Solo due hanno qualcosa in comune, vale a dire la regista ungherese Márta Mészáros; li affiancano due moderne e singolari produzioni (una colombiana e l’altra coreana) e un classico cult horror americano (ma diverso da quelli standard) con l’immancabile Vincent Price. Sostanzialmente, chi per una ragione chi per un’altra, tutti meritano una visione.
Moonlit Winter (Lim Dae Hyung, 2019, Kor)
Ennesimo buon
film coreano, girato con pochissimi mezzi e ridottissimo cast (e immagino anche
budget). Molto sottile (stracolmo di white lies) il modo in cui una
ragazza cerca di far incontrare alla madre una sua vecchia grande amica della
quale non sa più niente da una ventina di anni. La singolare narrazione alterna
scene in Corea che descrivono i rapporti fra madre e figlia, fra questa ed il
suo quasi fidanzato, e il marito/padre separato a quelle in Giappone dove la
vecchia amica vive con una zia ed un gatto. Una lettera rivelatrice è lo spunto
per l’organizzazione di un viaggio imprevisto, ma anche la preparazione
dell’incontro a sorpresa non sarà priva di intoppi. Miglior film al Korea
Film Fest di Firenze, So-hye Kim (la ragazza) giudicata miglior
attrice dai critici di Busan, ma anche le altre attrici sono più che
convincenti.
The Tingler (William Castle,
1959, USA) tit. it. Il mostro di
sangue
Tipo particolare
William Castle, specializzato in film a basso budget, ma non per questo
sempre B-movies; produttore non solo di suoi film ma anche di titoli
come The Lady from Shanghai (1947, Orson Welles,
recuperatelo!). Abile promotore dei delle sue opere, spesso appariva nei
trailer o nei film con un cameo (come Hitchcock) o, in qualità di presentatore,
nelle prime scene metteva in guardia gli spettatori sensibili del terrore che
avrebbero provato. In questo senso fu a volte molto creativo nello spaventare il
pubblico fisicamente facendo scendere uno scheletro davanti allo schermo durante
le proiezioni di House on Haunted Hill (1959) o elettrificando le
poltrone della sala provocando poi piccole scosse nei momenti topici di The
Tingler. Trama originale per questo horror che però ha tanto di noir e
di thriller, con Vincent Price che non interpreta un mostro e neanche un
uomo particolarmente malvagio (è un ricercatore/dottore), nonostante l'insulso titolo
italiano (Il mostro di sangue) si vede solo un piccolo casuale taglio su
una mano, il mostro appare ingegnosamente come un’ombra dietro un lenzuolo e
poi lo si vedrà nelle sembianze di un incrocio fra una scolopendra e un
crostaceo marino. Dopo molte sorprese, il film si conclude un po’ drasticamente
ma ci sono tutte le ragioni per essere considerato un cult del genere.
El día de la cabra aka Bad Lucky Goat (Samir Oliveros, 2017, Col)
Opera prima del
regista/sceneggiatore Samir Oliveros; si svolge nell’arco di 24 ore
sull’isola caraibica di Providenciales (Turks and Caicos) e pare sia il primo
film interamente parlato in creolo (di derivazione inglese, simile al
giamaicano). Avventure e disavventure di un fratello e una sorella che vanno
molto poco d’accordo, punteggiate da incontri con singolari personaggi da
malavitosi a poliziotti e a musicisti che suonano reggae con strumenti molto
improvvisati; ovviamente ci sono alcune capre e non mancano i riferimenti allo
spiritismo classico di quell’area. Film prodotto con minimo budget,
interpretato da attori non professionisti, senza riprese in studio ma solo in
pochi interni autentici e per il resto nello splendore dell’ambiente naturale.
Assolutamente senza pretese, risulta comunque piacevole e i numerosi twist e
sorprese sono ben distribuiti e per la maggior parte assolutamente originali.
The Girl (Márta Mészáros,
1968, Hun)
Lavoro di esordio
di una delle più apprezzate registe magiare che vede protagonista una ragazza
irrequieta cresciuta in un orfanatrofio della capitale. Da Budapest effettua un
breve viaggio in un paesino di campagna per conoscere sua madre naturale (che
l’aveva abbandonata) e incontrerà tante persone che evidenziano sempre la sua
evidente provenienza quasi borghese. Fra i tanti ci sono anche vari ragazzi
dalla mentalità moderna e un uomo che potrebbe essere suo padre. Girato in
forma realistica, mostra uno spaccato della società ungherese dell’epoca, fra
idee tradizionaliste e influenza russa che contrastano con stile e musica
occidentale di quegli anni. La narrazione essenziale e ben costruita, con una
buona fotografia bianco e nero, ricorda quella di Éric Rohmer.
Diary for My Children (Márta
Mészáros, 1984, Hun)
Rispetto a The girl, questo è molto più drammatico e politico ed oltretutto si riferisce agli anni fra fine ’40 e inizi ’50, quando molti ungheresi pensavano di essere tornati liberi dopo l’occupazione nazista mentre i russi arrivati come liberatori prendevano lentamente il potere. Viene presentata una Budapest nella quale vari ceti sociali (militari e collaborazionisti) vivono nei ricchi palazzi che furono di nobili e/o potenti e si ritrovano nei teatri e alle sfilate di moda. Un’altra (gran) parte della popolazione deve invece sottostare alle direttive dei dirigenti filorussi anche quando prendono decisioni sbagliate. Anche in questo film la protagonista è un’orfana che però viene portata nella capitale con alcuni parenti, ma fra questi e la madre adottiva che li ospita ci saranno vari attriti. Nonostante la giovane età (17 anni) la giovane si ribella continuamente agli ordini della nuova madre, che è una militare che stravede per i russi ed il loro regime. Interessante e ben girato, più che degno esempio della scuola magiara, purtroppo spesso sottovalutata o addirittura sconosciuta ai più.
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