Da buon cinefilo, ho sempre guardato i film anche
per quanto mostravano della vita quotidiana di tempi e luoghi distanti,
includendo cibi e loro preparazione, feste, riti, tradizioni e giochi popolari. In
particolare questi mi hanno sempre appassionato e attirano la mia attenzione
per mantenersi simili nei secoli e a migliaia di chilometri di distanza.
Proprio pochi mesi fa scrissi del gioco Cavallo cavallo mantieneme ‘ntuosto,
già rappresentato in un dipinto di Bruegel
nel lontano 1560 e al quale in Corea
sono stati addirittura dedicati monumenti.
Questo post nasce invece dall’essermi imbattuto in
una geniale variante di un gioco popolare, per lo più estivo, praticato nelle feste di piazza dalle mie parti: ‘a mazza ‘int ‘o purtuso (lett. la mazza nel buco, italianizzato come "gioco del bugliolo"). Nel film Peppermint
frappé (Carlos Saura, Spa, 1967) due amici d’infanzia si
ritrovano dopo vari decenni e tornano nella residenza estiva di uno dei due,
circondata da un ampio parco. Mentre ricordano i tempi andati, viene inquadrata
l'insolita struttura della foto in basso, penso misteriosa per chiunque.
Poche
scene più in là l’arcano è svelato quando Pablo (Alfredo Mayo) decide di
utilizzare di nuovo il marchingegno per dimostrare la sua bravura, dopodiché
toccherà a Julián (José Luis López Vázquez), sempre sotto lo sguardo fra il
divertito e l’eccitato di Geraldine Chaplin. Guardate il video per capire come funzionava e come
va a finire ... nonché le allusioni, esplicite nel nome popolare del gioco.
A maggior chiarimento, riassumo il funzionamento del "diabolico marchingegno": una sedia è fissata su binari che, dal punto di partenza, prevedono una discesa per farle prendere velocità e una breve risalita per frenare dolcemente la "corsa". Al termine c'è una sagoma rigida basculante con un piccolo foro nella parte bassa, nel quale deve essere infilata una qualunque asta, diretta da chi sta sulla sedia. Sulla testa del fantoccio è sistemato contenitore d'acqua che quindi si rovescia sulla testa di chi non centra il bersaglio e invece colpisce la sagoma. In questo modo non c'è bisogno di essere portati sulle spalle da qualcuno (come nel gioco popolare) e oltretutto si può anche evitare di riempire di acqua il contenitore, eliminando a priori la possibilità di bagnarsi ... ma ovviamente ciò significa barare e per di più si perde il thrill del rischio! Per saperne di più in merito alla mazza
‘int ‘o purtuso , ecco invece il
testo estratto dal mio libro sui giochi di strada proposto in formato pdf.
284 Salón México (Emilio Fernández, Mex, 1949) * con Marga López, Miguel
Inclán, Rodolfo Acosta * IMDb7,6 * sceneggiatura: Emilio Fernández e Mauricio Magdaleno * direttore
fotografia: Gabriel Figueroa
285 Víctimas del pecado (Emilio Fernández, Mex, 1950) * con Ninón Sevilla, Tito
Junco, Rodolfo Acosta * IMDb7,7 RT86% * sceneggiatura: Emilio Fernández e Mauricio Magdaleno * direttore
fotografia: Gabriel Figueroa
286 Aventurera (Alberto Gout, Mex, 1950) * con Ninón Sevilla, Tito
Junco, Andrea Palma, Miguel Inclán * IMDb7,6RT81% * sceneggiatura: Álvaro Custodio, Alberto Gout e Carlos Sampelayo * fotografia: Alex Phillips
Post triplo per trattare, più che dei film in
questione, del genere cabaretera e rumbera, che si può
considerare un settore specifico del noir. Musica e danza sono sempre
state attività molto amate dai messicani ed in particolare negli 30-50 il
numero dei locali da ballo era veramente notevole variando dai cabaret e night
di lusso con tanto di orchestra in costume e palco con ricche scenografie, alle
cantine "equivoche" con pochi musicisti, talvolta una/un cantante e
tante taxi girl. In ogni caso in
queste sale giravano quindi soldi, spesso tanti e molte volte di provenienza
illecita, persone che spendevano i loro pochi soldi per bere e ballare con una
ragazza, veri criminali e delinquenti di bassa lega, protettori e chi più ne ha
più ne metta. Su queste basi gli sceneggiatori potevano quindi costruire tante
trame diverse, raramente ripetitive e l’azione veniva intervallata con vari
pezzi musicali, danze spesso caraibiche e, budget permettendo, canzoni
interpretate da guest star che quindi interpretavano sé stessi; contano molte apparizioni Pedro Vargas eAgustin Lara (talvolta anche in qualità di attori).
Per dare un’idea del successo e della qualità di
questo genere prettamente messicano, si deve ricordare che nella classifica dei
migliori film messicani stilata nel 1994 da 25 esperti, Aventurera (una sua famosa scena nella foto a sx) compare al 4° posto, Víctimas del pecado al 20° e Salón México al 28°. Non c’è da
meravigliarsi quindi del fatto che anche registi apprezzati come Emilio Fernández si cimentassero in tale settore, avvalendosi oltretutto
di buoni attori e ottima fotografia. Nella fattispecie, gli ultimi due sono
diretti proprio da Fernández con
fotografia di Gabriel Figueroa, il
più famoso direttore della fotografia messicano, oltre 200 film diretti dai
migliori registi dell’epoca, apprezzato anche a Hollywood, Nomination Oscar per The Night of the Iguana (John Huston,1964).
Questi tre film hanno molti elementi in comune; oltre
che per regia e fotografia, anche per quanto riguarda il cast proponendo per
due volte la ballerina cubana Ninón Sevilla come protagonista e per due volte (in diverse
combinazioni) i violenti e cattivissimi Tito Junco e Rodolfo Acosta, l’ottimo caratterista mestizoMiguel Inclán e Pedro Vargas che in Aventurera canta anche
due volte alcune strofe della canzone omonima, mentre in Víctimas del pecado si esibisce con Pecadora, entrambe composte dal mitico Agustin
Lara.
Dei tre Salón México (che si
svolge per lo più in locali di basso livello) è il primo ottimo approccio di Fernández con il
genere mentre trovo il suo secondo (nel quale un bambino gioca un ruolo fondamentale)
un po’ troppo melodrammatico-strappalacrime; al contrario, penso che Aventurera sia effettivamente
di livello molto superiore e meriti di essere in cima alla classifica sia per
l'ottima sceneggiatura, che per la fotografia di Alex Phillips (canadese trapiantato in Messico, circa 200 film al
suo attivo) probabilmente secondo solo al già citato Figueroa, i pezzi musicali, le interpretazioni e per la regia di AlbertoGout.
Come detto, la storia originale di Álvaro Custodio è particolarmente buona
(adattata poi da lui stesso insieme con Alberto Gout e Carlos Sampelayo) ed è un
capolavoro di intrecci, sorprese, twist, incontri casuali e ritorni, conditi
con ricatti, vendette, tratta di ragazze, sparatorie e accoltellamenti, rapine,
incarcerazioni, in un vero vortice di avvenimenti che nella seconda parte
includono anche molta “vendetta psicologica”.
A dimostrazione di quanto sia apprezzato questo genere
(erroneamente e superficialmente giudicato secondario da alcuni) la Cineteca Nacional Mexico tre anni fa gli
dedicò un intero corso approfondito (non una semplice retrospettiva, ecco il
programma) dedicando
particolare attenzione proprio ai tre film citati in questo post.
Víctimas del pecado è stato proposto nella rassegna Cinema Ritrovato 2016 (vai al post di Lapo Gresleri), gli altri due sembra non siano mai giunti ufficialmente in Italia.
Mean
Streets
segna l’inizio della collaborazione fra questi due mostri sacri della nuova
Hollywood che fino ad allora avevano prodotto poco e non sempre di buona
qualità. Nello stesso anno De Niro, dopo una decina di B-movies sotto la
sufficienza, si era appena fatto
apprezzare nel suo primo film di un certo livello Bang the Drum Slowly (di John Hancock). Scorsese era invece alla
sua terza regia dopo Who's That Knocking at My Door (1967, aka I Call
First) e Boxcar Bertha (1972), discreto il primo insufficiente il
secondo.
Robert De Niro e David Proval *** Harvey Keitel e Richard Romanus
262 “Mean Streets“ (Martin Scorsese, USA, 1973) tit. it. “Domenica in chiesa, lunedì all'inferno” * con Robert De Niro, Harvey Keitel, David Proval, Cesare Danova, Richard Romanus, George Memmoli
IMDb 7,4 RT 96% * presentato nella Quinzaine des Réalisateurs al Festival di Cannes 1974 e riproposto nel 2018
Insieme
con Taxi
Driver (1976), questo esordio dell’eccezionale duo resta uno dei miei
preferiti, pur essendo molto meno conosciuto. Lo trovo molto più originale,
autobiografico, spontaneo, con un casting perfetto, così come la scelta delle
location. I set quasi non esistono, l’edificio nel quale sono state girate
tante scene (per le scale, ingresso, retro, tetto) era quello dove abitava la
madre di Scorsese, che oltretutto compare in una scena e parla (sgrida i due
che litigano) in italo-siciliano. Quasi tutti i protagonisti parlano con un
forte accento, in particolare quando discutono fra di loro, oltre ad utilizzare
tanto slang; ci sono anche vari dialoghi in italiano e tante parole dialettali
napoletane o siciliane inserite in frasi in inglese. Questo più degli altri è
un film da guardare in versione originale, meglio se con l’aiuto dei
sottotitoli americani per i tanti termini desueti o propri di quell’ambiente. Facendolo,
si noterà anche che la voce che nei primi secondi del film - a schermo ancora
nero - declama i pensieri di Harvey Keitel in chiesa non è la sua bensì quella
di Martin Scorsese.
Harvey Keitel in chiesa *** Harvey Keitel e Cesare Danova
Una
ricca (sia per quantità di pezzi, che qualità ed eterogeneità) colonna sonora accompagna
i protagonisti ricreando alla perfezione l’ambiente delle comunità
italoamericane, come ben noto composte soprattutto da meridionali, ed in
particolare quella di Little Italy
in periodi festivi. Infatti gli eventi narrati si svolgono proprio lì nei
giorni della festa di San Gennaro e
i suonatori della banda sono quelli veri, dai volti ed espressioni incredibili,
direi affascinanti. Quindi, a cominciare da uno dei caratteristici e tradizionali
canti a figliola (clicca qui per ascoltarlo) che i pellegrini che si recavano al Santuario della Madonna di Montevergine (AV), una delle tante Madonne nere, in Campania soprannominata
Mamma
Schiavona, intonavano lungo il cammino, si ascoltano tante arie
napoletane conosciutissime anche all’estero quali Scapricciatiello, Malafemmena,
Maruzzella,
Munastero
‘e Santa Chiara. Questo argomento della festa e della religiosità in particolare (che mal si lega allo stile di vita dei protagonisti) è parte essenziale del film e dà un senso al titolo italiano. A questa parte etnica si sommano famosi brani pop di
vario genere, fra i quali Be My Baby eseguito dalle Ronettes
(l'unica girl band invitata ad esibirsi con i Beatles), Jumpin'
Jack Flash dei Rolling Stones, il ritmo latino di Ray
Barretto con Ritmo sabroso.
Oltre
alle riprese nel corso della festa, soprattutto astanti e banda di ottoni, nel
cast compaiono tanti caratteristi, vari dei quali in questo film hanno dato il
meglio di sé forse proprio per sentirsi a proprio agio interpretando tipologie personaggi
che avevano conosciuto o almeno visto chissà quante volte. Molti erano amici di
Scorsese ed erano cresciuti in quell’ambiente
o in simili comunità come quelle degli italoamericani di Brooklyn o Queens.
Su
tutti spicca Richard Romanus (alla guida nella foto a dx) che
senz’altro molti conoscono solo per questa sua ottima interpretazione di
Michael, il piccolo ras-usuraio che tenta disperatamente di esigere quanto De Niro gli deve in un crescendo di
minacce da parte sua, di bugie da parte di Johnny
Boy, di rassicurazioni pacificatorie da parte di Charlie (Harvey Keitel).
Ma c’è anche Cesare Danova, italiano
che dopo una lunga e per niente disprezzabile carriera in gro per il mondo sarà
comunque probabilmente ricordato per la sua interpretazione del “padrino” Don Giovanni Cappa (zio di
Charlie/Keitel) e, forse, per la sua ultima apparizione in un altro film cult,
seppur di tutt’altro genere, nei panni del sindaco corrotto Carmine DePasto in Animal
House (John Landis, 1978).
La
già radicata passione di Scorsese per il cinema risulta evidente per i tanti
poster inquadrati qua e là, le classiche insegne luminose sull’ingresso dei
cinema con titoli e interpreti dei film, una serata al cinema a guardare The
Searchers (aka “Sentieri selvaggi”, di John Ford, 1956, per caso visto un paio di giorni fa), una scena di
The
Tomb of Ligeia (1964, di Roger
Corman, con Vincent Price) e una
di The
Big Heat (1953, famoso noir di Fritz
Lang) in parte simile al finale del film.
Nota personale: sbarcai per la prima volta a New York il 13 settembre 1985, in pieno periodo della festa di San Gennaro (19 settembre) e queste sono due immagini dal film (a colori) e due miei scatti in b/n. Noterete che altarino e luminarie dopo una dozzina di anni erano sono uguali.
Tempo fa pubblicai un post in merito alla mia seconda visita a New York, nel corso della quale non mancai di tornare in quei stessi luoghi trovando però ben poche tracce della "vecchia Little Italy" ... anche lì ormai imperversano cinesi e russi.