Le famiglie asiatiche protagoniste (con le loro culture) di questo gruppo sono cinesi (per i due film di Wayne Wang), indiane (2 di Mira Nair) e afghane (in questo caso regista americano ma sceneggiatura “afghana”). I migliori della cinquina, che su IMDb ha rating medi 7,3 e 91% su RT, sono senz'altro The Joy Luck Club e The Big Sick, sotto ogni punto di vista, e per questo ne consiglio la visione.
Chan is Missing (Wayne Wang, 1982, USA)
Si tratta di
film indipendente, con minimo budget e per questo girato a 16mm, solo
successivamente ingrandito a 35mm per le sale. Si tratta del primo
lungometraggio diretto dal solo Wang e tratta di due amici tassisti che
vorrebbero recuperare una certa somma dal Chan del titolo. Le discussioni fra i
due sono a volte esilaranti, specialmente quando tentano di giustificare e
spiegare i modi di pensare e di agire dei loro compaesani che popolano la Chinatown
di San Francisco. Col passare degli anni, è diventato un cult.
The Joy Luck Club (Wayne Wang,
1993, USA)
Molto articolato e ben più lungo di Chan is Missing, vanta un ricco cast di ottimo livello, narrando le storie di quattro amiche cinesi (nate e cresciute in Asia) e delle loro figlie nate in America. Le prime conservano molto della mentalità cinese e sono ancora condizionate dagli eventi sofferti prima di emigrare, che comprendono anche infanticidi, suicidi, abbandoni, divorzi e matrimoni combinati. Questi loro trascorsi vissuti in Cina, per lo più tragici anche se spesso in famiglie più che abbienti, sono narrati in flashback con belle scenografie e costumi. Le loro esperienze in un modo o nell’altro condizionano i rapporti talvolta quasi morbosi con le figlie che, essendo quasi del tutto americanizzate, vivono situazioni di amore/odio con le proprie madri. Nel corso di tutto il film si apprezzano (oltre alle solite appetitosissime tavole imbandite con una gran varietà di pietanze) le nette differenze di accento fra gli adulti (immigrati) e i giovani che si sentono americani a tutti gli effetti.
The Big Sick (Michael Showalter, 2017, USA)
Curiosa la
storia di questo film, quasi autobiografico per Kumail Nanjiani,
sceneggiatore che ricopre anche il ruolo di protagonista (praticamente sé
stesso): un comedian afghano, ma nato in USA. Figlio di uno psichiatra, è quasi
oppresso dalla madre che vorrebbe che sposasse una brava afghana di famiglia
tradizionale e di comprovata fede e per questo invita regolarmente a cena
possibili spose. Ovviamente le cose non vanno come i genitori vorrebbero e il
flirt con una ragazza americana avrà sviluppi del tutto imprevisti
(sostanzialmente veri). Questa commedia ha i suoi momenti migliori nei rapporti
del protagonista sia con i suoi familiari che con i genitori della ragazza, che
da soli valgono la visione, mentre le parti strettamente romantiche e gli
stralci degli spettacoli (comici?) sono di media banalità ma non proprio malvagie.
Proprio per le argute e credibili (anche se apparentemente incredibili) scene
familiari, ottenne la Nomination Oscar per la sceneggiatura originale.
The Namesake (Mira Nair, 2006,
USA)
Non lo inserirei
fra i migliori della regista indiana che si fece conoscere con il drammatico Salaam
Bombay! (1988, Nomination Oscar, premiato a Cannes) e poi ottenne grande
successo di pubblico con la dramedy Monsoon Wedding (2001,
premiato a Venezia). Tuttavia, il film ha i suoi meriti nonostante una storia
che si sviluppa nell’arco di vari decenni fra India e Stati Uniti. Come quasi
sempre accade, le nuove generazioni nate in USA non la pensano come i genitori
e i contrasti sorgono per modi di vita, aspirazioni e compagnie.
Mississippi Masala (Mira Nair, 1991, USA)
Secondo film di Mira
Nair, il primo girato in USA. Si differenzia dal resto perché aggiunge ai
soliti problemi di integrazione degli immigrati asiatici, quelli dei rapporti
con gli afroamericani discendenti degli schiavi portati a forza dall’Africa. Per
complicare le cose, i membri della famiglia di etnia indiana (ma nati in
Uganda) giungono in Mississippi dopo essere stati costretti a lasciare il paese
dal dittatore Amin (1972, espulsione di tutti gli asiatici). Quindi, i contrasti
familiari si sviluppano fra gli afroamericani (che certo non hanno avuto vita
facile negli stati del sud) e asiatici cacciati dall’Africa secondo la teoria
di Amin che quel continente dovesse essere solo per i Black Africans. A
nulla valgono le idee di fratellanza portate avanti da qualche protagonista che
sostiene che loro sono tutti in contrasto con i bianchi mentre loro,
così come i gialli, sono tutti colored e quindi nella
stessa barca. Argomenti interessanti, ma trattati troppo superficialmente in
questa dramedy.
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