domenica 3 giugno 2018

Cinema classico giapponese: "L'arpa birmana" (1956)

Avendo trovato un buon “canale”, ho messo mano ad approfondire la mia conoscenza del cinema giapponese classico seguendo i suggerimenti riportati in questa pagina dell’ottimo sito mubi.com.
Dei 30 scelti in un ampio lasso di tempo (da The Only Son di Ozu del ‘36 a Audition di Miike del ’99), dei quali ben 23 appartengono al periodo 1949-1964 con tanti lavori di Kurosawa, Mizoguchi, Ozu, ne avevo già visti circa una metà e ho cominciato a colmare le mie lacune più o meno dall’alto della lista (che non definirei classifica) con un film che inseguivo da molto tempo: 

153 - L’arpa birmana (Kon Ichikawa, Jap, 1956) 
tit. or. Biruma no tategoto” 
IMDb  8,1  RT 91% 
con Rentarô Mikuni, Shôji Yasui, Tatsuya Mihashi
Nomination Oscar film non in lingua inglese
3 Premi speciali e Nomination Leone d’Oro a Venezia
   
Questo famoso film di (fine) guerra è stato definito, giustamente, non solo antibellico e pacifista, ma anche religioso, poetico e filosofico. La sceneggiatura, adattata dal romanzo di Michio Takeyama, narra della fine della II guerra mondiale ed in particolare di un plotone di soldati giapponesi che vengono a conoscenza della notizia mentre sono più o meno sbandati in Birmania. Il tutto è visto da un'ottica particolare, proponendo non solo i più o meno comuni episodi di cameratismo, disperazione, speranza di tornare a casa (in questo caso molto lontana), lotta per la sopravvivenza, eroismo e nazionalismo esasperato ma anche l'evoluzione della coscienza del protagonista, il soldato Mizushima (Shôji Yasui)
Le impressionanti immagini degli innumerevoli cadaveri abbandonati che coprono aree intere sono state riprese in tanti film moderni che tuttavia tendono spesso più al cruento e allo splatter dimenticandosi del vero messaggio.
Altro elemento fondamentale che accompagna il gruppo di soldati nel corso dell'intero film è il canto. Il loro capitano, infatti, ha compiuto studi musicali con particolare riferimento ai cori e quindi li usa per animare i suoi subalterni invitandoli a cantare tutti insieme. E i cori cantati a gran voce, di solito in un crescendo e solo in qualche occasione con l'accompagnamento dell'arpa birmana, sono utilizzati anche per comunicare e per mascherare altro. La colonna sonora nel suo complesso apporta ulteriore emotività al film nel suo complesso.
Ben caratterizzati tutti i personaggi principali, oltre al protagonista spiccano le personalità del capitano e dell'anziana "ambulante" birmana che commercia con i soldati giapponesi detenuti al termine della guerra e speranzosi di essere rimpatriati. 
In conclusione, un gran bel film, pregno di contenuti e molto ben realizzato, supportato da ottime interpretazioni e bella fotografia, specialmente se si considera dove e quando il film è stato girato. 
In questo caso, al contrario di alcune visioni di film recenti forti di ottime recensioni, le mie aspettative non sono state assolutamente deluse.
Curiosamente, lo stesso Ichikawa diresse un remake (a colori) nel 1984, con lo stesso titolo, ma con molto minor successo (nel caso qualcuno volesse recuperare questo film stia quindi attento alla data). A mia memoria sono a conoscenza di un solo altro caso di film originale e remake diretto da uno stesso regista: Hitchcock ripropose The Man Who Knew too Much” (1934, b/n, con Leslie Banks, Edna Best e Peter Lorre22 anni più tardi in una versione a colori e oggi più conosciuta, con la coppia protagonista interpretata da due star dell'epoca quali James Stewart e Doris Day.
   
Continuerò questo mio viaggio cinematografico in estremo oriente con "When a Woman Ascends the Stairs" (Mikio Naruse, 1960) e "Anatomia di un rapimento" di (Akira Kurosawa, 1963).
   

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