Altri 3 titoli della rassegna Filmare la catastrofe, una sorprendente rarità di Ulrike Ottinger girata in Mongolia e il pessimo ultimo film di Clint Eastwood.
Johanna D'Arc of Mongolia (Ulrike Ottinger, 1989, USA)
Il film che non ti aspetti … ero stato attratto in particolare dalla location in Mongolia e dalle poche anticipazioni della trama, ma si è rivelato migliore di ogni mia più rosea aspettativa. In breve: si inizia nei vagoni della Transiberiana con un nutrito gruppo di personaggi a dir poco fuori del comune e si continua a seguire un gruppo di donne che trasbordano sulla Transmongolica finché il treno non viene assalito da “bandite” che le prendono in ostaggio. A questo punto il film cambia registro e comincia ad essere più documentaristico, ma senza rinunciare a situazioni da commedia derivanti dall’evidente cultural clash. Lo humor non viene meno, senza mai essere grossolano, i costumi mongoli dai colori sgargianti e gli infiniti spazi aperti (che includono deserti, steppe e pietraie) sono a di poco spettacolari. La prima parte, grazie ad una geniale scelta di personaggi, già difficile da incontrare separatamente immaginateli tutti insieme su un treno, risulta ironica e graffiante! L’incontro fra l'antropologa, la backpacker, l’insegnate di liceo, il trio di cantanti (le Kalinka Sisters), il superdecorato generale sovietico con attendente, l’artista, la star americana è esplosivo, e al gruppo si aggiungono i membri del personale delle carrozze vip del treno, che non sono meno eccentrici. Come metro di paragone pensate che l'ora è mezza di Cry Macho, mi è sembrata quasi più lunga delle 2h45' di questo film di Ulrike Ottinger, una delle poche rappresentanti del nuovo cinema tedesco insieme con Margarethe von Trotta, al fianco dei tanti bravi registi molti dei quali, però, si sono poi convertiti al cinema più commerciale come Wim Wenders e, saltuariamente, Herzog. La regista e sceneggiatrice del film era in sala e ha introdotto la visione del film, evidenziando il particolare coinvolgimento del cast mongolo.
Deluge (Felix E. Feist, 1933, USA)
Dopo che
scadenti copie sono state le uniche disponibili per molti anni, nel 2016 è stato
infine ritrovato un ottimo negativo completo, poi anche restaurato e
digitalizzato. Non è certo un capolavoro, ma trova un suo spazio nella storia
del cinema per gli innovativi effetti speciali, e più specificatamente per le
catastrofi naturali, mostrati nella prima parte. Una decina di minuti fra
terremoti e tsunami con una estesa miniatura di New York che pian piano viene
distrutta dagli eventi catastrofici. Pur essendo un prodotto low budget ebbe
subito grande successo arrivando nelle sale pochi mesi dopo il famoso primo King
Kong che tanto aveva impressionato il pubblico per simili motivi. In
verità gli effetti si fermano lì e poi il film continua accostandosi a vari
generi, prima avventura, poi western dei pionieri e infine sentimentale.
Dead Man's Letters (Konstantin Lopushanskiy, 1986, URSS)
Il caso volle
che questo film, che narra di una società che vive praticamente segregata in
una città distrutta da esplosioni nucleari, uscisse nello stesso anno del vero
incidente di Chernobyl. Il regista era stato in precedenza assistente di Tarkovskij
e, guardando il film, sembra ne sia stato influenzato in quanto a stile. Forse
è più filosofico-morale che fantascientifico (specialmente con il senno di
poi), le lettere lette dal protagonista sono indirizzate a suo figlio che, tuttavia,
non compare mai.
Soylent Green (Richard Fleischer, 1973, USA)
Ultimo film interpretato,
in un ruolo secondario, da Edward G. Robinson che morì prima dell’uscita
del film che fu anche l’ultimo prodotto negli studios della MGM. Il
protagonista di questa storia è un poliziotto onesto e cocciuto (Charlton
Heston) che, a partire da un misterioso omicidio che si vuole far passare
come conseguenza di rapina, risale ai gestori di un diabolico progetto di
nutrizione (il cibo convenzionale è sparito da anni e si trova solo a mercato
nero).
Cry Macho (Clint Eastwood, 2021, USA)
Avevo già notato
le stroncature di critica (appena 60% su RT e 59 su Metascore) e
di pubblico (5,5 su IMDb) ma avendo rispetto per i trascorsi di Clint
Eastwood ho voluto guardare comunque questo film prima di rifiutarne la
visione alla cieca. Essendo poi andato a scorrere i commenti su IMDb, penso
che molti siano stati troppo buoni nei loro giudizi … storia senza senso,
dialoghi pessimi, attori scadenti (anche Clint, anche se a 91 anni può
avere le sue ragioni, non è per questo giustificato) a cominciare da quello che
dovrebbe essere un tredicenne messicano ribelle. Di tramonti nel deserto ne
abbiamo visti tanti, superfluo riproporne altri inutilmente. Le scene migliori
sono forse quelle quando il film diventa sdolcinato nel corso della prolungata
sosta in un paesino messicano. Un film di circa un’ora e mezza che mi è
sembrato lunghissimo; un nonsense assoluto ma certamente non del tipo geniale
di commedie come quelle dei Monty Python. Scegliete voi se andare a
guardarlo o meno … ma ricordate che siete stati avvertiti!
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