Ray, novello Carneade del
mondo del cinema della seconda metà del secolo scorso, lodato e quasi osannato
dalla quasi totalità di critici cinematografici e registi competenti e di ampie
vedute, Oscar alla carriera nel 1992, nelle poche occasioni nelle quali fu
invitato a importanti rassegne europee raccolse numerosi premi (6 a Berlino, 2
a Cannes, 5 a Venezia).
In
questo post ho raccolto varie notizie e qualche commento di famose personalità
del Cinema, di una quindicina di suoi film ho di recente brevemente scritto nella
mia raccolta di micro-recensioni il 2017sarà "cinefilamente" ricco come il 2016?
Mi preme sottolineare che l’intento è semplicemente quello di incuriosire coloro che sanno poco o
niente di Satyajit Ray e spingerli a
documentarsi e a guardare almeno qualcuno dei suoi film. In rete si trovano
tanti approfondimenti e commenti attendibili e sapientemente esposti,
certamente migliori dei miei, e anche i video completi di numerose delle sue opere migliori.
Fra
i tanti, di lui hanno detto:
- “Uno dei 4 grandi del Cinema” (con Kurosawa, Bergman e Fellini) (Martin Scorsese)
- “Indubbiamente un gigante nel modo del Cinema” (Henri Cartier Bresson)
- “Devi (The Goddess) è “poesia su celluloide"” (Elia Kazan e William Wyler)
- “Non aver visto i film di Ray è come vivere senza vedere il sole o la luna” (Akira Kurosawa)
Si
deve sottolineare che Ray non fu
solo un ottimo regista, ma anche scrittore, sceneggiatore, grafico, editore,
critico, illustratore e calligrafo, tutte attività nelle quali si distinse e fu
molto apprezzato. Per chiarire l’essenza dell’ultima abilità citata, sappiate
che creò 4 set di caratteri tipografici latini (Ray Roman, Ray Bizarre, Daphnis e Holiday Script) oltre a numerosi altri indiani.
Da
sempre appassionato di Cinema, fondò un cineclub a Bombay e poi il Calcutta
Film Society proponendo tante pellicole americane ed europee. Nel 1950 Ray fu incoraggiato a proseguire la sua
attività dal regista francese Jean
Renoir che si trovava in Bengala per girare The River (tit. it. Il fiume) e successivamente, in viaggio
a Londra, ebbe modo di guardare Ladri di biciclette (1948) di Vittorio De Sica e si “convertì”
al neorealismo. Mise ben presto a frutto questa "illuminazione" nella sua trilogia di Apu: Pather
Panchali,
(1955, Il lamento sul sentiero), Aparajito (1956) Leone d'Oro al Venezia, Apur Sansar (Il mondo di Apu, 1959),
rispettivamente primo, secondo e quinto dei suoi 29 lungometraggi.
In
vari dei suoi migliori film Ray si
avvalse di soggetti tratti da romanzi o altri lavori di Rabindranath Tagore (1861-1941, premio
Nobel per la letteratura nel 1913, il primo assegnato a un non occidentale) il
quale ebbe grande influenza anche sulle sue altre sceneggiature.In conclusione, rinnovo il suggerimento di prendere in considerazione la visione dei suoi film. Fra quelli che ho visto, oltre alla trilogia, mi hanno particolarmente colpito The Music Room (1958), Devi (1960), Charulata (1964), Days and Nights in the Forest (1970), The Middleman (1975), The Home and the World (1984), Agantuk (1991). Tutti, secondo me, ottimi.
P.S.
- chi volesse fare bella figura, impari l’incredibile corretta pronuncia del suo nome
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