domenica 31 maggio 2015

Acquabona è la Farmhouse di Escher

Finalmente ho avuto occasione di andarlo a verificare di persona e vari particolari fondamentali mi sono stati illustrati dai proprietari. Uno di loro commentò il mio post del 9 settembre 2014 precisando che
“Quella di Escher è una xilografia che quando è stata passata su tela è stata stampata al contrario. Il piano superiore (il terzo) è stato buttato giù negli anni ‘60 in seguito a ristrutturazione.”
A sinistra la xilografia acquerellata (rara), a destra la più comune incisione in nero stampata nel verso errato. Comparando le due immagini (ma si tratta di un'unica incisione del 1931 del maestro M. C. Escher) è chiaro che molte delle mie osservazioni erano completamente sbagliate essendo basate su questa seconda immagine.
   

Per esempio, facevo notare che a destra dell’edificio non c’erano quei muri, né traccia di quell’evidente arco. Invece esiste a sinistra nella realtà e la vasca di raccolta dell’acqua (‘a peschera) al suo interno è tuttora utilizzata. La stradina che collega San Lorenzo e Pontone passa poco più a monte. 
   

Infine, ho appreso che il nome Acquabona, attribuito a tutto il fondo agricolo e alla fontana tuttora esistente (foto in basso a destra), deriva dall’esistenza di un antico monastero risalente al VI secolo d.C. che a sua volta deriva dalla qualità delle acque della sorgente. 
S. Maria de Aquabona era il più antico monastero di suore benedettine, dei quattro esistenti nel comune di Scala”
   
Sono altresì tuttora riconoscibili le due aperture nel muro a valle dell’edificio e il terrazzamento più a destra, sullo stesso livello dell’ingresso dell’agriturismo.
   

giovedì 28 maggio 2015

Famosi ammiragli ottomani del XVI secolo

Come scrivevo in un precedente post non erano Saraceni e tantomeno pirati, ma combattevano sotto la bandiera dell'Impero Ottomano ed erano agli ordini del Gran Sultano di CostantinopoliDei quattro ammiragli dei quali fornisco concise notizie, solo uno era turco e fra gli altri tre c'è anche un italiano, il meno conosciuto ma assolutamente non meno importante degli altri. 
Molte volte si leggono dure critiche in merito ala comune pratica di fare prigionieri. Tuttavia non capisco quale fosse la differenza con lo schiavismo "tolleratofino ad un paio di secoli fa da tanti stati europei e certamente i metodi dei "negrieri" erano ben peggiori di quelli degli ottomani. Questi infatti, avendo bisogno di soldati di ogni rango, arruolavano molti dei prigionieri e consentivano loro di fare una carriera più che brillante come nei casi che qui riporto. 

Khayr al-Din (alias Kaireddin, Hızır bin Yakup, Ariadeno Barbarossa, Haradin e Cair Heddin) * Mitilene (Grecia), 1466 circa – Istanbul1546
Forse il più famoso degli Ammiragli in capo, terza carica nella gerarchia dell’Impero Ottomano, dopo il Sultano e il Gran Vizir. Dopo aver battuto il Mediterraneo in lungo e in largo con il fratello, nel 1533 viene chiamato a Costantinopoli dal sultano Solimano I che lo nomina Kaptan-ı Derya (Ammiraglio della flotta) dell’armata ottomana e Baylar Bey (Governatore) del Nord Africa, concedendogli anche il governo di Rodi, Eubea, Chio e Mar Egeo. Negli anni successivi, sotto l’egida della bandiera ottomana, Barbarossa attaccò praticamente tutti i principali porti del Mediterraneo e varie volte si scontrò con flotte “cristiane”. Nella famosa nella battaglia di Prevesa (1538) affrontò la flotta della Lega Santa (Papato, Spagna, Repubbliche di Genova e di Venezia, Cavalieri di Malta) guidata da Andrea Doria. Questa, nonostante la superiorità numerica, venne pesantemente battuta da Khayr al-DinMorì a ottant’anni e fu sepolto a Beşiktaş (Istanbul) in un mausoleo costruito dal famoso architetto Sinan; nel 1944 fu eretto un monumento in suo onore.

Dorghut Alì (alias Dragut, Turghut Reis, Turghud Alì, Darghout Rais, Turhud Rais, Dargut) * Karatoprak (Bodrum, Turchia) 1485 – Gozo (Malta), 1565
La sua cittadina natale, sulla costa turca del mar Egeo, oggi si chiama Turgutreis in suo onore. Fu uno dei protetti di Khayr al-Din Barbarossa e fu suo successore. Nel 1551 attaccò e conquistò Tripoli (Libia), importante roccaforte difesa dall’Ordine di Malta. Come ricompensa il sultano Solimano il Magnífico gli concesse Tripoli e il territorio circostante, e lo nominò Sanjak Bey, comandante in capo dell’armata ottomana. Sotto il suo comando il potere dell’Impero Ottomano si estese su tutto il nord-Africa. Fu sepolto a Tripoli (Libia) vicino alla moschea tuttora designata con il suo nome.

Piyale Paşa (alias Pialì Pascià, Piyale Pasha, Piale Pasha, Pialí Bajá) * costa dalmata, 1515 - Istanbul, 1578
Di origini croate, fu fatto prigioniero nel 1526 e divenne soldato ottomano agli ordini di Turgut Reis, poi  studiò presso l’Accademia Imperiale di Enderun a Costantinopoli dalla quale uscì con il titolo di Ammiraglio e Governatore di Gallipoli. Fu Kaptan Pasha (Ammiraglio in capo della flotta ottomana) dal 1553 al 1567 e Vizir dal 1568. In molte occasioni ebbe al suo fianco Turgut Reis ed è da noi ricordato in particolare per la campagna del 1558 che lo portò fino a Ciutadella (Menorca) a fare incetta di prigionieri dopo essere passato a Massa e Sorrento. In quella spedizione ne catturò complessivamente circa 6.000. Nel 1565 fallì il tentativo di prendere Malta, ma vari anni dopo ebbe successo nella conquista di Cipro iniziata nel 1570 e conclusa un anno dopo con la caduta di Famagosta. Morì nel 1578 e fu sepolto nella moschea che egli stesso aveva fatto erigere nei suoi ultimi anni di vita e che porta il suo nome.

Gian Dionigi Galeni (alias Uluch-Alì, Ulug Alì, Ulucciali, Alì il Rinnegato) * Le Castella (presso Isola di Capo Rizzuto, Italia) 1519 o 20 - Istanbul1587
Quindi di origine italiana, ma molto poco conosciuto in patria, eppure fu addirittura citato da Cervantes (nel Don Chisciotte, come Uchalì) il quale probabilmente ne sentì parlare durante la sua prigionia in Algeri (1575-1580). Galeni fu l'unico comandante ottomano a rientrare ad Istanbul dopo la sconfitta di Lepanto. 
Interessante la biografia riportata nell’EnciclopediaTreccani, tratti dalla stessa, ecco alcuni passi che ci aprono gli occhi e la mente e sfatano vari luoghi comuni:
Sontuoso … il "serraglio" dove abita. Circa 10.000, allora, gli schiavi cristiani a Costantinopoli; e, di questi, 3000 appartengono al sultano Murad III e altrettanti al Galeni. E questi su di un colle soprastante la propria dimora sta facendo erigere "un grande casale", da lui chiamato "Nova Calavria" ove "dà habitatione alli suoi schiavi che lo hanno servito et li ha fatti liberi et maritati lasciandoli viver cristiani con un prete che gli ha dato che era schiavo anche lui …… E sinché è in vita provvede per tempo a un monumento che renda perenne la sua memoria dopo la morte. Trattasi della Kiliç Ali Pasa Camii, la moschea a sé intitolata, eretta su un'ansa del Bosforo  … Enorme il costo: "mezzo million d'oro".… il 27 giugno 1587 è morto di colpo "con dispiacer grandissimo" della corte e dell'intera città. Il Turco con lui perde "un bravissimo huomo non solo nella professione del mare, ma anco prattico et intelligente nelle cose del mondo". Lascia - precisa Bernardo - "grossa facoltà", ossia due splendidi "serragli" sul Bosforo, nonché più di duemila schiavi, di cui almeno cinquecento "maestranze per l'arsenal", tutti "benissimo da lui trattati". 

mercoledì 27 maggio 2015

“Amanece, que no es poco” e altro

Avendo invitato alcuni amici per una proiezione del film, per discuterne e interpretarlo (cosa praticamente impossibile), ho effettuato ulteriori ricerche in rete. Fra le tante pagine, video e immagini, mi sono imbattuto in un interessante documentario (in spagnolo, con sottotitoli in inglese) di circa 50’ che alterna spezzoni della pellicola a interviste agli attori, riprese dei tre paesini che ne rappresentarono il set (Ayna, Liétor e Molinicos, prov. di Albacete) a immagini di promozione turistica per gli stessi. Guarda il documentario su YouTube.
Sono incluse anche numerose brevissime interviste agli abitanti, molti dei quali furono reclutati come comparse, i cui commenti sono a dir poco esilaranti. Vari anziani dicono apertamente che non l'hanno capito e che non gli è piaciuto proprio, un altro che interpretò uno degli ubriachi racconta della sua delusione quando gli propinarono acqua invece del vino nel quale sperava.
Ma non finisce qui. Dal filmato si apprende anche che nel 2009, in occasione del 20° anniversario della realizzazione del film, è stato varato il progetto “Ruta escenarios de la película Amanece que no es poco”. Questo prevedeva la creazione di un percorso in ciascuno dei tre borghi con itinerari attraverso i luoghi delle riprese. Alcune scenografie sono state ricostruite e sono stati aggiunti pannelli con foto di scena ed in alcuni casi riproduzioni a grandezza naturale di persone ed oggetti come la Vespa con sidecar sulla quale il prof. dell'Università dell'Oklahoma e suo padre Jaime/Jimmy, interpretati da Antonio Resines y Luis Ciges, arrivano nel paese deserto all'inizio del film.   
Dal sito dell’Ayuntamiento di Ayna si può scaricare questo corposo pamphlet del progetto in formato pdf con le cartine dei percorsi, un fotogramma di ciascuna scena ricostruita, la sua descrizione e citazione di almeno una battuta "storica" ad essa relativa. Questa geniale idea (chiaramente già realizzata) si va ad aggiungere alle celebrazioni annuali organizzate da gruppi di fan del film, che si autodefiniscono Amanecistas (vedi post precedente). 
José Luis Cuerda aveva cominciato a cimentarsi in questo tipo di surrealismo (anche se sarebbe più preciso usare un neologismo come “assurdismo”) con una storia più breve prodotta dalla televisione spagnola nel 1983: Total (disponibile su YouTube). 
Dopo la produzione indipendente di Amanece que no es poco nel 1983 (pare che la Televisione spagnola si rifiutò di produrla) Cuerda concluse quella che viene identificata come la trilogia di questo genere con Así en el cielo como en la tierra (1995).
   

lunedì 25 maggio 2015

Quattro film insoliti … e consigliati

Ve li presento molto brevemente, in ordine cronologico.

The intruder (1962) di Roger Corman
Film molto poco conosciuto, circolato in Italia con l’incredibile titolo “L’odio esplode a Dallas” (pur non essendo assolutamente ambientato nella metropoli texana, ma a Caxton, immaginaria piccola cittadina del sud), prodotto e diretto dal “re del cinema indipendente americano, alla cui corte sono cresciuti – fra gli altri – registi come Scorsese, Coppola, Bogdanovich e Cameron
Corman è famoso per i suoi film a basso costo, nella stragrande maggioranza di genere horror e terror, ma The intruder è assolutamente atipico avendo un soggetto politico/razziale. Girato in un bellissimo bianco/nero, conta sulla partecipazione (da protagonista) di William Shatner, una delle poche per il grande schermo, prima diventare famoso nei panni del Capitano Kirk (Star Trek) e partecipare ad altre innumerevoli serie televisive. 
Su Imdb ha un ottimo rating di 7,8 ed su YouTube se ne trovano varie versioni.

Amanece, que no es poco (1989) di José Luis Cuerda
Film spagnolo che, a quanto pare, non è mai stato distribuito all’estero. Risulta molto difficile classificarlo visto che la storia è surreale, ma non è un film surrealista (alla Buñuel, per intenderci), fa ridere, ma non è un film comico né una commedia nel senso stretto del temine. Si potrebbe dire che è un film corale, senza un protagonista, pieno di situazioni assurde, con una logica stringente basata su presupposti irreali. 
Appena uscito non fu un gran successo, ma negli anni è stato sempre più rivalutato per la sua assoluta originalità e attualmente conta gruppi di aficionados, varie pagine FB, incontri a tema ed una riunione annuale dei cosiddetti Amanecistas, che conoscono quasi tutte la battute del film e spesso si travestono per interpretare specifici personaggi, come accade anche per il ben più famoso Rocky Horror Picture Show
Se avete discreta conoscenza dello spagnolo, non ve lo perdete. 
In rete è disponibile su Vimeo, su YouTube si trovano innumerevoli spezzoni, di quelli più "cult", e anche un documentario di RTVE sul filmRating Imdb di 7,6.

La dictatura perfecta (2014) di Luis Estrada
Pellicola messicana sullo stile di La ley de Herodes (delmedesimo regista, vedi post del 18/12/14), ma ambientato ai nostri giorni e incentrato soprattutto sulla manipolazione delle notizie da parte delle emittenti allo scopo di condizionare la politica. 
Nel film ci sono evidenti riferimenti ad avvenimenti e scandali che hanno riempito le prime pagine dei giornali. Li trovate elencati nella pagina Wikipedianel capitolo Relación con aspectos reales de la historia mexicana
Il film completo è presente su YouTubeRating Imdb di 7,3.
    

Shaun the sheep (2015) di Mark Burton e Richard Starzak
Quest’ultimo è un film di animazione che ha la particolarità di essere praticamente muto, nel senso che non ci sono dialoghi. Deriva da una (pare) fortunata serie televisiva ed è uno di quei film che può essere letto a vari livelli e quindi capace di divertire i più piccoli e allo stesso tempo di coinvolgere anche gli adulti sia con spunti di riflessione che con citazioni di film famosi (p.e. Taxi Driver). E’ uscito in Italia con il titolo Vita da pecora solo da qualche mese e forse gli interessati potranno anche avere la possibilità di vederlo al cinema, altrimenti dovranno aspettare che sia disponibile in dvd. Nel frattempo potete guardare il trailer italiano.  Rating Imdb di 7,5.

sabato 23 maggio 2015

Flotta ottomana e non pirati saraceni!

Avendo cominciato a erudirmi in questo tutt’altro che approfondito argomento, almeno in Italia, sono ben presto giunto ad una semplice conclusione: come in tanti altri casi anche in questo spesso si parla per luoghi comuni e derivanti da una visione dei fatti molto superficiale, spesso addirittura errata. Dal materiale che ho acquisito ed in parte letto, ho già tratto tante notizie che evidenziano quanto poco si sappia e quanto male vengano proposti i “contatti” fra l’Impero Ottomano e gli stati dell’Europa occidentale. Ne fornisco in maniera estremamente succinta qualche esempio come spunto per chi voglia approfondire la materia, ma anche per sottolineare ancora una volta che, in particolare per gli eventi storici, esistono sempre molti punti di vista diversi ed è giusto conoscerne vari per avere un'idea più realistica dei fatti.

1) Saraceni: Denominazione generica degli Arabi nel Medioevo cristiano. Pare fosse in origine il nome di una popolazione (Σαρακηνοί) stanziata sulle coste del Golfo di ‛Aqaba, nella penisola del Sinai, esteso poi a designare l’intera stirpe degli Arabi nomadi e in genere i musulmani, specialmente quelli stanziati sulle coste del Mediterraneo ... (da Enciclopedia Treccani)
2) gli equipaggi delle galee ottomane non erano quindi Saraceni (non essendo né un’etnia, né una nazionalità) ed in linea di massima neanche turchi!
3) ciò vale anche per gli Ammiragli della flotta ottomana; per esempio fra i più famosi del ‘500 solo uno era turco e c’era anche un italiano (ne parlerò in un prossimo post)
4) buona parte dei rematori delle galee non erano “galeotti”, nel senso di forzati o prigionieri, bensì professionisti (i cosiddetti buonavoglia, quindi volontari) che venivano regolarmente pagati. Per esempio la flotta di Pialì Pashà che giunse fino a Menorca nel 1558, dopo aver fatto migliaia di prigionieri a Massa Lubrense e Sorrento (13 giugno) contava oltre 100 imbarcazioni delle quali solo una minima parte aveva equipaggio di forzati e non di buonavoglia (stpendiati).
5) le flotte che razziavano buona parte delle coste meridionali europee venivano soprattutto a prendere schiavi, rapire persone per il cui rilascio prevedevano di incassare ingenti riscatti, ma varie volte sbarcavano il piccole marine esclusivamente per approvvigionarsi di acqua e viveri. 
6) il loro obiettivo primario nel mediterraneo occidentale, quindi, non era saccheggiare, distruggere e uccidere e tantomeno conquistare come invece facevano nella parte orientale e lungo le coste nord-africane.
7) spesso viene ricordata solo la loro diversa fede e che la Flotta Ottomana fu sconfitta a Lepanto (1571) dalla cosiddetta Lega Santa, ma non si parla quasi mai della loro solida e duratura alleanza con la Francia (dagli altri stati occidentali bollata come empia alleanza) durata dal 1530 fino alla fine del '700, né dei loro saltuari accordi con la Repubblica di Genova per motivi per lo più strettamente commerciali.
8) chi ha tempo e voglia, per un’analisi generale può guardare il servizio di RAI Storia di circa 45’ dal titolo “La battaglia di Lepanto. Né vinti né vincitori
 “E’ l’ultima grande battaglia navale della storia, un evento epico anche nei numeri: 150 mila uomini imbarcati, 400 navi, milioni di scudi spesi e 30 mila morti in una manciata di ore. … nessuno uscì veramente vincitore.” Seppur abbastanza approfondito e basato su fonti attendibili resta comunque, e ovviamente, un punto di vista.

Penso che ora sia più evidente il fatto che le cosiddette flotte Saracene agissero sotto la bandiera di uno stato ufficialmente riconosciuto, potente e temuto, progredito in ambito tecnologico e artistico. Se sono riuscito ad incuriosire qualcuno, gli suggerisco di cominciare a leggere, per esempio, questa relativamente succinta Storia dell’Impero Ottomano del Dizionario Treccani.

mercoledì 20 maggio 2015

Ipotesi per il "buco misterioso", forse fantasiosa ma mi piace

Menorca ha una impressionante rete di passaggi sotterranei, scavati in epoche differenti, da diverse popolazioni, per vari motivi, e questo è un dato di fatto incontestabile. Vari ricercatori sostengono che se ne conosce solo una parte e di molti sono noti gli accessi ma non gli interi collegamenti in quanto spesso non sono più percorribili in quanto allagati o con volte crollate per cause naturali o più frequentemente a scopo strategico militare. Infatti il maggior numero di tunnel furono scavati, dagli spagnoli prima e dagli inglesi poi, fra 1600 e il 1800 a scopo militare e per questo motivo anche quelli in buono stato sono stati sempre chiusi al pubblico. 
Si è sempre detto, ma mai verificato, che Fort Marlborough e il Fuerte San Felipe (detto anche Túneles de San Felipe proprio per essere composto per lo più da gallerie) fossero collegati tramite un tunnel che passa ben sotto il fondo di Cala di Sant Esteve, stretta insenatura che divide i due forti. Fra le varie simili congetture c’è anche il collegamento con la fortezza La Mola, a nord del porto di Mahon, ma nessuno ha mai provato l’esistenza né dell’una né dell’altra.
In questa mappa militare dell'area (ingranditela, è molto precisa e leggibile) il Fuerte San Felipe è quello a forma di stella al centro mentre Fort Marlborough è la struttura molto più piccola a sud della cala Sant Esteve (St. Stephen's Cove in mappa). Considerato l’enorme numero di tunnel scavati nella zona, il “buco misterioso” potrebbe senz’altro essere un accesso ad una galleria e quello che si riesce a vedere sarebbe tutto perfettamente congruo. Infatti, io ho scritto di 4 scalini perché tanti ne ho visti, ma avrete notato che l’acqua piuttosto torbida impedisce di vedere il fondo … che potrebbe non esserci. Anche la parte artificialmente spianata tutt’intorno, quasi circolare ma con degli spigoli sul lato opposto alla scala, nonché la scanalatura verticale, potrebbero far pensare ad un alloggio per poggiare una porta e quindi bloccarla e coprirla facilmente.


Tuttavia non credo che si possa trattare di un accesso al passaggio fra i due forti, piuttosto sono più propenso a credere che potrebbe essere una cosiddetta Porta del tradimento del vicino Fort Marlborough. Questa Puerta o Portillo de la Traición in Spagna, Porta da Traição in Portogallo, postern in inglese, pustierla in italiano, era una piccola porta che quasi tutte fortificazioni del passato possedevano in luogo nascosto e distante dalle porte principali per assicurare una via di comunicazione fra l’interno e l’esterno della cinta, da utilizzarsi in speciali circostanze. Ovviamente solo pochissimi conoscevano l’ubicazione dei tunnel segreti e storie e leggende raccontano spesso che il progettista veniva ucciso affinché non ne rivelasse l’esistenza. Tante volte il loro utilizzo è stati vitale per resistere ad un assedio, ricevendo viveri, permettendo l’uscita di messaggeri recanti richieste di soccorso o consentendo la fuga dal castello, ma altre volte sono stati usati dai nemici che, con l’aiuto di un traditore, riuscivano ad entrare facilmente nella fortezza, e di qui il nome comune.
Questa è la mia ipotesi, e fino a prova contraria è plausibile come altre.

lunedì 18 maggio 2015

Per chi si chiede come mai sono a Menorca

Breve post per “celebrare” una ennesima piacevolissima camminata menorquina seguendo (più o meno) il Camì de Cavalls (GR 223). Dopo le tempeste di vento dei giorni scorsi è tornata la semplice e graditissima brezza che non fa sentire troppo il caldo visto che per lunghi tratti non si trova un filo d’ombra.
I colori che vedete nelle 127 immagini del “foto-film” sono reali … qui il mare è proprio di questo colore grazie alla limpidezza delle acque, i fondali di sabbia bianca e le aree scure sott’acqua e i residui marroni lungo le rive sono rispettivamente praterie di Posidonia oceanica (è una pianta vera e propria e non un’alga) e relative foglie morte che si accumulano sul bagnasciuga. La costa è ideale per i canoisti che possono apprezzare da vicino scogli, falesie, grotte e archi naturali.

Cala Galdana è raggiungibile con mezzi pubblici sia da Mahòn che da Ciutadella, percorsi i circa 16km che la separano da Son Xoriguer si decide cosa fare. Infatti qui termina la strada che corre parallela alla costa ovest fino a Cap d’Artrutx (punta sud-occidentale dell’isola) e poi prosegue per  un paio di chilometri verso est fino a Son Xoriguer, limite anche della linea 65 da e per Ciutadella.
Faccio anche presente che la distanza di 16 chilometri che ho indicato e quella ufficiale del percorso segnalato, ma chi vuole recarsi ai vari punti panoramici (alcuni indicati, altri no), seguire sentieri alternativi (talvolta più interessanti e panoramici seppur più stretti e in peggiori condizioni) e abbandonare il sentiero per andare fino al mare nelle varie calette accessibili certamente percorrerà vari chilometri extra.
La guida del Camì de Cavalls mette in guardia i camminatori specificando che il tratto fra Ciutadella e il faro di Cap d’Artrutx è la sezione meno interessante dell’intero circuito in quanto attraversa vari centri abitati e la costa rocciosa è abbastanza spoglia. Sono comunque andato a dare un’occhiata e, come si vede dalle ultime due foto dell’album, dopo il faro c’è ben poco d’interessante, specialmente se comparato con la costa fra Cala Galdana e Son Xoriguer.

Chiudo rammentandovi che il mistero del buco/vasca con scalini presso Cala Sant Esteve (foto a sx) è rimasto tale e, a beneficio di chi l’avesse inutilmente cercato, allego la foto dell’animale in fuga del quale scrissi nel post precedente.
 

venerdì 15 maggio 2015

I misteri di Cala Sant Esteve (novità e quiz)

Stamattina, a causa del troppo vento (quasi impossibile scattare macro di fiori) e delle nuvole che spesso limitavano la luminosità, ho dovuto rinunciare al programma previsto e ho scelto di andare ad approfondire le mie ricerche in merito alla possibile fornace da palle di Cala Sant Esteve (vedi post precedente). In questo post spiegherò che nonostante il mio impegno non sono pervenuto ad alcuna soluzione definitiva, proporrò un altro caso da risolvere e vi sottoporrò un facile quizOltre alle 4 foto anticipate di seguito, potete rendervi conto della situazione scorrendo le altre foto di fornace, cava e buco misterioso
Come suggerito da una dirigente della biblioteca di Mahon, sono prima passato dal Museo Militare di Es Castell, mia ultima speranza di trovare documentazione affidabile. La gentile addetta alla biglietteria mi ha ha fatto parlare con un responsabile del Museo il quale, al momento, stava proprio preparando una mostra sulle strutture difensive all’ingresso del porto di Mahon e fra i disegni che aveva ce n’era uno di una fornace all’interno di un forte. Con lui c’erano altri due signori, apparentemente esperti della materia, ma non sono riusciti a dissipare i miei dubbi. Il “capo” mi ha detto subito che si trattava di una calcara, ma dopo mie alcune obiezioni e richiesta di riferimenti scritti è diventato più evasivo e ha giustificato la sua risposta dicendo che suo padre l’aveva sempre indicata come tale. Con tutto il rispetto per il padre, non mi è sembrata una prova definitiva, e quindi ho garbatamente obiettato che dalla grande cantera (cava) a valle della torre non si ricava un calcare adatto a produrre calce e oltretutto sono tuttora visibili i classici tagli netti per produrre parallelepipedi da utilizzare per opere murarie. Mi ha risposto che il pietrame veniva trasportato lì la altre aree più a sud … e allora gli ho fatto anche notare che nelle vicinanze non c’era un tipo di vegetazione che potesse fornire abbastanza legname (come per esempio leccete che si trovano negli umidi e ombrosi barrancos) e mi ha detto che anche il legno doveva essere trasportato (?!), ma a questo punto mi sembrava già meno sicuro. Ovviamente ho insistito nel sottoporgli le mie perplessità: “Perché mai avrebbero dovuto trasportare legno e pietre invece della sola calce, se avessero costruito la calcara in zona più idonea?” (come si faceva dalle parti nostre).
   

L’avevo quasi convinto, ma era ancora titubante. Su un punto però eravamo tutti d’accordo: assolutamente non si trattava di una torre e certamente era una fornace … ma per cuocere cosa?. E allora ho portato la discussione sulla forma della struttura che non era quella classica con una sola apertura e abbastanza alta da consentire un comodo accesso, in questo caso sono due, relativamente basse, più una terza che non raggiunge la parte centrale ma conduce ad una piccola finestra che potrebbe essere stata utilizzata per controllare la combustione. Ho concluso ripetendo che l’unica notizia scritta (seppur in un articolo in rete) recitava: Anche se può sembrare un’antica torre di difesa o di guardia, è una fornace da palle.
Al ché uno degli altri due astanti ha ammesso “potrebbe essere vero” e così è terminata la mia indagine presso il Museo Militare. Sono quindi andato a verificare il tutto e a scattare numerose foto, cosa che non feci la volta scorsa non avendo tanto tempo e con il sole alle spalle dell’ingresso. Dopo attenta visita e considerazioni varie, devo comunque dire che come sono convinto che non si tratti di una calcara, sono egualmente scettico in merito all’ipotesi fornace da palle. Ciò soprattutto per un paio di semplici motivi: a) non riesco a immaginare come avvenissero le fasi di carico e scarico delle palle; b) nelle vicinanze non c’è traccia di alcuna piattaforma che potesse ospitare un pezzo di artiglieria.
Né in rete (dove ormai c’è di tutto e di più), né in una ulteriore indagine in biblioteca ho trovato alcuna immagine di calcare con aperture simili e nessun disegno della sezione verticale come quella della fornace di Sant Esteve che presenta un restringimento, come un imbuto, nella parte centrale. 
Prima di avviarmi alla Torre d'en Penjat (anche questa tralasciata per i medesimi motivi) ho fatto un bel giro nella vasta cava e, ahimè, mi sono imbattuto in un altro “mistero” (almeno per il momento). Si tratta di una specie di vasca di meno di 2 metri di diametro, chiaramente scavata nella roccia e non naturale, completa di un bordo piano e 4 scalini molto regolari, nonché una netta scanalatura verticale. Si trova a  pochissimi metri dal mare, ma non è collegata ad esso. Chiedendomi a cosa potesse servire sono solo riuscito ad elaborare tante strambe ipotesi, ma nessuna abbastanza sensata. Quindi non solo non ho risolto in via definitiva i miei dubbi in merito alla destinazione certa della fornace, ma ora ho anche l'interrogativo della vasca da chiarire. (foto a sx)
Infine, ecco il quiz: ho sentito un improvviso rumore fra i cespugli, mi sono girato e ho visto schizzar via a gran velocità un simpatico animale. In un attimo ho acceso la fotocamera e, seguendone il movimento, sono riuscito a beccarlo.
Riuscite a vedere di chi si tratta nella foto a destra?
   

mercoledì 13 maggio 2015

Fornace per palle arroventate ... di che si parla?

L'anno scorso avevo avuto modo di osservare questa strana costruzione sulla punta meridionale di Cala Sant Esteve, nei pressi del Forte Marlborough, e già allora nutrii dubbi sulla sua possibile funzione. Non mi sembrava una torre a giudicare dalle mura interne, dall’apertura al piano terra e dalla mancanza di una solida copertura, né sembrava una calcara per mancanza di materia prima nelle vicinanze e per la sua forma interna ad imbuto. 
   

Infine mi incuriosiva il fatto che fosse inclinata verso il mare, come risulta evidente osservando l'orizzonte della seconda foto, pur non essendo in rovina.
A conclusione di una ricerca non facilissima ho scoperto che i pochi testi che citano questo edificio sottolineano proprio il fatto che molti sbagliano considerandola una torre in quanto era una fornace da palleNella fattispecie, la sua struttura non è esattamente quella descritta in nel Trattato di pirotecnìa militare (1831, Ferdinando Biondi Perelli) ma le sue caratteristiche sono compatibili con quest’uso.
L’utilizzo delle palle arroventate (o roventi) ebbe la sua auge fra i secoli XVIII e XIX, quando i pezzi d’artiglieria avevano una gittata adeguata, le operazioni di riscaldamento e trasferimento delle palle si potevano svolgere con una certa sicurezza e, ovviamente, le navi erano ancora costruite in legno. Per facilitare la fuoriuscita delle palle già portate a giusta temperatura c'erano guide in pietra, con adeguata pendenza. Forse è pura fantasia, ma ciò potrebbe giustificare l'inclinazione dell'intera torre per facilitare la costruzione di un piano inclinato più difficilmente inseribile in una struttura circolare. 
Proprio per la loro pericolosità solo in un paio di casi furono installati su navi, di solito erano localizzati presso l'ingresso di un porto, a difesa dello stesso, ma non solo. Qui a destra vedete una fornace americana della prima metà del XIX secolo (Fort Macon - North Carolina, USA).
Il lancio di proietti(li) incendiari è antichissimo, ma fino ad epoche moderne questa tecnica era limitata dalla scarsa gittata delle catapulte, archi e balestre scagliavano materiali in fiamme sulle attrezzature nemiche.
La differenza, in particolare per le navi è sostanziale. Per avere efficacia le palle dovevano essere arroventate, fin quasi al punto di fusione, e  (che più facilmente prendevano fuoco) ora si mirava allo scafo. Anche palle relativamente piccole potevano essere letali infatti, avendo accumulato un gran quantità di calore, potevano carbonizzare lentamente il legno nel quale si erano conficcate e le successive fiamme potevano divampare anche molto più tardi. Nei trattati militari dell'800 si citano casi in cui detti proiettili, penetrati nel fasciame della nave, avessero innescato l'incendio parecchie ore dopo. 
In italiano ho recuperato poche notizie, ma in inglese e spagnolo se ne trovano molte di più. Agli interessati segnalo che detti proiettili in inglese sono hot shots e in spagnolo balas rojas.
Andando in giro e investigando si scoprono sempre nuove cose ...

lunedì 11 maggio 2015

Aggiornamenti e considerazioni (fotografiche) da Menorca

Ieri, per una volta e nonostante la doppia escursione, il mare l'ho visto solo da molto lontano, nel pomeriggio, dalla cima più alta di Menorca: Monte Toro (357m s.l.m.), quindi sì e no una collina. In mattinata piacevole ed interessante passeggiata in una lecceta secolare nei pressi di Cala del Pilar (costa a nord di Ferreries), guidata da un bravo naturalista il quale ha anche dissipato vari miei dubbi.
Basandomi su queste informazioni e sulle altre fornite nel corso della camminata, sto provvedendo ad aggiungere i nomi delle specie nei commenti al lato della maggior parte delle foto. Per questo motivo ho anche rimandato la selezione, elaborazione e pubblicazione delle foto di sabato per concentrarmi sui 2 album di ieri e per pubblicare una cartina essenziale dell'isola in modo da facilitare la localizzazione delle aree visitate.
A prescindere da tutto ciò, essendo estremamente soddisfatto della quantità di particolari che si riescono ad osservare in una foto macro, vorrei consigliare a tutti gli amanti della natura (con un minimo di esperienza fotografica) di considerare di intraprendere questa strada. Devo dire che, almeno nella mia situazione attuale, l’utilizzo di un obiettivo macro fisso limita le possibilità effettuare scatti panoramici. Infatti, a meno di portarsi una seconda macchina o stare a cambiare continuamente obiettivo (operazione altamente sconsigliata in ambiente naturale), o si fanno le macro o i panorami.
   
Conscio di ciò, e per evitare tentazioni, sto uscendo solo con un obiettivo e se un’escursione mi piace particolarmente la ripeto con lo zoom tuttofare (18-140mm). Così è stato nel caso della costa sudorientale di Menorca per andare a fotografare le tante euforbie (Euphorbia dendroides) dai mille colori e il campo di gialli papaveri cornuti (Glaucium flavus) dei quali qui sopra vi offro un'anteprima. Anche stamattina (costa nord) ho rimpianto di non poter scattare foto di cale e calette, spiagge bianche e mare cristallino, ma non mi sono dannato più di tanto e in settimana ci ritorno.
Tornando alle macro e alla loro capacità di mettere in evidenza particolari non facilmente percepibili a occhio nudo, invito tutti coloro che scorrono le mie raccolte di foto a non limitarsi ad uno sguardo superficiale in quanto molto altro può essere osservato. E ciò vale non solo per i fiori, ma anche per gli insetti che spesso e volentieri (in particolare in primavera) si  posano su di essi. Per esempio, nella foto in basso si può notare come l’ape bottinatrice raccolga il nettare dai fiori (in questo caso di Borago officinalis, borragine) per trasportarlo all’alveare. 
Un ultimo consiglio a chi è appassionato di fiori: create un vostro atlante dei fiori che conoscete "di vista" e nei quali vi imbattete scorrendo non solo le mie foto (le macro sono tutte qui), ma anche di altri. Scaricatele, abbinate il nome e dividetele come meglio vi pare. Se non per determinazione scientifica, le potrete ordinare per colore, per periodo di fioritura, per area, ordine alfabetico ... in qualunque modo vi sia poi facile ritrovarli. 
Sappiate che potete tranquillamente utilizzare anche le foto di specie siciliane e menorquine in quanto tantissime si trovano anche in Penisola Sorrentina, Costiera Amalfitana e Capri o almeno sono molto simili (comunque saprete a quale famiglia appartengono).

venerdì 8 maggio 2015

Un'ottima giornata, come quelle che vorrei sempre

Mi piace uscire in escursione avendo idee abbastanza precise, ma non definitive, ed andare alla scoperta di posti nuovi, in aree che non conosco. Oggi sono riuscito a percorrere un circuito da Mahon, studiato e pianificato ieri sera. Quasi tutto meglio del previsto. Nella prima parte (percorso ciclabile fra campi, fincas e muretti a secco) ho trovato vari soggetti interessanti per le mie macro (rovi, rubia, ginestre e numerose tartarughe a spasso). 
Dopo un incontro a quattr’occhi (quasi) con la simpatica signorina dall'originale acconciatura (foto a sx), mi sono immesso sul Camì de Cavalls e l’ho seguito verso ovest fino ad un barranco che l’anno scorso mi diede non pochi problemi. Infatti, sulla cartina della guida, è segnata una deviazione per questa strettissima insenatura rocciosa (Cala Rafalet) alla quale si accede percorrendo il fondovalle, attraverso un bel bosco e tante rocce. Il problema è che dal Camì de Cavalls si dipartono ben tre sentieri ma l’accesso giusto è quello meno evidente. Giunto alla spiaggetta (seguendo un percorso diverso da quello di settembre scorso) mi sono rifocillato, ho scattato varie foto “subacquee” e poi mi sono messo alla ricerca del sentiero (segnato sulla guida, ma non ufficiale) che non trovai l’anno scorso. Dopo qualche salita e discesa fra bosco fitto e macchia ancora più fitta - sgariandomi il mellone oltre a vari altri ricordini sulle gambe (rovi, smilax, asparagus albus, calicotome e altre specie ben spinose) – scavalcando un muro ho raggiunto una terrazza relativamente aperta, con orchidee e tanta euforbia già virante al rosso. Dopo qualche minuto, dopo essere andato avanti e indietro provando vari “forse passaggi” fasulli, vedo una testa spuntare al di là del muro, l’avanguardia di coppia di escursionisti di Barcellona che cercavano il passaggio per scendere nel barranco, provenienti dalla cala de Sant Esteve (mia meta). Quindi con soddisfazione di tutti ci siamo scambiati le informazioni e ognuno è riuscito a proseguire. Per fortuna loro non avevano visto ben due discese per la spiaggetta (molto più semplici) altrimenti non ci saremmo incontrati. In effetti entrambi ci basavamo sulla carta in scala 1:35.000 (e quindi abbastanza vaga) e cercavamo la connessione dove era indicata, ma dove assolutamente non era!
Faccio ora una breve digressione relativa alla segnatura dei sentieri. Mi rendo assolutamente conto che apporre i segnavia in modo che siano visibili, utili e che non scompaiano in pochissimo tempo è compito non da poco, ma certe volte si vedono cose che mi lasciano molto perplesso. In questo caso sottolineo la segnatura non ottima ma eccezionale del Camì de Cavalls, spesso troppa, ma le deviazioni sono molte volte completamente tralasciate. Lungo i circa 3 chilometri dal suddetto punto mal segnato sulla guida (che però non è ufficiale) fino alla evidente Torre d'en Penjat nei pressi di cala de Sant Esteve non esiste un solo segno e si incontrano decine e decine di incroci e biforcazioni che probabilmente consentono tutte di raggiungere la torre, ma talvolta ci si va a complicare la vita inutilmente e si rischia di perdere punti interessanti. Trovo che qui ci sia troppa sperequazione fra gli eccessi di segnavia del Camì de Cavalls e sentieri alternativi (più stretti e accidentati) ma di gran lunga più interessanti. E questo succede dovunque …
Tornando a oggi, devo dire che in questa piacevolissima giornata la parte migliore e stata proprio questa con panorami e ambienti spettacolari tanto che già a metà strada avevo deciso di ritornarci con lo zoom lasciando il macro all’hostal. A metà di questo tratto ho avuto anche la piacevolissima sorpresa di trovarmi in un fantastico e inaspettato campo, limitato da un muro a secco e rocce calcaree della costa, pieno di papaveri gialli (Glaucium  flavus) e nel corso della settimana sono gli unici che ho visto.
   
Nonostante questo tratto di costa fosse battuto da un discreto vento (e si vede dalla posizione dei petali), sono riuscito a scattare varie foto che mi hanno soddisfatto. 
Queste sono le altre foto di oggi, per i panorami bisogna aspettare qualche giorno … siamo nati per soffrire. 
Camminare, perdere il sentiero (ma non troppo) e appizzare gli occhi in quanto le sorprese sono sempre dietro l’angolo … o dietro la foglie o dietro un muro.

mercoledì 6 maggio 2015

L’anno 1558 lega Massa Lubrense, Sorrento e Ciutadella (Menorca)

Appena prima della mia partenza Stefano mi aveva ricordato che Menorca, in particolare Ciutadella, nel 1558 soffrì l'attacco e il successivo saccheggio da parte della poderosa flotta ottomana, dalle nostre parti genericamente chiamata saracena, qui turca. Allo stesso tempo mi chiese di ricercare documenti nei quali fosse menzionato il passaggio di detta flotta per Massa e Sorrento essendo noto che si trattò della stessa campagna del tristemente famoso Pialì Pascià. Questi, seguendo un itinerario già sperimentato da altri in anni precedenti (p.e Khayr al-Dīn, detto Barbarossa nel 1534-5), procedette da Istanbul fin quasi al limite del Mediterraneo occidentale saccheggiando le cittadine costiere più ricche.
Dopo questo breve ma indispensabile preambolo che evidenzia il legame fra i luoghi, torniamo a Menorca e all'allora sua capitale Ciutadella. Questa cadde il 9 luglio del 1558, al quarto assalto, dopo un assedio durato 10 giorni subendo notevoli perdite di vite umane, circa 3.500 deportazioni e distruzione di buona parte della città. Le cronache riportano che all'interno dell'isola, fino a Monte Toro (circa 30km a est), non si incontrava anima viva.
   
costa tirrenica fino al Golfo di Napoli e Menorca (1513, Atlante di Piri Reis)
Stefano (presidente della sez. lubrense dell'Archeoclub) mi aveva anche messo al corrente del fatto che qui si conserva memoria dei tragici eventi e che dal 1852 ogni 9 luglio, anniversario della presa della città, si svolgono celebrazioni commemorative dell’Anno della Disgrazia (Any de sa Desgràcia) al contrario di quanto succede a Massa e Sorrento dove il 13 giugno semplicemente si festeggia Sant'Antonio, dimenticando che l'attacco del 1558 causò qualche migliaio di morti e almeno 4.000 prigionieri, pochissimi dei quali furono riscattati. A Ciutadella si riunisce il consiglio comunale in seduta straordinaria, una persona appositamente nominata declama un documento dell'epoca conosciuto come Acta de Costantinoble, si celebra una messa solenne in memoria dei morti del 1558 e si pone una corona di fiori ai piedi del monumento commemorativo detto sa piràmide
Ma penso sia interessante sapere qualcosa di più in merito alla singolare origine dell’Acta. Alcuni menorchini prigionieri a Costantinopoli, fra i quali vari di rango, si riunirono per stilare e sottoscrivere un rendiconto degli avvenimenti trascorsi dall'arrivo della flotta ottomana (29 giugno) fino alla espugnazione di Ciutadella. A quell'epoca i capi civili e militari che si arrendevano troppo facilmente e non potevano successivamente dimostrare che non avessero avuto altra scelta, venivano giudicati e nella maggior parte dei casi giustiziati sulla pubblica piazza dopo atroci torture e non sto a ripetervi quello che mi è stato descritto, con gran dovizia di particolari, dal mio interlocutore. Questi, Florenci Sastre Portella (curatore dell'archivio storico di Ciutadella e autore di numerosi testi sul tema) ha sottolineato che questo testo stilato a Costantinopoli si deve intendere come una "assicurazione" per i sottoscrittori per evitare che, nel caso fossero stati riscattati o fossero riusciti a fuggire, una volta tornati in patria non fossero poi sottoposti a processo con grandi possibilità di essere condannati (i capri espiatori servono sempre).
L'atto fu certificato da uno dei prigionieri, il notaio Pere Quintana, ma chiaramente, considerati gli intenti, non è detto che i comportamenti dei sottoscrittori siano stati esattamente quelli descritti. In particolare quello del quale più si dubita è il capitano della guarnigione Miguel Negrete, ma il fatto di essere castellano potrebbe suggerire una motivazione "razzista" di queste voci. Florenci Sastre mi ha raccontato che, al contrario di quanto affermato nell'Acta, è sempre corsa voce che Negrete, memore della sua precedente disfatta a Castelnuovo sulle coste dalmate e successiva prigionia in mano dei Turchi e convinto dell'inevitabilità della disfatta, poco dopo l'inizio dell'assedio si fosse ritirato in campagna dedicandosi esclusivamente a mangiare e bere. Poi, appena seppe dell'entrata delle truppe ottomane in città si arrese al nemico indossando i suoi vestiti più appariscenti allo scopo di ottenere un miglior trattamento (i ricchi e i potenti non venivano maltrattati nella speranza di incassare un sostanzioso riscatto). In effetti questo documento venne alla luce e fu reso pubblico solo molti anni dopo, nel 1620, ma a parte i dubbi in merito ai comportamenti individuali viene considerato veritiero e affidabile per quanto riguarda la cronologia degli eventi e i numeri di galee, soldati, morti e prigionieri.