fu condannato all'ergastolo (e sta
ancora in carcere, dopo 47 anni). Un paio di anni fa, nel corso di una udienza
per ottenere la condizionale gli fu chiesto "Cosa pensi di fare fuori?"
"Uccidere la Kirchner" (ex presidente argentina). Ovviamente
non gli fu concessa, ma é indicativo in merito al suo carattere.
Il film tratta solo di quest’anno, da quando si associa con il suo
primo complice, fino all’arresto. Di famiglia piccolo borghese, si presentava
con un aspetto angelico, faccia pulita contornata da boccoli biondi ma era spietato
e privo di ogni morale; ma non era avido, rubava per vocazione, tanto che
spesso regalava la refurtiva o la abbandonava. A quanto dicono i giornali
argentini, gli sceneggiatori, pur mostrando vari suoi crimini a dir poco
efferati e violenti, ne hanno proposto un ritratto edulcorato, pare che in realtà fosse ancora peggiore. Il merito del
film, che conta su un cast perfettamente scelto, è quello di non crogiolarsi
nella violenza o in scene splatter, ma essere essenziale e mettere in risalto l'apparente
calma di un soggetto indubbiamente disturbato, tendente al paranoico.
Tutti i personaggi sono ben delineati, dai “buoni” ai criminali. Oltre
alle ottime interpretazioni di tutti i protagonisti (le due coppie di genitori
e i figli criminali) è doveroso menzionare anche la perfetta colonna sonora con tanta
musica rock e pop d'epoca, con cover in spagnolo di canzoni ben note che vanno House
of the Rising Sun (lanciata da The Animals, qui nella versione argentina di Palito Ortega) a Non
ho l'età (cantata in spagnolo proprio da Gigliola Ginguetti).
Senz'altro molto buono, di passo rapido e bilanciato. Molti prevedono un futuro di successi per l'esordiente Lorenzo Ferro
164 Les Anges du péché (Robert Bresson,
Fra, 1943) tit. it. "La conversa di Belfort“ * con Renée Faure, Jany Holt, Sylvie * IMDb 7,6 RT 83%
Film d’esordio di Bresson,
regista di qualità ma (come molti suoi pari) con una limitata produzione,
appena 13 lungometraggi in una quarantina di anni (1943 - 1983).
Non fatevi ingannare dal titolo e dall'ambientazione in un convento di
suore domenicane ... la religione c'entra relativamente poco. Si tratta di un
ben congegnato dramma psicologico nel quale la regola conta, ma le personalità
enigmatiche delle protagoniste e i loro fini sono gli elementi fondamentali
attorno ai quali si sviluppa e monta l'intera trama.
Questo ed il successivo sono i soli film di Bresson con un cast si soli
attori professionisti. La fotografia è particolarmente precisa e curata,
evidente retaggio degli trascorsi del regista come pittore e fotografo. Girato in pieno periodo di guerra, giunse in Italia solo nel 1950 come
La conversa di Belfort.
Un ottimo film d’esordio, in precedenza aveva diretto solo Affaires publiques (1934 - un
corto di 25 minuti, stranamente una commedia) e aveva collaborato a varie
sceneggiature; successivamente fu co-sceneggiatore di tutti i suoi film tranne
il singolare Lancelot du Lac (1974).
Pur avendolo guardato l’anno scorso (ma da file)
non ho voluto perdere l’occasione di ri-guardarlo su schermo grande in
un’accogliente sala della Cineteca Nacional Mexico.
163 Las tetas de mi madre (Carlos Zapata, Col,
2015) * con Alejandro Aguilar, Joseph
Barrios, Angelica Blandon * IMDb 6,4
Storia insulsa, poco credibile, mal rappresentata, peggio interpretata,
regia assente ... dove sono finiti i film colombiani più che decenti? Sembra si
tratti di un esordio autoprodotto, IMDb riporta che successivamente Carlos Zapata si è solo occupato
del montaggio di due corti ... qualcuno, per fortuna, gli avrà spiegato che non
era mestiere suo. Mi meraviglia che la Cineteca l’abbia proiettato.
Chiaramente, è da evitare ad ogni costo.Le oltre 1.400 precedenti micro-recensioni dei film visti a partire dal 2016 sono sul mio sito www.giovis.com; le nuove continueranno ad essere pubblicate su questo blog.
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