martedì 26 settembre 2017

I “Charros” e il loro famoso GRITO (... ay ay ay)

Il grito charro (o Mexicano) è uno “strillo” molto alto e acuto, quasi in falsetto, che varia da un urlo modulato a quasi un ululato, più o meno lungo, quasi sempre seguito da un ... ay, ay, ay che varia dal suonare come uno sghignazzo o un approssimativo singhiozzo, a seconda dei casi e del contesto.
Questa tipica espressione vocale messicana, che praticamente tutti conoscono, può infatti essere di allegria, incitamento, disperazione o anche un semplice intermezzo fra una strofa e l’altra di una ranchera (stile musicale che dall’800 ad oggi non ha mai smesso di stare in cima alle preferenze dei messicani) o accompagnamento di un concerto di mariachi. Questo è uno (scarso) esempio proposto da un simpaticissimo sconosciuto sdentato ...
Anche se nessuno è certo dell’origine, i più propendono per associarlo alle grida dei vaqueros (mandriani, cowboy) a cavallo le cui abitudini sono di chiara derivazione spagnola in quanto sia i cavalli che i bovini da allevamento furono introdotti nelle Americhe dai conquistadores. I primi cavalli che calcarolo la terra messicana furono infatti i 16 che giunsero con Hernán Cortés e costituirono elemento fondamentale per la Conquista sia per la velocità con la quale si muovevano rispetto ai soldati (tutti appiedati) sia per il timore che incutevano negli indigeni.  
   
Anche se il significato dell’appellativo è un po’ cambiato nel corso dei decenni, i charros (spesso accomunati ai jinetes, cavalieri, di nome e di fatto) sono una ben distinta categoria che si colloca fra i semplici mandriani a cavallo e i rancheros (proprietari di allevamenti e haciendas). Hanno un loro proprio stile al quale tengono molto, abiti costosi, giacche e pantaloni attillati adornati con borchie metalliche (i ricchi ostentavano bottoni d’argento), stivali lucidi (per quanto possibile), ampio sombrero, pistola e una imprescindibile buona cavalcatura. L’aspetto è per loro fondamentale e nella cultura popolare sono per lo più esibizionisti ed un po’ spacconi, ma certamente ammirati dal popolo. In tempi recenti si è molto ecceduto nel caratterizzare questi personaggi e i gruppi mariachi sono quasi il massimo dell’ostentazione, anche se è quasi tutto troppo esagerato e, soprattutto, finto ... borchie, bottoni, pistola e sombreri assolutamente fuori misura. 
      
Tuttavia, anche ricchi rancheros o importanti personaggi si sono vestiti e agivano da charros. Nella storia della rivoluzione il charro per antonomasia fu Emiliano Zapata (foto in alto a sx); a metà secolo scorso il cinema ha utilizzato questo tipo di personaggi in un ricchissimo filone di gran successo (per taluni versi paragonabile ai western americani) sfruttando anche la fama di grandi cantanti/attori come Luis Aguilar, Jorge Negrete (el charro cantor, sopra a sx), Pedro Infante (sopra al centro) e, ultimo in ordine di tempo, Vicente Chente” Fernández (foto in alto a dx). Restando in ambito cinematografico, forse non tutti sanno che uno degli ultimi film di Elvis Presley aveva per titolo proprio Charro! (1969).
Infine, la charreria indica oggi uno sport equiparabile ai rodei americani, ma l’ambiente, il contorno, gli spettatori e soprattutto la musica sono ben diversi (a tutto proprio vantaggio). Spesso in questo ambito, ma non solo, si organizzano addirittura gare di gritos!
Qualcuno dice che questi in origine potrebbero aver avuto influenze arabe passando per le variazioni vocali del flamenco. Sembra essere priva di fondamento la teoria della derivazione dalle grida dei nativi, siano essi mesoamericani o i più settentrionali “pellerossa”. 
Al contrario, il grido dei cowboy yee-haw (esaltato nel classico western Red River, di Howard Hawks, 1948 - guarda il video) potrebbe essere un’eredità del grito considerato che per secoli gli stati del sudovest degli odierni Stati Uniti, dal Texas alla California, facevano parte del Messico.
Per concludere, propongo l'immagine di una interessante litografía di fine '800 di Antonio Vanegas Arroyo (Los Charros Contrabandistas) utilizzata per un gioco con i dadi, presumo sullo stile del “gioco dell’oca”, tanto per ribadire l'importanza di questi personaggi nella cultura popolare messicana.

venerdì 15 settembre 2017

Peter Kubelka, cineasta MOLTO singolare e fuori dagli schemi

Pochi giorni fa mi è capitata fra le mani la locandina (a sx) di un evento cinematografico "storico" al quale presenziai quasi 40 anni fa, avente come protagonista Peter Kubelka, un vero artista (e filosofo) delle immagini su pellicola. 
In basso vedete il "cappello" del testo stampato sul verso del manifesto e le scansioni delle due colonne (ingrandibili) nelle quali erano raccolti brevi commenti di autorevoli firme del settore.
Come evidenziato, oltre alla proiezione di TUTTI i suoi film nella sala della Cineteca Altro di Napoli, in altra sede (Studio Morra) erano esposte a parete le pellicole (16mm) dei suoi lavori più brevi. Ciò fu possibile in quanto all'epoca la sua produzione era limitata a soli 6 corti per una durata complessiva di poco più di 50 minuti e quelli esposti assommavano a soli 9 minuti.
L'evento era impreziosito dalla presenza in sala di Kubelka che espose le sue idee (da artista di avanguardia) e conversò con noi del pubblico. Ricordo che rimasi colpito dalla sua visione essenziale del cinema come mezzo capace di fornire 24 informazioni visive al minuto e che il sonoro può (deve) essere scollegato dall'immagine. A questo proposito portò l'esempio di un telefono che squilla ... se si sente è inutile mostrarlo e, al contrario, se qualcuno va all'apparecchio e parla la suoneria è inutile. L'immagine o l'audio "risparmiato" potrà essere sostituito da altra informazione visiva o sonora, evitando inutili "doppioni". 
Spero di essere riuscito ad esporre il concetto in modo comprensibile.


   
A quelli che non avranno la pazienza di leggere i brevi articoli del manifesto, ricordo comunque che i suoi film a parete sono stati esposti nei più importanti musei del mondo, a cominciare dal MOMA di New York.
A lui si deve il progetto della sala cinematografica perfetta, completamente nera, nella quale ogni spettatore siede su poltrone nere ed è "chiuso" in una specie di box la cui pareti (nere) lo isolano dai suoi vicini. L'unica luce che può vedere è quella riflessa dallo schermo. Ovviamente non sono previste le odiose luci di emergenza, oggi troppo potenti e fastidiose (in nome della sicurezza ...) che, sommate ai display dei telefonini degli incivili che non riescono a tenerli spenti, spesso illuminano una sala moderna quasi a giorno.  
A seguire trovate i link a 4 dei 6 corti già terminati e mostrati all'epoca. Mancano il primo (Mosaik im Vertrauen, 1954-55, il suo saggio di diploma) e l'ultimo (Pause!, 1975-77) che tuttavia è reperibile in rete in due parti. 
Se aveste la curiosità e la pazienza di guardali, suggerisco di non dare giudizi affrettati, leggere qualcosa in merito, ed eventualmente guardarli di nuovo, con occhio e spirito diversi.







Successivamente, Kubelka ha prodotto solo altre due "opere" (Dichtung und Wahrheit, 2003, 13', e Antiphon, 2012, 6') portando la durata complessiva della sua filmografia a quasi un'ora!

mercoledì 13 settembre 2017

Mappa della Caldera del Teide (settore NE)

In previsione di un nuovo soggiorno tinerfeño (a Tenerife) e delle conseguenti ennesime escursioni nella caldera del Parque Nacional del Teide, fra lave, pomici, lapilli, sabbie e materiali vulcanici vari, aree punteggiate da radi cespugli o assolutamente desertiche limitate a nord dai boschi della Corona Forestal, ho deciso di abbozzare una nuova cartina della parte secondo me più interessante a varia dei 190 kmq del territorio di competenza del Parco, quella che vedete nella parte inferiore della foto satellitare (visione da NE).

Andando in giro con il mio solito spirito serendipitista, mi piace sapere sempre dove mi trovo (e non mi riferisco alle mere coordinate geografiche ormai fornite non solo dai gps ma anche da cellulari e da tanti altri dispositivi) in modo da poter cambiare programma in qualunque momento sapendo cosa c’è attorno a me, come possa passare rapidamente da un sentiero all’altro o - in caso di emergenza - raggiungere la strada nel minor tempo possibile, cosa troverò oltre le alture a vista, cosa mi posso aspettarmi di vedere seguendo una traccia, e via discorrendo. 
A prescindere dalle mie abitudini, sono fermamente convinto che chiunque si avventuri in un ambiente non familiare debba avere con sé una mappa dei luoghi, anche se non precisissima almeno realistica.

Per tutte le suddette ragioni, e prevedendo di effettuare più escursioni in quell'area, ho quindi deciso di riassumere le informazioni e dati importanti su carta creata ad hoc che, come al solito, condividerò con altri appassionati. Ho cercato di combinare al meglio essenzialità e precisione, dando la giusta importanza alle curve di livello, ma senza sovraccaricare il disegno di linee inutili. I sentieri li ho tracciati confrontando e interpolando dati tratti da carte esistenti con tracce GPS rilevate personalmente e scaricate dalla rete e, in alcuni casi, verificando il tutto con foto satellitari. Per i tratti meno acclivi dovrò certamente verificare in loco l’attendibilità delle isoipse ma, considerato che in linea di massima non ci sono ostacoli insormontabili, è un problema di minore importanza.
Al momento la mappa (estendibile in futuro) rappresenta quei 50 kmq della parte nordorientale del Parco che comprendono Portillo, Fortaleza, Montaña Blanca (foto in alto), Risco Verde, Arenas Negras (foto a sx), Huevos del Teide (in basso a sx) e Montaña Rajada (in basso a dx), includendo integralmente ben 11 sentieri segnalati e connessi fra loro in modo da formare una fitta rete di percorsi. Oltre a questi, che già da soli permettono la realizzazione di una marea di itinerari di lunghezza e impegno adattabili alle capacità di ciascuno, altri 5 sono rappresentati solo in parte in quanto, seppur connessi alla suddetta rete, terminano in località fuori carta. 
Gli 11 sentieri (indicati con la numerazione ufficiale del Parco) sono:
1 - la Fortaleza (5,3 km) (sullo sfondo nella foto sotto a sx, dal sent. 7) 
2 - Montaña de las Arenas Negras (7,9 km) (foto sopra)
6 - Montaña de los Tomillos (7,5 km)
14 - Alto de Guamaso (2,9 km)
22 Lomo Hurtado (5,0 km)
24 Portillo Alto (1,5 km)
25 Recibo Quemado (2,0 km)
27 Montaña Rajada (2,1 km)  (foto sotto a dx)
30 Los Valles (5,0 km)
33 Montaña Negra (3,1 km)
36 Alto de La Fortaleza (2,7 km)
       
I 5 sentieri rappresentati parzialmente sono:
4 - Siete Cañadas (6,2 di 16,3 km)
7 - de Montaña Blanca al Pico del Teide (5,5 di 8,3 km)
8 - El Filo (2,3 di 18,8 km)
29 - Degollada del Cedro (0,7 di 2,0 km)
37 - Cerrillar - Carnicería (0,4 di 2,7 km)

In attesa del momento in cui sarà pronta la versione "definitiva" (che non potrà mai essere tale in quanto ogni mappa è in continua evoluzione) i frequentatori abituali della Caldera e quelli che pensano di andarci anche una sola volta (per i camminatori che si trovano a Tenerife una escursione è praticamente d’obbligo) possono già cominciare a scaricare la bozza e salvarla sul proprio smartphone o strumento simile e anche stamparla in uno o più fogli a proprio piacimento. 

Questo sopra è solo uno stralcio della mappa sulla quale sto lavorando. La bozza completa è qui http://www.giovis.com/maps/TeideNE.gif, in formato GIF in alta definizione. 
Datele anche un semplice sguardo ma, se la scaricate così com'è, ricordate poi di scaricare anche i futuri aggiornamenti.
Coloro che notassero errori sostanziali o incongruenze, o volessero suggerire migliorie, sono invitati a contattarmi via email  giovis@giovis.com

lunedì 11 settembre 2017

Come rovinare un film di George A. Romero

In tanti hanno di recente ricordato Romero a seguito della sua morte (16 luglio u.s.) ed è in particolare a loro che mi rivolgo, in quanto immagino siano suoi estimatori. Dopo aver guardato ieri La notte dei morti viventi oggi pomeriggio, tenuto in casa dagli acquazzoni, è stato il turno di  Vampyr, indecente versione italiana di Martin (George A. Romero, USA, 1978), con John Amplas, Lincoln Maazel, Christine Forrest. 
  
Una di quelle operazioni commerciali (?) che trovo a dir poco scandalose e che mi fanno “imbestialire”, chiunque sia l’autore dell’originale.
Il film di Romero è stato accorciato di oltre 13 minuti (da 1:34:46 a 1:21:38), e passi, ma quel che è peggio è stato ri-montato in modo assolutamente difforme dalla “logica” successione di scene previste dal regista e sceneggiatore. Pensate che la scena di apertura di Martin è stata spostata al minuto 12 di Vampyr!  Addirittura hanno aggiunto una battuta chiaramente non originale in quanto il capotreno si rivolge al protagonista con un ridicolo “Buongiorno Martin!”. 
I flashback in bianco e nero sono ripetuti e sparpagliati, alcuni avvenimenti sono completamente saltati, la musica originale di Donald Rubinstein è stata sostituita con quella ossessiva dei nostrani Goblins, divenuti famosi un paio di anni prima per la colonna sonora di Profondo rosso di Dario ArgentoPerfino il poster italiano è assolutamente fuorviante in quanto non nel film non appare alcun pipistrello, né veri canini da vampiro.Purtroppo ho guardato il dvd italiano senza neanche sapere tutto ciò, mi ha subito meravigliato la durata ridotta rispetto a quanto indicato su IMDb, durante la visione molte scene mi sono sembrate non legate a dovere al contesto e alla narrazione e più di una volta ho visto qualche protagonista parlare (muoveva chiaramente le labbra rivolgendosi ad altri) ma non si sentiva una sola parola doppiata. 
   
Finito il film (che in questa versione prende quota solo nella seconda parte) mi sono subito precipitato a cercare notizie su IMDb ed altri siti affidabili. Per prima cosa ho letto la dettagliata synopsis e mi sono reso conto di quante situazioni fossero state eliminate e di come le rimanenti fossero riordinate in modo pressoché insulso.
Invito chi conosce solo la versione italiana Vampyr a guardare quella originale americana Martin, anche semplicemente su YouTube e sono certo che noterà immediatamente la differenza.
Venendo alla sostanza, anche in questo film, di 10 anni successivo al suo esordio con Night of Living Dead, Romero stravolge i luoghi comuni e gli stereotipi - praticamente li ridicolizza - e nel corso di tutto il film non chiarisce la vera essenza del giovane (?) Martin, il quale afferma di avere 84 anni. 
Il finale delle due versioni è in sostanza simile (non potevano cambiarlo) e consiste in una serie di colpi di scena, tendenti quasi alla black comedy più che all’horror.
Martin o Vampyr che sia merita certamente un’attenta visione in quanto la mano di Romero si fa notare, ripresa per ripresa. Ai più attenti suggerisco di guardarli entrambe e a breve distanza, e quindi trarre le proprie conclusioni.
Per me, comunque, l’unico e solo Vampyr resterà quello originale del maestro Carl Th. Dreyer, del 1932.

mercoledì 6 settembre 2017

da "Rain", film e short story, a Somerset Maugham e Graham Greene, a Joan Crawford e Bette Davis

Proposto da Public Domain Movies, Rain (di Lewis Milestone, USA, 1932, tit. it. “Pioggia”, con Joan CrawfordWalter Hustonmi ha subito incuriosito in quanto le poche righe di presentazione “Una prostituta si redime a Pago Pago grazie ad un duro missionario” mi hanno fatto tornare in mente una short story di Somerset Maugham (1874-1965) che mi era molto piaciuta. Approfondendo, ho appreso che il soggetto era proprio quello e, dopo aver visto il film, posso anche aggiungere che  si tratta di un felicissimo adattamento, cosa relativamente rara.
La storia, con pochissimi personaggi (praticamente due: il missionario-predicatore e la prostituta), è ristretta in spazi limitati e si sviluppa nei pochi giorni di una sosta forzata a Pago Pago (isola tropicale del Pacifico), sotto una continua pioggia battente. 
Bravissimi gli interpreti principali, in particolare Walter Huston che riesce ad apparire esattamente come descritto da Maugham: arrogante, aggressivo, presuntuoso e viscido. La falsa immagine di missionario non riesce a coprire la sua meschinità e malvagità. Uno di quei predicatori che vogliono “salvare” anche e soprattutto chi non vuole essere salvato e ai primi ostacoli passano alle minacce verbali e, in un certo senso, fisiche. Nel suo piccolo uno dei tanti che nei secoli passati ed ancora oggi predicano e seminano terrore e odio in nome di una religione.
   
Moltissimo ovviamente si deve al testo Somerset Maugham che penso sia lo scrittore che abbia fornito il maggior numero di soggetti per film e TV (150 in tutto), superando anche Graham Greene, un altro fra i miei scrittori preferiti (The Third Man, Our Man in Havana, Brighton Rock, The Quiet American, ...).
Anche Joan Crawford interpreta benissimo la sua parte e ciò non meraviglia essendo una di quelle poche brave attrici riuscite a passare dal muto al sonoro e a “resistere” negli anni pur non essendo di una bellezza folgorante, ma solo perché sapeva recitare. A sua detta, il punto di svolta fu l’interpretazione di Nanon in The Unknown (consigliato, 1925, di Tod Browning - poi regista del cult Freaks, 1932) al fianco del “maestro” Lon Chaney nel ruolo di Alonzo, un circense senza braccia ... solo lui poteva riuscirci all’epoca, prima delle manipolazioni digitali.
      
Nello stesso anno di Rain uscì anche Grand Hotel nel quale la Crawford recitò al fianco di Greta Garbo e John Barrymore, e in seguito ottenne l’Oscar per Mildred Pierce (di Michael Curtiz, 1945) e Nomination per Possessed (1947) e Sudden Fear (1952), ma molti la ricorderanno per essere la Vienna di Johnny Guitar (1954, di Nicholas Ray). Quindi un’attrice assolutamente non limitata ad un solo genere visto che riuscì a brillare in film drammatici, noir, commedie e western! Joan Crawford è stata l’eterna rivale di Bette Davis e fra loro c’è sempre stato un dichiarato odio viscerale; su quanto si sono dette e fatto è stato addirittura scritto un libro Bette & Joan - The Divine Feud e proprio quest’anno è iniziata la serie TV Feud (faida) dedicata appunto ai loro pessimi rapporti.
Pur trovandosi su un'isola dei "mari del sud", Lewis Milestone concede poco o nulla all'iconografia classica, limitandosi a poche scene esterne e al coinvolgimento di comparse locali; le brevi scene di pesca dalla spiaggia che a metà del film sembrano essere state inserite solo per spezzare per un attimo la montante tensione si rivelano essere un sapiente aggancio per l'inaspettato finale. Anche se in alcuni passaggi Rain può apparire un po’ teatrale, il film vale senz’altro una visione attenta non solo alle immagini ma anche alle parole. In alternativa, consiglio caldamente di leggere la short story originale, scritta nel 1921 e altri testi di Maugham, che includono lavori teatrali e romanzi che contano varie versioni cinematografiche. Per citarne giusto qualcuno, The Razor’s Edge (1946, Il filo del rasoio) con Tyrone Power, Of Human Bondage (Schiavo d’amore) nel 1934 con Bette Davis e Leslie Howard, remake nel 1946 e 1964, The Paited Veil  (Il velo dipinto) nel 1934 con Greta Garbo e Herbert Marshall, con un adattamento (The 7th Sin) nel 1957 e infine il remake del 2006 con Naomi Watts e Edward Norton.
Mi sembra di aver divagato abbastanza fra cinema e letteratura e quindi concludo suggerendo di guadare Rain, leggere l’omonima short story e altri scritti di Somerset Maugham e di non dimenticare di leggere gli affascinanti romanzi e racconti di Graham Greene il quale, tuttavia, è stato spesso “maltrattato” da sceneggiatori e registi ... anche famosi.