domenica 31 maggio 2020

Micro-recensioni 191-195: altre 5 commedie del XX secolo

Quasi tutte poco conosciute, eppure mediamente più che buone soprattutto quelle graffianti, fra grottesco e humor nero. Due francesi, due americane e una spagnola, prodotte fra 1962 e il 1997. La commedia forse più nota, dei generalmente apprezzati fratelli Coen, è senz’altro la più deludente.
Familia (Fernando León de Aranoa, Spa, 1996)
Si tratta una commedia grottesca più che buona, della quale nel 2012 fu realizzato un remake (Una famiglia perfetta) diretto da Paolo Genovese, con Sergio Castellitto nelle vesti di protagonista, ma anche in questo caso il remake non vale l’originale.
Familia segna l’esordio di Fernando León de Aranoa, regista molto poco prolifico, solo 8 film in una trentina di anni, il più recente dei quali è il discusso Loving Pablo (2017), con Javier Bardem e Penélope Cruz. I primi, come Barrio (1998) e Los lunes al sol (2002), al contrario sono stati quelli più apprezzati da pubblico e critica. A dire il vero, non mi aspettavo molto, ma la messa in scena e le interpretazioni, tutte convincenti, mi hanno positivamente sorpreso e senz’altro lo consiglio, possibilmente in versione originale. In particolare quando un film si basa su rapporti fra amici e/o familiari, i dialoghi sono infarciti di modi di dire, frasi fatte e forme colloquiali, spesso intraducibili in altre lingue con pari effetto.

Wag the Dog (Barry Levinson, USA, 1997)
Distribuito in Italia con il titolo Sesso e potere, l’essenza del soggetto mi ha inevitabilmente ricordato La dictatura perfecta (2014, Mex, Luis Estrada), ma non è assolutamente un remake. Nel primo il fixer Robert deNiro è impegnato a distrarre l’attenzione mediatica da un possibile scandalo sessuale alla Casa Bianca, nel secondo viene creato di rapimento per coprire un lampante caso di corruzione con consegna di valigetta piena di contanti, registrata in video e trasmessa. In Wag the Dog l’operazione si conta sulla collaborazione di un produttore cinematografico (Dustin Hoffmann), nel film messicano è quasi tutto realizzato da uno studio televisivo. Le parti più divertenti e geniali (tristemente vere) sono quelle della creazione di set e immagini da propinare al pubblico, spesso con spiegazione dei motivi. Guardando questo film, molti sospetteranno che gran parte di quanto propinato dalle tv sono fake. Ottenne
2 Nomination Oscar (Dustin Hoffmann protagonista e sceneggiatura, nonché il Premio Speciale della Giuria a Barry Levinson a Berlino).
Piacevole sorpresa, merita una visione.
Cléo de 5 à 7 (Agnès Varda, Fra, 1962)
Secondo film della regista belga, l’unica donna del gruppo dei fondatori della Nouvelle Vague, autrice di 22 corti e solo 12 lungometraggi; questo è il suo secondo dopo La Pointe-Courte (1956). Si svolge in tempo quasi reale in un pomeriggio parigino, seguendo il girovagare di una nota cantante sull’orlo dell’ipocondria, in attesa dei risultati di analisi mediche. La storia è relativamente poco importante, ciò che dà valore al film è la tecnica, in assoluto stile Nouvelle Vague. Particolari sono le tante soggettive che ritraggono gente per strada che, ignara di cosa stia succedendo, guarda sorpresa l’operatore. Anche tempi e dialoghi sono studiati ad arte. Chi apprezza questo stile non rimarrà certamente deluso, mentre chi è abituato a strutture e tecniche più canoniche resterà probabilmente perplesso.

Les aventures de Rabbi Jacob (Gérard Oury, Fra, 1973)
La sceneggiatura è buona e scorre fluida fra mille equivoci, scambi di persone e ribaltamenti di situazioni, sullo sfondo di razzismo, antisemitismo, terrorismo, un matrimonio, un sequestro, e tanto altro.  Peccato per l’esagerata attuazione di Luis de Funès, ma si sa che il gesticolare e le tante smorfie furono la sua caratteristica comica dopo aver iniziato con film più seri e commedie più moderate come La traversata di Parigi (1956, di Claude Autant-Lara), al fianco di Jean Gabin e Bourvil. Sorprende la presenza di Renzo Montagnani in un ruolo non proprio secondario … ma all’epoca aveva appena iniziato la sua carriera da protagonista di commedie all’italiana.  
Pur essendo chiaramente insensato e grottesco, può valere la pena guardarlo per un’ora e mezza di distrazione.

Arizona Junior (Joel Coen, Ethan Coen, USA, 1987)
Uno dei più deludenti film dei fratelli Coen, che in generale apprezzo specialmente per il loro dark humor. In questo caso, alla sceneggiatura a dir poco scadente si aggiunge un cast traballante, con tante performance troppo sopra le righe, sequenze da cartoon, ogni occasione sembra buona per urlare, alla fine i migliori risultano essere gli interpreti del poppante Arizona Junior e suo padre naturale. Una giustificazione potrebbe essere che questo fu il loro secondo film, ma dopo quello d’esordio (l’ottimo Blood Simple) ci si sarebbe aspettato molto di più. 

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