Non vi perdete El espiritu de la colmena, apprezzatissimo "piccolo" film spagnolo di 50 anni fa, i cui rating (7,8 IMDb, 96% RT e 87 Metascore) sono tutti migliori di quelli di Hugo, megaproduzione hollywoodiana che una decina di anni fa ottenne 5 Oscar e altre 7 Nomination ... la qualità dei film non è direttamente proporzionale né strettamente legata a budget spropositati e grandi nomi! Molto interessante anche il recente esordio del regista indiano Fahim Irshad, anche lui focalizzato su una toccante storia che include tanti aspetti della vita di una famiglia islamica in India. Ho guardato di nuovo Hugo (omaggio di Scorsese ai pionieri del cinema) e ho completato la cinquina con due film argentini del semisconosciuto Leonardo Favio, eppure molto apprezzato in patria.
El espiritu de la colmena (Victor Erice, Spa, 1973) tit. it.
Primo lungometraggio di Victor Erice,
regista basco unanimemente lodato, ma con una produzione quasi inesistente. A
tutt’oggi si contano 7 corti (girati fra il 1961 e il 2007), 3 episodi in
altrettanti film (quindi altri corti) e appena due lungometraggi; dopo questo
solo El sur (1983) che, comunque, lui considera incompleto (il suo
progetto prevedeva altre riprese, ma il produttore le rifiutò per motivi
economici). Appassionante film con un bellissimo inizio, con le scene dl un cinema
itinerante, con gli spettatori che arrivano portandosi le sedie, prima i
bambini che si siedono ai piedi dello schermo (per 2 reales) poi le
donne e infine gli uomini (tutti gli adulti a 1 peseta). Il film è il
classico Frankenstein del 1931 (di James Whale, con Boris
Karloff), pellicola che impressionerà molto la piccola Ana. Belle la
scenografia e la fotografia, con le tante dissolvenze, utilizzate in modo
magistrale, particolarmente significative. Interessante storia co-sceneggiata
dallo stesso Erice, con tanti riferimenti alla guerra civile appena
terminata (nel film, siamo nel 1940), al romanzo di Mary Shelley e al
film con Boris Karloff. Bravissime le bambine Ana Torrent (7 anni
all’epoca, altri 35 film successivamente) e Isabel Tellería, di poco più
grande (ma questa rimase la sua unica esperienza cinematografica), e bravi
anche Fernando Fernán Gómez e Teresa Gimpera che interpretano i
genitori. Da non perdere!
Aani Maani (Fahim Irshad, Ind, 2019)
Apprezzato film che affronta gli storici
e controversi argomenti della problematica convivenza delle minoranze islamiche
in aree a prevalenza induista. A partire dalla semplice vita di una famiglia
islamica, il regista / sceneggiatore affronta problemi religiosi, politici, di razzismo
e di corruzione e taglieggiamento. Interessanti il commento musicale e la colonna
sonora, buone le interpretazioni, ottima regia e fotografia. Particolarmente
efficace è la rappresentazione delle attività giornaliere che si svolgono
soprattutto nel piccolo cortile sul quale si aprono le porte delle varie
stanze. In questo scenario si sviluppa un ottimo piano sequenza poco prima del
finale che, pur chiarissimo nell’essenza, resta un po’ misterioso in quanto a modo
e vere cause. Film molto interessante e piacevole, regista da tenere d’occhio.
Hugo (Martin Scorsese, USA, 2011) aka Hugo Cabret
Praticamente un sincero omaggio a George
Méliès, il geniale inventore del vero CINEMA che, con la sua
creatività, perfezionò già a inizio secolo scorso montaggio, trucchi e scenografie
sensazionali, specialmente per l’epoca. Ai fratelli Lumière si riconosce
certamente il merito dell’invenzione di una cinepresa e il suo perfezionamento oltre
ad alcuni basilari movimenti di macchina, ma Méliès creò l’illusione. La
trama del film è in effetti un po’ stucchevole e troppe volte sfocia nel
caricaturale, in particolare con gli strani personaggi che popolano la stazione.
Ottimi gli effetti speciali che, non a caso, ottennero il loro Oscar; altre 4 statuette
arrivarono per la fotografia, scenografia, sound mixing e sound editing (il
film conta anche altre 6 Nomination).
Crónica de un niño solo (Leonardo Favio, Arg, 1965)
Esordio dell’argentino Leonardo
Favio, oltre che apprezzato regista, anche attore e cantante. Strano
modo di girare (ma bene), probabilmente dovuto a limitati mezzi tecnici. Non c’è
presa diretta né commento musicale, quindi nelle partii descrittive ci sono
lunghi silenzi assoluti, sostenuti comunque da sapienti riprese, molte dall’alto.
Il protagonista è un ragazzino irrequieto, rinchiuso in un riformatorio; lì si
sviluppa la prima parte del film fra qualche litigio con gli altri e le
vessazioni dei sovrintendenti. Nella seconda Polin vedrà che anche fuori la
vita per lui non sarà facile. Molto datato, ma ben girato, anche se a tratti
sembra quasi amatoriale.
Juan Moreira (Leonardo Favio, Arg, 1973)
Juan Moreira fu un personaggio
storico della metà del XIX secolo (1829-1874), divenuto quasi leggendario in
quanto simbolo della ribellione contro i soprusi. Fu gaucho, imprenditore,
fuorilegge e guardia del corpo di un politico che promise di riabilitarlo, ma
non mantenne la parola. Abilissimo con il coltello, dopo essere stato ingiustamente
vessato da latifondisti e autorità, si fece spesso vendetta da solo; fu ucciso
dopo una lunga caccia, accerchiato da una squadra speciale di oltre 20 agenti
della polizia di Buenos Aires. Sulla sua odissea è stato scritto un popolare romanzo e Borges ne ha celebrato la morte in un racconto; dei quattro biopic (tutti con il suo nome come titolo) questo è il più noto e apprezzato. Bella fotografia (in particolare i controluce
esterni nelle sconfinata pampa), anche se si eccede nei primissimi piani
che, nelle scene di azione, diventano molto confusi (penso a anche in questo
caso budget e mezzi limitati furono la causa). La sceneggiatura, con pochissimi dialoghi,
tratta solo di pochi episodi dell’ultima parte della vita di Moreira in
flashback; il film inizia con il riconoscimento del cadavere da parte di sua
moglie.
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