I 5 film sono fra i meno conosciuti di Orson Welles, pur essendo alcuni di essi ottimi. Due sono ufficialmente diretti da Welles, ma uno è riassemblato da altri e uno è stato disconosciuto per i troppi tagli eseguiti dalla produzione senza autorizzazione. In uno dei suddetti è anche protagonista, nell’altro solo regista; negli altri 3 è solo attore.
Mr Arkadin (Orson Welles, USA, 1955) aka Confidential Report
Altro film di Orson
Welles non certificato dal regista. Visto che è fra i meno
conosciuti, eppure eccellente, è bene chiarire che del film non esiste alcun director’s
cut. Lo stesso Welles raccontava a Peter Bogdanovich di non
aver mai deciso come iniziare il film, né come concluderlo. La versione che ho
visto, e che raccomando, è quella Criterion, montata nel 2006 da due giovani
cineasti (Claude Bertemes, Cineteca di Lussemburgo, e Stefan Drössler,
Munich Film Museum), con la collaborazione di Jonathan Rosenbaum e Peter
Bogdanovich (prima che regista, storico e critico cinematografico). Il dvd
contiene molti extra fra i quali un documentario di una ventina di minuti nel
quale vengono spiegati chiaramente i criteri secondo i quali è stato ri-montato
il film dopo aver analizzato le 5 diverse versioni conosciute,
includendo tutte le scene e battute che compaiono in almeno una di esse,
diventando quindi più lungo di qualunque altra versione. La storia è ambientata
in una serie di luoghi ben distinti quali Napoli, Parigi, Londra, Amsterdam,
Monaco, Costa Azzurra, Svizzera, numerose località spagnole e, fuori Europa, a
Tangeri e Messico) e gli avvenimenti sono stati proposti talvolta in ordine
diverso. Il marchio di fabbrica di Welles, le riprese dal basso,
qui diventano spesso quasi verticali e ce ne sono anche dall’alto verso il
basso; i suoi primi piani grazie non solo alla sua indiscussa bravura di
attore, ma anche al lavoro del direttore della fotografia Jean Bourgoin
(Oscar per il b/n nel 1963, The Longest Day) sono davvero inquietanti
e rendono alla perfezione il personaggio nel gioco del gatto con il topo. L’uso
delle luci e delle ombre come nelle scene iniziali nelle quali un uomo corre ma
la sua ombra resta proiettata sulla stessa limitata superficie, dei tanti
sguardi diretti nell’obiettivo e delle tante inquadrature con orizzonte
inclinato sono senz’altro originali e talvolta innovative. In questo film c’è
tanto del genio dell’ineffabile attore / soggettista / sceneggiatore / regista Orson
Welles.
Compulsion (Richard
Fleischer, USA, 1959) tit. it. Frenesia del delitto
Truccato da
settantenne (all’epoca aveva solo 44 anni) Orson Welles appare nelle
vesti dell’avvocato difensore dei due veri protagonisti solo ben oltre la metà
del film e tuttavia si impone come interprete principale sui pur ottimi
comprimari. L’arringa finale è un eccelso esempio di recitazione, ma le sue
qualità di vero attore (sia teatrale che cinematografico) erano già ben note e
non c’è critico che dissenta in merito alla sua bravura. Fleischer fa un
ottimo lavoro alternando tempi e dettagli da thriller a discussioni filosofiche
mediante le quali descrive la psiche disturbata della coppia di giovani
criminali passando dalle scene di vita studentesca a quelle dell’aula di
tribunale. Occhio alle inquadrature degli occhiali! Non mi dilungo a raccontare
i particolari, in rete potrete trovare trame succinte e alcune analitiche,
scena per scena. Mi preme segnalare che, oltre alla versione comune di
103minuti, se ne trova un’altra di 121’, alla quale manca solo The End (l’ultima
battuta del film è compresa). Agli interessati consiglio certamente questa in
quanto, anche se nella versione ridotta probabilmente sono state tagliate scene
reputate di minore importanza, sono due ore di ottimo cinema che appassiona, con
magistrali interpretazioni e una buona sceneggiatura che vagamente riprende un
vero crimine del 1924 e successivo processo, con punti in comune anche ad uno
italiano relativamente recente. Da non perdere!
Man in the Shadow (Jack Arnold, USA, 1957)
Molto poco
conosciuto, è praticamente un western moderno, con tutta la struttura di quelli
più classici ambientati un secolo prima. Orson Welles interpreta un
ricchissimo proprietario terriero, allevatore con oltre 400 messicani
ingaggiati più o meno illegalmente, certamente un despota che detta legge anche
al di fuori del suo enorme ranch. Ma un giorno i suoi scagnozzi esagerano nel
punire un ragazzo e lo uccidono. Un amico della vittima li vede e li denuncia
allo sceriffo onesto che, contro il parere di quasi tutta i cittadini
che in un modo o nell’altro dipendono economicamente dal latifondista, cerca di
scoprire la verità, praticamente da solo, fra minacce, attentati e agguati. Il
film non è male, a metà strada fra il genere crime e il western, certamente
impreziosito dall’interpretazione di Welles, ma dalla trama piuttosto
scontata.
The Long, Hot Summer (Martin Ritt,
USA, 1958)
Basato su 3
diversi racconti di William Faulkner, premio Nobel per la letteratura
nel 1947, per il contributo al moderno romanzo americano. Le sue storie sono
ambientate per lo più nel profondo sud e, come in questo caso, in particolare
nel Mississippi, stato nel quale passò gran parte della sua vita. Anche qui è truccato
(male) da 61enne (all’epoca aveva solo 43 anni), Orson Welles non
convince più di tanto, cosa che i più giustificano per il fatto di dover girare
d’estate, con un caldo umido insopportabile. Perciò, stranamente, non fu la sua
l’interpretazione più significativa del film come spesso accadeva, in quanto
superata da quelle di Paul Newman (miglior attore a Cannes) e Joanne Woodward. Intrigante
trama che vede un intraprendente avventuriero in fuga (Newman, accusato di
incendio doloso) che riesce a inserirsi negli affari e nella famiglia del
latifondista e proprietario di varie attività della cittadina (Welles), vedovo
con due figli per lui alquanto problematici e assolutamente insoddisfacenti. Un
finale poco convincente non rovina più di tanto il film.
The Magnificent Ambersons (Orson
Welles, USA, 1942)
Un (quasi) film
di Orson Welles, ufficialmente successivo a Citizen Kane (ma
in mezzo c’è Journey into Fear, per il quale O. W. è
uncredited). Ho scritto “quasi” in quanto anche questo secondo film con la RKO-Mercury
ebbe i suoi problemi; il primo montaggio fu giudicato troppo lungo e così,
approfittando dell’assenza di Welles (in Europa), la produzione tagliò
molte scene accorciandolo di ¾ d’ora e cambiò il finale (ri-girato da Robert
Wise), tanto che al suo ritorno il regista disconobbe il film. Le parti
mancanti si conoscono solo dalla sceneggiatura definitiva, non esiste più
alcuna immagine. Il film affronta vari temi simili a quelli di Citizen
Kane, magioni esagerate, potere, presunzione e arroganza derivante da
ricchezza che, anche in questo caso, non è sinonimo di vera felicità. Le ottime
interpretazioni vengono esaltate dalla fotografia di Stanley Cortez
(quello di The Night of the Hunter,1955) e dalle inquadrature
scelte da Welles, poco convenzionali per l’epoca, dai piani sequenza
alle riprese dal basso. Anche se si resta un po’ con l’amaro in bocca per non
poter sapere come terminava la versione di Orson Welles, il film merita
senz’altro un’attenta visione. Singolare
la scelta dei titoli di coda letti dallo stesso O.W., con il
regista citato per ultimo (come si è soliti fare nei titoli di testa). 4
Nomination Oscar (miglior film, Agnes Moorehead non protagonista,
fotografia e scenografia).
Nessun commento:
Posta un commento