mercoledì 1 settembre 2021

Micro-recensioni 226-230: Messico e Venezuela (ma solo come ambientazione)

Cinquina messicana per lo più dell'epoca d'oro completata con un cult del ‘67 molto sui generis che vanta un ottimo rating su IMDb 7,8. Due sono ambientati in Venezuela e adattati da romanzi di Rómulo Gallegos, le due Doña dei titoli sono interpretate da Maria Felix. Ho completato con un discreto e originale noir musicale che mi mancava.

Los Caifanes (Juan Ibáñez, 1967, Mex)

Una coppia di giovani borghesi rimasti appiedati dopo una festa e colti da un temporale si uniscono a quattro balordi a dir poco irrequieti, ma certo non delinquenti. Fra la ritrosia del ragazzo e l’eccitazione della ragazza, ne combineranno di cotte e di crude vivendo una notte brava e itinerante in vari ambienti di Ciudad de Mexico, introducendosi perfino in una casa funeraria. Perfettamente calzante la colonna sonora con pezzi popolari all’epoca, ma molto vari. Sceneggiatura e dialoghi ben combinati tengono sempre gli spettatori un po’ in ansia per non poter prevedere come si svilupperanno le varie situazioni, spesso oltre il limite della legalità e del buon gusto. In tutto ciò non manca la critica sociale mettendo a confronto idee, aspirazioni e comportamenti dei tanti singolari personaggi della notte della capitale messicana, oltre che dei 6 protagonisti, dai caratteri molto diversi.   

 

Doña Bárbara
(Fernando de Fuentes, 1943, Mex)

Primo dei due film basati su romanzi del famoso scrittore venezuelano Rómulo Gallegos (fu anche Presidente del Venezuela) e sono pietre miliari di quel genere di film diciamo esotici (per i messicani) che si sviluppano fra i latifondi di quel paese sudamericano, un territorio immenso fra selva e savana, all’epoca senza legge e popolato da avventurieri di ogni tipo e provenienza. Doña Bárbara (romanzo del 1929) è interpretata da Maria Felix, perfetta nel ruolo di donna indipendente e combattiva, che dominava gli uomini anche in quell’ambiente inospitale. Altrettanto calzanti il sempre bravo Andrés Soler (circa 200 film con i migliori registi messicani) nei panni dell’alcolizzato andato in rovina, suo fratello Julián (il più giovane dei 4 attori) nelle vesti del giovane che vuole riprendere possesso di quanto suo e Charles Rooner (viennese) che ovviamente interpreta l’avido avventuriero europeo senza scrupoli. Certamente si avvantaggia di un interessante soggetto ben strutturato, ma egualmente si apprezza l’adattamento dello stesso regista Fernando de Fuentes.

Canaima (Juan Bustillo Oro, 1945, Mex)

Ambientazione molto simile a quella di Doña Bárbara ed anche in questo caso l’adattamento del romanzo del 1935 elaborato dal regista Juan Bustillo Oro. Pure il cast è di gran livello contando su Jorge Negrete (famosissimo cantante e attore, qui protagonista), Rosario Granados (giovane diva argentina), Carlos López Moctezuma (villano per antonomasia, almeno in 200 dei suoi 219 film) e di nuovo Andrés Soler. Ancor più che nell’altro, qui si nota molto la parlata venezuelana che, all’orecchio, suona molto simile alla cadenza genovese. A chi interessa l’argomento, suggerisco di entrambe i film e, casomai, leggere i romanzi.

 

Doña Diabla
(Tito Davison, 1949, Mex)

Oltre all’assonanza del titolo, questo film ha in comune con Doña Bárbara l’ossatura della trama, la storia di un’avvenente e indipendente donna matura (in entrambe i casi interpretata da Maria Felix) che cerca rivincita nei confronti degli uomini e si trova ad avere come rivale in amore sua figlia. Ma qui siamo in ambiente borghese messicano e non nella parte più selvaggia del Venezuela e i finali sono ben diversi. La storia viene narrata in flashback, dopo che la protagonista commette un omicidio e si rifugia in una chiesa dove racconta il suo passato al sacerdote che la confessa.

Han matado a Tongolele (Roberto Gavaldón, 1948, Mex) la protagonista Maria Felix e

Noir - musicale del quale avevo letto citazioni e visto molte foto. Tongolele fu una delle più famose ballerine dell'epoca, di sangue molto misto, nata negli Stati Uniti e poi trasferitasi in Messico, ma di discendenza tahitiana ed europea (inglese, svedese, francese), dall'aspetto inconfondibile per la sua ciocca di capelli bianchi (caso di piebaldismo, come quello di Aldo Moro). 


In questo film (il suo terzo, il primo da protagonista) aveva appena 16 anni ma era già una star del palcoscenico, fatto evidente visto che il suo nome fu inserito addirittura nel titolo. Tutto si svolge nel corso di uno spettacolo teatrale nel quale ovviamente lei è la prima ballerina e si esibisce in parecchie affollate coreografie, alternandosi a illusionisti, ballerini di flamenco e comici. Dopo un anno di grandi successi, doveva essere lo spettacolo di addio in quanto aveva deciso di abbandonare l’attività per sposarsi, ma non tutti erano contenti della sua scelta. In quel paio d'ore fra vecchi pretendenti che irrompono nel suo camerino, colleghe gelose e illusionisti cinesi succede più o meno di tutto compreso un efferato omicidio con conseguente intervento della polizia, caso risolto dal futuro sposo fra pistolettate e inseguimenti dietro le quinte mentre un leopardo si aggira nel teatro. Con la solita buona regia di Gavaldón, scorre piacevolmente e con un po’ di suspense; forse troppe scene sul palcoscenico, ma il grande pubblico pagava per ammirare Tongolele.

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