giovedì 28 aprile 2016

"JULIETA" (di Pedro Almodóvar, 2016)


Julieta (di Pedro Almodóvar, Spagna, 2016)
con Emma Suárez, Adriana Ugarte, Inma Cuesta, Dario Grandinetti, Michelle Jenner, Rossy de Palma
In concorso per la Palma d’oro al Festival di Cannes (11-22 maggio), uscirà in Italia il 26 maggio.

Questo ventesimo film di Almodóvar è un “melodramma drammatico” puro, senza compiacimenti, senza scene strappalacrime e senza alcuna concessione alla commedia. La sceneggiatura, messa insieme unendo e modernizzando 3 short stories di Alice Munro (Nobel per la letteratura 2013), è intricata al punto giusto. Fedele al peculiare stile della scrittrice canadese, la trama quasi si aggroviglia su sé stessa con frequenti flashback che permettono di seguire Julieta nell’arco di una trentina di anni, a partire quasi dalla fine.

Cast di tutto rispetto con uno stuolo di brave attrici, alcune delle quali danno il meglio di sé a cominciare dalle due Julieta, in effetti la stessa in epoche diverse, vale a dire Emma Suárez (attrice preferita del primo Medem: Vacas, La ardilla roja, Tierra) e Adriana Ugarte (più conosciuta come attrice televisiva). I ruoli maschili sono molto limitati, ma anche Dario Grandinetti (già con Almodóvar in Hable con ella) è assolutamente all’altezza delle sue colleghe e peccato che nella versione doppiata si perda il suo forte accento argentino. Non torno sull’argomento doppiaggio, affrontato di recente, ma se avete la pazienza di comparare il trailer italiano con quello originale (qui in basso, con sottotitoli in inglese) vi renderete conto che anche in questo caso il risultato non è dei migliori.
Julieta è una storia di incontri, di casualità, di cause ed effetti apparenti ma non certi, di abbandoni, allontanamenti e ritorni. Tutti i particolari hanno un senso e, come alcuni personaggi che appaiono in brevi scene, nella maggior parte dei casi rientrano in gioco o vengono citati successivamente in quanto essenziali per la completezza della narrazione.

Al termine della proiezione molti si troveranno a riflettere sull’evanescente limite fra amore e possessività, fra affetto ed egoismo - argomento sul quale praticamente si sviluppa tutta la storia - e per di più Almodóvar non si pronuncia chiaramente in merito a ciò e addirittura lascia agli spettatori libertà di scelta per immaginare il finale che preferiscono.

Perfino la canzone che fa da sottofondo ai titoli di coda (“Si no te vas”, nell’inconfondibile interpretazione di Chavela Vargas) non è stata scelta a caso considerato che le ultime parole sono "... si tu te vas, en ese mismo instante muero yo”. (se te ne vai, nello stesso istante io muoio).

Anche se una parte della critica si aspettava qualcosa di più dal manchego dopo 3 anni di assenza dopo lo scadente “Los amantes pasajeros “ (Gli amanti passeggeri, 2013), io mi schiero con quelli che, al contrario, lo pongono fra i suoi migliori film paragonandolo addirittura ad Hable con ella. Lo vedo come specchio della maturità raggiunta (tanto per usare una frase fatta) con la quasi maniacale cura dei dettagli, i tanti primi piani, la geniale transizione da una Julieta all’altra, la fotografia nitida e precisa, i colori ben definiti fra i quali spiccano i tanti rossi intenso che contrastano con tutto il resto cominciando con la scena d’apertura e proseguendo con  i vestiti, i sedili del treno, la torta di compleanno, il divano, l’auto, ... solo per citarne alcuni.
   
Per non apparire troppo di parte (e non lo sono assolutamente non essendo Almodóvar fra i miei registi preferiti, pur avendo visto 16 dei suoi film) voglio menzionare una “disattenzione” che ho notato, di quelle da inserire fra i goofs di IMDb: immediatamente dopo la frenata di emergenza del treno, a causa della quale cadono persone e bagagli, si vede la tazza sul tavolino della carrozza bar ferma dov’era. 


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