Ed eccoci la seconda decina, tutta
francese, ma meno registi contando su 2 film Melville, 3 di Mihaileanu
e 2 di Truffaut che però è anche al centro di uno dei due documentari
del gruppo insieme con Hitchcock. Il rimanente è una nota commedia del 1939 di Renoir,
un classico francese.
Come anticipato nel primo post
cinematografico 2020, sono finalmente riuscito a mettere le mani tu una buona
copia (restaurata) del primo film di Melville e nella stessa mediateca
ho recuperato anche l'ultimo dei suoi film che mi mancava, completando così la
visione dei suoi soli 13 film.
Le silence de la
mer (Jean-Pierre
Melville, Fra, 1949) tit. it. “Il silenzio del mare” * con Howard
Vernon, Nicole Stéphane, Jean-Marie Robain * IMDb 7,6 RT 100%
Deux hommes dans
Manhattan (Jean-Pierre Melville, Fra, 1959) * con Pierre
Grasset, Christiane Eudes, Ginger Hall * IMDb 6,7
Melville (“padrino” e “mentore” dei registi della Nouvelle
Vague) e Clouzot sono i miei preferiti registi francesi di metà
secolo scorso, soprattutto per i loro noir spesso esaltati da una ottima fotografia
bianco e nero. Eppure, questo innovativo e indipendente regista minimalista
girò Le silence de la mer con soli 27 giorni di effettive
riprese, ma distribuiti nell’arco di numerosi mesi. Infatti, andava a girare
solo dopo aver racimolato i franchi necessari (altro che milioni delle
produzioni moderne!) per acquistare la pellicola e pagare i due tecnici e i tre
attori e ciò gli creò qualche ovvi problemi di continuità … altri tempi!
I personaggi di questo adattamento dell’omonimo
racconto di Vercors sono un anziano e sua nipote che vivono in un
piccolo paesino e sono costretti ad ospitare un ufficiale nazista che si rivela
essere ben diverso da ciò che comunemente ci si potrebbe aspettare. Ben girato,
conta su interessanti riprese, belle inquadrature e buone interpretazioni ed è
un cult francese non solo fra i cinefili, ma anche fra i cineasti.
Particolare anche Deux hommes
dans Manhattan, titolo tradotto letteralmente in ogni altra lingua, ma in
Italia a “Due uomini a Manhattan” si preferì “Le jene del quarto
potere”! Ancora una volta, da indipendente qual era, oltre che regista e autore
(sceneggiò 12 dei suoi 13 film) in questo caso Melville fu anche attore
e primo protagonista e il cast comprendeva ben 15 debuttanti, per 7 dei quali quella
fu la loro unica apparizione sullo schermo.
Si tratta di un noir quasi on the road ambientato,
come dice il titolo, a Manhattan e si svolge praticamente in una sola lunga
nottata. La trama è molto semplice: il giornalista Moreau (Melville) viene
incaricato di investigare in merito all’inattesa assenza di un delegato
francese ad una importante seduta all’ONU. Accompagnato da un fotoreporter
alcolizzato e senza scrupoli, vagherà fra night club, bar, abitazioni private,
ospedali, seguito da una misteriosa auto.
Mi sono molto piaciuti
entrambi, certamente non sono paragonabili ai classici americani del genere ma
ciò non significa assolutamente che siano inferiori, li definirei piuttosto un’alternativa
allo stile hollywoodiano.
Cercavo il film Train de vie
(1998) di Radu Mihaileanu ma, non avendolo trovato ho ripiegato sui suoi
tre film successivi, praticamente la metà della sua produzione complessiva che
ammonta a soli 6 film, prodotti fra il 1993 e il 2016, dei quali è stato anche
sceneggiatore. Questo regista rumeno, di origini ebraiche, emigrò in Francia
nel 1980 (22enne) e lì iniziò la sua carriera cinematografica. Spesso le
questioni etniche sotto state al centro dei suoi film, proponendole sotto varie
forme, dalle più drammatiche alla commedia grottesca.
Va, vis et deviens (Radu Mihaileanu, Fra,2005) * con Yaël Abecassis,
Roschdy Zem, Moshe Agazai * IMDb 7,9 RT 88% * 3 Premi a Berlino
Le concert (Radu Mihaileanu,
Fra, 2009) * con Aleksey Guskov, Mélanie
Laurent, Dmitriy Nazarov * IMDb 7,6 RT 71% * Nomination Golden Globe
La source des
femmes (Radu Mihaileanu,
Fra, 2011) * con Leïla Bekhti, Hafsia Herzi, Hiam Abbass * IMDb 7,3 RT 70%
Dei tre, il primo si è rivelato molto
interessante storicamente e socialmente per occuparsi di una storia relativa
all’Operazione Mosè (metà anni ’80, gestita da Mossad, CIA e NSA) con la
quale Israele facilitò l’immigrazione di migliaia di falasha (etiopi
di colore, di religione ebraica) fuggiti dal loro paese - dove erano perseguitati
- verso il Sudan (per lo più islamico) dove sopravvivevano in campi profughi. Si
seguono le vicissitudini di un ragazzino cristiano che riesce a fuggire
facendosi passare per falasha.
Ovviamente, pur godendo di un a vita
infinitamente migliore, l’inserimento nella società israeliana non sarà tutta
rose e fiori. In particolare, colore della pelle e religione saranno le sue
principali preoccupazioni. Argomenti difficili ma abbastanza ben trattati, per
quel che mi è parso di capire senza grandi esagerazioni e quindi film non
chiaramente schierato da alcun lato.
Il secondo è quello che mi è piaciuto
di più essendo una graffiante commedia grottesca, ambientata fra ex musicisti del
Bolshoi, radiati all’epoca di Breznev. Riusciranno ad avere la loro rivincita
esibendosi a Parigi sotto mentite spoglie?
Mihaileanu non risparmia nessuno: i russi in generale, la vecchia
guardia dai comunisti di Breznev, il KGB,
i nuovi comunisti, gli oligarchi del gas, gli ebrei, i gitani, i francesi e,
dal punto di vista professionale, gli impresari teatrali.
Se si è amanti della musica sinfonica, in
particolare del Concerto per violino e orchestra in re maggiore op. 35 di Tchaikovsky
(ai più il titolo non dirà niente ma sono certo che ognuno lo conosce per
averlo sentito in più occasioni) il film piacerà ancor di più e nel lungo
finale lo si ascolterà in gran parte mentre scorrono le immagini dell’esecuzione,
alternate con quelle che mostrano ciò che avviene da un’altra parte e ciò che
avverrà successivamente … senza dialoghi, solo musica!
Proponendo una rapida successione di
eventi al limite del credibile, o addirittura palesemente incredibili, il film mantiene
un ottimo ritmo con numerose sorprese delle quali solo poche sono prevedibili
nei termini in cui avvengono. Più che positivo lo consiglio senz’altro.
Dopo queste due visioni, il terzo e
ultimo in verità mi ha deluso. Ambientato in Marocco, parte male e si sviluppa
peggio fra religione e femminismo. La particolare scenografia e i bei costumi certamente
non bastano e le interpretazioni (in particolari quelle maschili) non sono di
gran livello. Oltretutto, anche se non dichiarato nei credits, è un ennesimo
adattamento della Lisistrata di Aristofane (411 a.C., oltre
24 secoli fa!).
Esauriti questi due blocchi passo al resto.
Tirez sur le
pianiste (François
Truffaut, Fra,1960) * con Charles Aznavour, Marie Dubois, Nicole Berger * IMDb 7,5
RT 93%
La peau douce (François Truffaut, Fra,1964) * Jean Desailly, Françoise
Dorléac, Nelly Benedetti * IMDb 7,5 RT 88%
Hitchcock/Truffaut (Kent Jones, Fra, 2015) * con Mathieu Amalric,
Wes Anderson, Peter Bogdanovich * IMDb 7,4 RT 96%
Ho scritto due film e mezzo di Truffaut in quanto ai due interessanti da
lui diretti (Tirez sur le pianiste e La peau douce,
un quasi noir il primo, commedia sentimentale/drammatica il secondo) si
aggiunge il ben noto documentario Hitchcock/Truffaut (di Kent
Jones, 2015) che mette insieme parte delle riprese effettuate durante la
famosa intervista/dialogo fra i due con spezzoni di interviste e commenti altri
registi fra i quali ci sono Scorsese, Bogdanovich e Anderson.
La règle du jeu (Jean Renoir, Fra,
1939) * con Marcel Dalio, Nora Gregor, Paulette Dubost * IMDb 8,1 RT 98%
Le mystère Picasso (Henri-Georges Clouzot, Fra, 1959) * con Pablo Picasso, Henri-Georges Clouzot * IMDb 7,7
RT 86%
Questi ultimi due sono un altro
documentario ben più difficile (e per me deludente) e una commedia, pietra miliare
del cinema d’oltralpe. Clouzot (che apprezzo molto come regista di
fiction) ottenne il permesso di filmare Picasso mentre disegnava e così
realizzò Le mystère Picasso (1956). Pur contando su due geni
artistici, il documentario non riesce a coinvolgere del tutto gli spettatori
che, a meno che non siano effettivamente grandi intenditori di arte in
particolare delle tecniche di Picasso, troveranno interessanti poche scene manoioso
il film nella sua interezza.La règle du jeu (1939) di Renoir è una commedia oserei dire “sociale”,
che critica sia i comportamenti dei nobiltà, aristocratici e arricchiti
francesi, sia quelli della numerosa servitù (da quella di casa ai guardiacaccia
e ai battitori) presente nella enorme residenza di campagna nella quale si svolge
la maggior parte della storia.
Le vicende si intrecceranno in questa
commedia a tratti divertente, ma troppo spesso tendente al ridicolo. Comunque
un film del girato.
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