domenica 30 settembre 2018

Ingegnoso adattamento di un gioco delle feste di piazza

Da buon cinefilo, ho sempre guardato i film anche per quanto mostravano della vita quotidiana di tempi e luoghi distanti, includendo cibi e loro preparazione, feste, riti, tradizioni e giochi popolari. In particolare questi mi hanno sempre appassionato e attirano la mia attenzione per mantenersi simili nei secoli e a migliaia di chilometri di distanza. Proprio pochi mesi fa scrissi del gioco Cavallo cavallo mantieneme ‘ntuosto, già rappresentato in un dipinto di Bruegel nel lontano 1560 e al quale in Corea sono stati addirittura dedicati monumenti.
Questo post nasce invece dall’essermi imbattuto in una geniale variante di un gioco popolare, per lo più estivo, praticato nelle feste di piazza dalle mie parti: ‘a mazza ‘int ‘o purtuso (lett. la mazza nel buco, italianizzato come "gioco del bugliolo"). 
Nel film Peppermint frappé (Carlos Saura, Spa, 1967) due amici d’infanzia si ritrovano dopo vari decenni e tornano nella residenza estiva di uno dei due, circondata da un ampio parco. Mentre ricordano i tempi andati, viene inquadrata l'insolita struttura della foto in basso, penso misteriosa per chiunque. 

Poche scene più in là l’arcano è svelato quando Pablo (Alfredo Mayo) decide di utilizzare di nuovo il marchingegno per dimostrare la sua bravura, dopodiché toccherà a Julián (José Luis López Vázquez), sempre sotto lo sguardo fra il divertito e l’eccitato di Geraldine ChaplinGuardate il video per capire come funzionava e come va a finire ... nonché le allusioni, esplicite nel nome popolare del gioco.

A maggior chiarimento, riassumo il funzionamento del "diabolico marchingegno": una sedia è fissata su binari che, dal punto di partenza, prevedono una discesa per farle prendere velocità e una breve risalita per frenare dolcemente la "corsa". Al termine c'è una sagoma rigida basculante con un piccolo foro nella parte bassa, nel quale deve essere infilata una qualunque asta, diretta da chi sta sulla sedia. Sulla testa del fantoccio è sistemato contenitore d'acqua che quindi si rovescia sulla testa di chi non centra il bersaglio e invece colpisce la sagoma.
In questo modo non c'è bisogno di essere portati sulle spalle da qualcuno (come nel gioco popolare) e oltretutto si può anche evitare di riempire di acqua il contenitore, eliminando a priori la possibilità di bagnarsi ... ma ovviamente ciò significa barare e per di più si perde il thrill del rischio!
Per saperne di più in merito alla mazza ‘int ‘o purtuso , ecco invece il testo estratto dal mio libro sui giochi di strada proposto in formato pdf.  

lunedì 17 settembre 2018

Peliculas “cabareteras” (o “rumberas”) da non perdere

284 Salón México (Emilio Fernández, Mex, 1949) * con Marga López, Miguel Inclán, Rodolfo Acosta * IMDb  7,6 * sceneggiatura: Emilio Fernández e Mauricio Magdaleno * direttore fotografia: Gabriel Figueroa

285 Víctimas del pecado (Emilio Fernández, Mex, 1950) * con Ninón Sevilla, Tito Junco, Rodolfo Acosta * IMDb  7,7 RT  86% * sceneggiatura: Emilio Fernández e Mauricio Magdaleno * direttore fotografia: Gabriel Figueroa

286 Aventurera (Alberto Gout, Mex, 1950) * con Ninón Sevilla, Tito Junco, Andrea Palma, Miguel Inclán * IMDb  7,6  RT  81% * sceneggiatura: Álvaro Custodio, Alberto Gout e Carlos Sampelayo * fotografia: Alex Phillips
      
Post triplo per trattare, più che dei film in questione, del genere cabaretera e rumbera, che si può considerare un settore specifico del noir. Musica e danza sono sempre state attività molto amate dai messicani ed in particolare negli 30-50 il numero dei locali da ballo era veramente notevole variando dai cabaret e night di lusso con tanto di orchestra in costume e palco con ricche scenografie, alle cantine "equivoche" con pochi musicisti, talvolta una/un cantante e tante taxi girl. In ogni caso in queste sale giravano quindi soldi, spesso tanti e molte volte di provenienza illecita, persone che spendevano i loro pochi soldi per bere e ballare con una ragazza, veri criminali e delinquenti di bassa lega, protettori e chi più ne ha più ne metta. Su queste basi gli sceneggiatori potevano quindi costruire tante trame diverse, raramente ripetitive e l’azione veniva intervallata con vari pezzi musicali, danze spesso caraibiche e, budget permettendo, canzoni interpretate da guest star che quindi interpretavano sé stessi; contano molte apparizioni Pedro Vargas e Agustin Lara (talvolta anche in qualità di attori).
Per dare un’idea del successo e della qualità di questo genere prettamente messicano, si deve ricordare che nella classifica dei migliori film messicani stilata nel 1994 da 25 esperti, Aventurera (una sua famosa scena nella foto a sx) compare al 4° posto, Víctimas del pecado al 20° e Salón México al 28°. Non c’è da meravigliarsi quindi del fatto che anche registi apprezzati come Emilio Fernández si cimentassero in tale settore, avvalendosi oltretutto di buoni attori e ottima fotografia. Nella fattispecie, gli ultimi due sono diretti proprio da Fernández con fotografia di Gabriel Figueroa, il più famoso direttore della fotografia messicano, oltre 200 film diretti dai migliori registi dell’epoca, apprezzato anche a Hollywood, Nomination Oscar per The Night of the Iguana (John Huston,1964).
Questi tre film hanno molti elementi in comune; oltre che per regia e fotografia, anche per quanto riguarda il cast proponendo per due volte la ballerina cubana Ninón Sevilla come protagonista e per due volte (in diverse combinazioni) i violenti e cattivissimi Tito Junco e Rodolfo Acosta, l’ottimo caratterista mestizo Miguel InclánPedro Vargas che in Aventurera canta anche due volte alcune strofe della canzone omonima, mentre in Víctimas del pecado si esibisce con Pecadora, entrambe composte dal mitico Agustin Lara. 
Dei tre Salón México (che si svolge per lo più in locali di basso livello) è il primo ottimo approccio di Fernández con il genere mentre trovo il suo secondo (nel quale un bambino gioca un ruolo fondamentale) un po’ troppo melodrammatico-strappalacrime; al contrario, penso che Aventurera sia effettivamente di livello molto superiore e meriti di essere in cima alla classifica sia per l'ottima sceneggiatura, che per la fotografia di Alex Phillips (canadese trapiantato in Messico, circa 200 film al suo attivo) probabilmente secondo solo al già citato Figueroa, i pezzi musicali, le interpretazioni e per la regia di Alberto Gout.
Come detto, la storia originale di Álvaro Custodio è particolarmente buona (adattata poi da lui stesso insieme con Alberto Gout e Carlos Sampelayo) ed è un capolavoro di intrecci, sorprese, twist, incontri casuali e ritorni, conditi con ricatti, vendette, tratta di ragazze, sparatorie e accoltellamenti, rapine, incarcerazioni, in un vero vortice di avvenimenti che nella seconda parte includono anche molta “vendetta psicologica”.
A dimostrazione di quanto sia apprezzato questo genere (erroneamente e superficialmente giudicato secondario da alcuni) la Cineteca Nacional Mexico tre anni fa gli dedicò un intero corso approfondito (non una semplice retrospettiva, ecco il programmadedicando particolare attenzione proprio ai tre film citati in questo post.
Víctimas del pecado è stato proposto nella rassegna Cinema Ritrovato 2016 (vai al post di Lapo Gresleri), gli altri due sembra non siano mai giunti ufficialmente in Italia.
   
screenshot da  Salón México

   
screenshot da Víctimas del pecado
   
screenshot da Aventurera

sabato 1 settembre 2018

“Mean Streets“, Martin Scorsese e Robert De Niro insieme per la prima volta

Mean Streets segna l’inizio della collaborazione fra questi due mostri sacri della nuova Hollywood che fino ad allora avevano prodotto poco e non sempre di buona qualità. Nello stesso anno De Niro, dopo una decina di B-movies sotto la sufficienza,  si era appena fatto apprezzare nel suo primo film di un certo livello Bang the Drum Slowly (di John Hancock). Scorsese era invece alla sua terza regia dopo Who's That Knocking at My Door (1967, aka I Call First) e Boxcar Bertha (1972), discreto il primo insufficiente il secondo. 
   
Robert De Niro e David Proval *** Harvey Keitel e Richard Romanus
262 “Mean Streets“ (Martin Scorsese, USA, 1973) tit. it. Domenica in chiesa, lunedì all'inferno” * con Robert De Niro, Harvey Keitel, David Proval, Cesare Danova, Richard Romanus, George Memmoli
IMDb  7,4  RT 96% * presentato nella Quinzaine des Réalisateurs al Festival di Cannes 1974 e riproposto nel 2018

Insieme con Taxi Driver (1976), questo esordio dell’eccezionale duo resta uno dei miei preferiti, pur essendo molto meno conosciuto. Lo trovo molto più originale, autobiografico, spontaneo, con un casting perfetto, così come la scelta delle location. I set quasi non esistono, l’edificio nel quale sono state girate tante scene (per le scale, ingresso, retro, tetto) era quello dove abitava la madre di Scorsese, che oltretutto compare in una scena e parla (sgrida i due che litigano) in italo-siciliano. Quasi tutti i protagonisti parlano con un forte accento, in particolare quando discutono fra di loro, oltre ad utilizzare tanto slang; ci sono anche vari dialoghi in italiano e tante parole dialettali napoletane o siciliane inserite in frasi in inglese. Questo più degli altri è un film da guardare in versione originale, meglio se con l’aiuto dei sottotitoli americani per i tanti termini desueti o propri di quell’ambiente. Facendolo, si noterà anche che la voce che nei primi secondi del film - a schermo ancora nero - declama i pensieri di Harvey Keitel in chiesa non è la sua bensì quella di Martin Scorsese.
   
Harvey Keitel in chiesa ***  Harvey Keitel e Cesare Danova
Una ricca (sia per quantità di pezzi, che qualità ed eterogeneità) colonna sonora accompagna i protagonisti ricreando alla perfezione l’ambiente delle comunità italoamericane, come ben noto composte soprattutto da meridionali, ed in particolare quella di Little Italy in periodi festivi. Infatti gli eventi narrati si svolgono proprio lì nei giorni della festa di San Gennaro e i suonatori della banda sono quelli veri, dai volti ed espressioni incredibili, direi affascinanti. Quindi, a cominciare da uno dei caratteristici e tradizionali canti a figliola (clicca qui per ascoltarlo) che i pellegrini che si recavano al Santuario della Madonna di Montevergine (AV), una delle tante Madonne nere, in Campania soprannominata Mamma Schiavona, intonavano lungo il cammino, si ascoltano tante arie napoletane conosciutissime anche all’estero quali Scapricciatiello, Malafemmena, Maruzzella, Munastero ‘e Santa Chiara. Questo argomento della festa e della religiosità in particolare (che mal si lega allo stile di vita dei protagonisti) è parte essenziale del film e dà un senso al titolo italiano. A questa parte etnica si sommano famosi brani pop di vario genere, fra i quali Be My Baby eseguito dalle Ronettes (l'unica girl band invitata ad esibirsi con i Beatles), Jumpin' Jack Flash dei Rolling Stones, il ritmo latino di Ray Barretto con Ritmo sabroso.
Oltre alle riprese nel corso della festa, soprattutto astanti e banda di ottoni, nel cast compaiono tanti caratteristi, vari dei quali in questo film hanno dato il meglio di sé forse proprio per sentirsi a proprio agio interpretando tipologie personaggi che avevano conosciuto o almeno visto chissà quante volte. Molti erano amici di Scorsese ed erano cresciuti in quell’ambiente o in simili comunità come quelle degli italoamericani di Brooklyn o Queens.
   
Su tutti spicca Richard Romanus (alla guida nella foto a dx) che senz’altro molti conoscono solo per questa sua ottima interpretazione di Michael, il piccolo ras-usuraio che tenta disperatamente di esigere quanto De Niro gli deve in un crescendo di minacce da parte sua, di bugie da parte di Johnny Boy, di rassicurazioni pacificatorie da parte di Charlie (Harvey Keitel). Ma c’è anche Cesare Danova, italiano che dopo una lunga e per niente disprezzabile carriera in gro per il mondo sarà comunque probabilmente ricordato per la sua interpretazione del “padrino” Don Giovanni Cappa (zio di Charlie/Keitel) e, forse, per la sua ultima apparizione in un altro film cult, seppur di tutt’altro genere, nei panni del sindaco corrotto Carmine DePasto in Animal House (John Landis, 1978).
La già radicata passione di Scorsese per il cinema risulta evidente per i tanti poster inquadrati qua e là, le classiche insegne luminose sull’ingresso dei cinema con titoli e interpreti dei film, una serata al cinema a guardare The Searchers (aka “Sentieri selvaggi”, di John Ford, 1956, per caso visto un paio di giorni fa), una scena di The Tomb of Ligeia (1964, di Roger Corman, con Vincent Price) e una di The Big Heat (1953, famoso noir di Fritz Lang) in parte simile al finale del film.
 
Nota personale: sbarcai per la prima volta a New York il 13 settembre 1985, in pieno periodo della festa di San Gennaro (19 settembre) e queste sono due immagini dal film (a colori) e due miei scatti in b/n. Noterete che altarino e luminarie dopo una dozzina di anni erano sono uguali.
   
Tempo fa pubblicai un post in merito alla mia seconda visita a New York, nel corso della quale non mancai di tornare in quei stessi luoghi trovando però ben poche tracce della "vecchia Little Italy" ... anche lì ormai imperversano cinesi e russi.