Ci sono un insolito noir tedesco dell’ottimo Fassbinder, un classico noir francese (che non conoscevo) del solito Clouzot, un recente neo-noir coreano, un film di John Schlesinger difficile da inquadrare in un particolare genere, precedente a quello che gli diede imperitura fama (Midnight Cowboy, 1969, Un uomo da marciapiede) e un documentario musicale su una star ultracentenaria della musica tradizionale indiana.
Veronika Voss (Rainer Werner Fassbinder, Ger, 1982)
Pellicola conclusiva della trilogia di Fassbinder (Maria Braun - Lola - Veronika Voss) che si differenzia dalle precedenti per avere un risvolto noir e per essere girato in bianco e nero (eccellente). Inoltre fu il suo penultimo film, seguito solo da Querelle uscito pochi mesi dopo, successivamente alla sua morte per overdose, a 37 anni (10 giugno 1982). Giudicato da molti l’elemento più debole della trilogia, la sua quota artistica comunque non se ne distacca molto e penso che sia una questione puramente soggettiva. Egualmente sono convinto che Fassbinder sia stato un regista ampiamente sottovalutato dal grande pubblico, nonostante l’ottimo livello media della sua produzione, ricchissima considerato il relativamente breve periodo di attività (1969-82). Tornando al film, ho trovato avvincente la sceneggiatura (dello stesso Fassbinder) molto ben decritta per immagini, con cose dette e non dette, bugie lampanti, pause e sorprese. Nulla da eccepire in quanto alle interpretazioni. Particolarmente buona la fotografia e la gestione delle luci, con tante immagini nelle quali il bianco è preponderante e splendente, attorno a soggetti scuri. Da non perdere, possibilmente dopo aver visto anche gli altri.
Les espions (Henri-Georges
Clouzot, Fra, 1957)
Uno dei meno
conosciuti, e oggettivamente non dei migliori, noir di Clouzot. Pur
contando su una ottima e intricata trama piena di suspense è il personaggio del
protagonista che lascia a desiderare, comportandosi continuamente da ingenuo e
sprovveduto, dopo essersi messo volontariamente in un giro di spionaggio
internazionale. In breve, e non è uno spoiler poiché così inizia il film, uno
psichiatra proprietario e direttore di una clinica, accetta di nascondere per
pochi giorni uno scienziato in fuga da oltre cortina in cambio di un milione di
franchi. In poche ore si troverà la grande casa invasa da spie introdottesi sostituendo
il personale di prepotenza, visitandola di forza o di nascosto, o come nuovi pazienti,
mentre all’esterno abbondano passanti sospetti, operai su scale e tetti delle
case circostanti, bambini che lasciano messaggi. Il problema è che non può
sapere tutte queste spie (che si conoscono fra di loro) sotto quale bandiera
agiscono. Si assiste quindi a continui twist, minacce, assassini lampanti e
morti sospette. Nonostante il comportamento irragionevole del dottore successivamente
al chiaro accordo, il film merita comunque la visione.
Darling (John Schlesinger, UK, 1965)
Esemplificazione
dell’arrivismo, della scalata sociale ad ogni costo, passando sopra ad ogni convenzione
sociale e/o valutazione legale. L’ipocrisia e l’infedeltà regnano sovrane, la
leggerezza con la quale in un certo ambiente (o in qualunque ambiente?) si
tessono e si distruggono rapporti personali è sbalorditiva eppure probabilmente
molto vicina alla realtà. Più che convincenti le interpretazioni di Julie
Christie, Dirk Bogarde e Laurence Harvey nei panni dei
personaggi principali, ma è tutta la descrizione dell’ambiente (oggettivamente
abbastanza squallido) a sembrare più che credibile. Il film ottenne 3 Oscar (Julie
Christie miglior attrice protagonista, sceneggiatura e costumi) e 2
Nomination (miglior film e regia), oltre a 4 BAFTA e un Golden Globe.
Rasan Piya (Niharika Popli,
Ind, 2015)
Interessante
documentario che vede protagonista il famosissimo compositore, poeta e vocalista
indiano Ustad Abdul Rashid Khan, rappresentante la 14ima generazione di una stirpe
di musicisti, morto l’anno successivo alla realizzazione del documentario, alla
veneranda età di 107 anni. Chiaramente, per apprezzarlo si deve avere un minimo
di orecchio e conoscenza della musica indiana e dei suoi strumenti tradizionali
quali sitar, tablas e il più recente harmonium, inizialmente introdotto nell’area
dagli europei e poi adottato in tutto il sub-continente.
Beasts Clawing at Straws
(tit. it. Nido di vipere) (Kim Yong-hoon, Kor, 2020)
Altro neo-noir
potenzialmente buono, ma secondo me sminuito dalle troppe evidenti
esagerazioni. Ottima la sequenza di intrecci più o meno casuali fra i vari
protagonisti che entrano in contatto o cercano di recuperare un borsone pieno
di soldi. Meno buona la messa in scena sia per quanto riguarda la gestione
degli attori che le riprese in esterno. Il nuovo cinema coreano produce e ha
prodotto di meglio. Guardabile, certamente non imperdibile.
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