lunedì 27 febbraio 2017

Post misto mangereccio: seguito poke, laksa e gecko

Comincio dall'ultimo argomento del titolo, ma non vi preoccupate per il simpatico geco, non viene mangiato da nessuno, è lui quello che mangia. 
Al Foster Botanical Garden ho ritrovato il geco dell'altro giorno (quasi sicuramente si tratta dello stesso) che si arrampicava sulla stessa foglia. 
Phelsuma laticauda, (aka Gold dust day gecko (E), felsuma dalla coda larga (It)) su Ananas bracteatus var. tricolor.
Solo che questa volta non era in attesa di insetti, ma è andato direttamente per il dessert. Infatti è saltato dalla foglia a quello che ad alcuni può sembrare un fiore (ma sono brattee) e poi ha cominciato a succhiarne il nettare dal vero piccolo fiore. 

Passiamo al secondo argomento: 
poke come pietanza.
Come accennato nel post precedente, il modo più comune di servire il poke è quello di proporlo come stuzzichino. Pensate che nelle ricette si indica che 1 pound (454g) serve 10-12 persone, quindi 40-45g a persona, non certo un piatto.
Oggi mi sono soffermato ad osservare come lo componevano come piatto unico in un a specie di fast food che serviva esclusivamente poke
Come spesso accade era organizzato in "stazioni" con varie scelte. Si inizia ovviamente con la scelta della dimensione del contenitore che sarà man mano riempito:
  • S, M o L, rispettivamente 8, 10 e 15 dollari
  • Base: riso bianco o brown, polpa di granchio, insalata
  • Proteine: ahi (tonno locale), tako (piccoli polpi), salmone, polpo, gamberetti, frutti di mare, pollo o tofu
  • Salsa: forte, extraforte, soya, ... e altre salse americane (!)
  • Top: nori (alghe), carote, cipolle, pomodori, fagioli, patate, avocado, mais, verdure varie, erba cipollina
Infine laksa
Avevo “puntato” questo ristorantino/banchetto al mercato di Chinatown già da un po’ e sabato mi è capitata l’occasione giusta per ritornare con la mente (certamente) e il palato (speranza) in Malesia
Questa caratteristica zuppa molto speziata, un curry forte con l’aggiunta di una salsa di latte di cocco, è tipica malese ma è anche molto comune in luoghi vicini come Singapore, Indonesia e sud Thailandia, seppur con qualche minima differenza.
La prova è andata bene, ottimo per essere negli Stati Uniti, ma certamente nei luoghi di origine ha un altro sapore ... 
Come sempre in questi casi è possibile cambiare vari ingredienti di sostanza, ma non tanto di sapore, vale a dire che si può scegliere fra i vari tipi di noodles (mee, fun, mien, ...), fra vari tipi di carne e pesce, ma si può anche rimanere sul vegetariano con sole verdure o tofu.
Il mio “zuppone”, servito in una ciotola enorme, comprendeva vermicelli di riso (fun), tofu, wonton, pesce secco, germogli di soia e abbondante erba cipollina. 

venerdì 24 febbraio 2017

Le mie previsioni e speranze per gli Oscar (secondo blocco)

Miglior attore protagonista
Questa è una delle lotte più accanite, Denzel Washington (Fences) e Casey Affleck (Manchester by the Sea) sono secondo me i più meritevoli, seguiti a ruota, ma quasi alla pari, da Andrew Garfield (Hacksaw Ridge).
Onestamente, non penso che Ryan Gosling (La La Land) e Viggo Mortensen (Captain Fantastic) possano competere con le interpretazioni dei suddetti.
Mi dispiacerà per chi, fra Denzel e Casey, resterà a bocca asciutta.
   
MIGLIOR ATTRICE PROTAGONISTA (mi mancano Jackie e Florence)
Per questa categoria non mi pronuncio in quanto oltre a mancarmene due, delle altre tre interpretazioni “esaminate” nessuna delle protagoniste mi ha tanto impressionato da considerare la sua prova “insuperabile”. Vi ricordo le contendenti: Isabelle Huppert (Elle), Ruth Negga (Loving), Natalie Portman (Jackie), Emma Stone (La La Land), Meryl Streep (Florence).
C’è da sottolineare che, come è noto, Viola Davis (“protagonista” di Fences al fianco di Denzel) è stata "dirottata" fra le “non protagonista” dove non dovrebbe avere alcun problema ad aggiudicarsi la statuetta, seppur “di serie B”.
Miglior attore non protagonista 
Penso che Jeff Bridges (Hell or High Water) meriti questo Oscar. Mi sembra che le pur buone prove di Mahershala Ali  (Moonlight, solo nella prima parte del film) e il giovane Lucas Hedges (Manchester by the Sea) non siano al suo livello. Vedo fuori dai giochi Michael Shannon (Nocturnal Animals) il quale, seppur apprezzabile e convincente, ha una parte è troppo marginale e non Dev Patel (Lion, solo seconda parte), assolutamente non all’altezza.
Miglior attrice non protagonista
Discorso già anticipato poco fa, Viola Davis (Fences) "deve" vincere, semplicemente perché se lo merita e non c’è paragone con le altre che sono: Naomie Harris (Moonlight), Nicole Kidman (Lion), Octavia Spencer (Hidden Figures) e Michelle Williams (Manchester by the Sea), la seconda in ordine di merito, l’unica che potrebbe insidiare Viola Davis.
  
Miglior FILM IN LINGUA STRANIERA
In questa categoria ne ho visti solo 3, riuscirò a guardare Land of Mine ma solo a fine marzo, ho poche speranze per Tanna. Fra quelli visti Toni Erdmann, come forse qualcuno avrà letto, non mi è piaciuto per niente. Gli altri due sono molto diversi fra loro, troppo per poterli comparare, ma trovo ciascuno di essi abbia i suoi meriti.

SHORT
Avendo già discorso in due post separati dei cortometraggi veri e propri e di quelli di animazione cito solo i favoriti (e preferiti) per ciascuna delle due categorie.
Cortometraggi: c’è da scegliere fra l’ottimo (quasi un pezzo da teatro) Ennemis Intérieurs di Sélim Azzazi (francese di origine berbera, autore anche della sceneggiatura) e il più delicato e sottile Mindenki (Sing) dell’ungherese Kristóf Deák.
Short di animazione: vincitore quasi certo è Piper dell’italo-canadese Alan Barillaro; possibile, ma improbabile, contendente Blind Vaysha del canadese Theodore Ushev (dal cognome direi di origine russa)
  
Chiudo con un riferimento alla nascente nuova polemica relativa alle candidature, tornatami in mente citando Toni Erdmann della tedesca Maren Ade. La sua è l’unica presenza femminile fra registi e sceneggiatori e ho già letto di qualcuno che, sottolineando il fatto, vorrebbe montare un altro caso come quello sollevato l'anno scorso da Spike Lee con #Oscarsowhite, che innegabilmente si è rivelato una spinta fondamentale per la marea di black movies e black actors candidati quest'anno.
Se riuscisse anche questa becera operazione, fra i candidati 2018 ci saranno tante registe e sceneggiatrici e ... a quale categoria "trascurata" toccherà fra due anni? Agli asiatici, ai nati in USA, o ad altri raggruppati per sesso (non solo i consueti due), religione, ...
Sarà mai possibile vedere scelte che non siano razziste, maschiliste, omofobe o, al contrario, che favoriscano in modo palese categorie di piagnoni? Ci libereremo mai delle manovre sottobanco o dietro le quinte che dir si voglia?
Non  si potrebbe (come in effetti si dovrebbe) giudicare solo ed esclusivamente in base alla qualità del film, interpretazione, tecnica, e via discorrendo?

mercoledì 22 febbraio 2017

Piove ... niente rilievi ... ottimo surprise potluck hawaiiano

Nonostante le previsioni di poche gocce fino alle 9, per tutta la mattinata ci sono stati brevi ma intensi scrosci di pioggia. Appena entrato all'Orto Botanico dall'ingresso del personale, mi ha bloccato Iris invitandomi al party mangereccio da lei organizzato per festeggiare Josh, appena nominata direttrice degli Honolulu Botanical Gardens. Non c'è voluto molto per convincere Naomi (la botanica con la quale sarei dovuto andare a rilevare la mappa di un altro Orto) a rinunciare ad un giro sotto la pioggia e nel fango e cambiare il programma in revisione di un'altra cartina e POTLUCK!
Cosa sarà mai un potluck? Semplice, è il termine comune con il quale negli States si indica un party gastronomico nel quale ognuno porta qualcosa da mangiare. Il termine nasce con altro significato dalla combinazione di pot (pentola) + luck (fortuna) ma ormai è divenuto di uso comune con il significato suddetto. Qui a Honolulu, visto che i vari piatti da spizzicare sono detti pūpū, in alternativa il potluck viene anche chiamato pūpū partyCome sottolineai nel primo post di questa serie hawaiiana, la popolazione dell’arcipelago è a maggioranza asiatica e, per fortuna, il cibo rispettava la distribuzione etnica. Ecco ciò che era sul tavolo:
  • poke di ahi (tunnide locale di taglia medio grande, fino a 2 metri)
  • vermicelli di riso stile coreano
  • riso con carne e verdure
  • sushi assortiti
  • una specie di involtini primavera
  • chili vegetariano
  • ali di pollo fritte
  • insalata verde mista
  • dolce di guava
  • ottimi biscotti caserecci secchi, non di quelli burrosi con mandorle provvisti in quantità industriale dalla zia di Iris e quindi conosciuti all'Orto come auntie's cookies, e tenuti in grande barattolo a disposizione di chiunque ne voglia.
Il giardiniere filippino si è lamentato del fatto di non essere stato avvertito per tempo e per questo ci è mancato una specialità filippina.  
Il pūpū del quale probabilmente nessuno di chi legge ha mai sentito nominare è il poke, piatto hawaiano più che tradizionale. Come anticipato, è a base di pesce ... crudo. Si può fare anche con polpo, salmone o altri pesci, ma quello con l’ahi (tonno pinna gialla) è senz'altro il più tradizionale e il più comune ... ed ottimo. L'ingrediente base è unico, tagliato a cubetti, tutto il resto sono condimento, erbe e spezie: 'alaea (detto sale delle Hawaii, sale marino grosso al quale è stata aggiunta argilla vulcanica che conferisce un colore rossastro), cipolla, chili water, scalogno, alghe, sesamo, noci macadamia, soya, olio, peperoncino o pepe, aceto.
Una volta condito e dopo aver ben mischiato, refrigerare per un minimo di due ore, ma c’è anche chi prepara il poke un giorno per quello successivo.
Ricetta fornite dall'autore, nativo di Oahu, ma come è chiaro a chiunque si diletti a cucinare, o anche solo ad assaggiare, la lista di ingredienti è molto variabile e cambia da casa a casa. Con lui ho parlato di un altrettanto famoso cibo locale, tuttavia molto meno appetitoso, ma principale fonte di carboidrati e amido: il poi , una specie di densa purea di taro, tubero simile alla patata ma molto più ricco di amido (e molto meno saporito). Per secoli è stato l’alimento base della dieta polinesiana in genere, per il suo alto contenuto di carboidrati complessi ed in particolare amido, oltre ad essere ricco di vitamina A. Nella foto a sx potete avere un'idea di come si presenta ... 

A quelli ai quali piace sperimentare e sanno come combinare gli ingredienti, consiglio certamente di provare ad adattare il poke, egualmente non suggerisco di perdere tempo a cercare il taro per preparare il poi.
Nota puramente statistica: anche i presenti rispettavano la ripartizione delle "razze" alle Hawaii, fra la quindicina di presenti, gli haole (i "bianchi") erano solo 4, contando anche me, 3 gli hawaiiani, il resto asiatici.

domenica 19 febbraio 2017

“Sonita” (Rokhsareh Ghaem Maghami, Ger, 2015)

Sonita (Rokhsareh Ghaem Maghami, Germania-Svizzera-IRAN, 2015) 
con Sonita Alizadeh, Latifah Alizadeh, Fadia Alizadeh 
IMDb  7,9   RT 100%
  
Secondo film di oggi nell’ambito della rassegna Women in Film, un biopic-documentario sulla vita (più che altro adolescenza visto che oggi ha 20 anni) della rapper afghana (proprio così) Sonita Alizadeh il cui caso fece clamore, destò interesse in alcuni membri di associazioni no-profit di difesa dei dritti civili ed in particolare la Strongheart Group che le assegnò una borsa di studio.
Non si può chiamare documentario (non c'è commento esterno) né biopic per riferirsi solo ad un brevissimo periodo della vita di Sonita che grazie alle strofe di Daughters for Sale (vedi video) da profuga afghana rifugiata in IRAN non solo è riuscita a sfuggire alla "vendita" come sposa. ma è arrivata al successo internazionale coronando il suo sogno.
Per questo film, invece dell'usuale micro-recensione accompagnata da poster e qualche foto, allego il video del pezzo più rappresentativo composto, come gli altri del film, dalla stessa Sonita che oggi ha 18 anni e vive negli Stati Uniti. Leggete con attenzione i sottotitoli, un ottimo testo scritto da una sedicenne.
La piccola troupe iraniana che la segue nella scuola per ragazzi di strada, orfani e rifugiati continua seguirla quando diventa un caso emblematico ed interessante. Senza documenti, vive con una sorella mentre il resto della famiglia si trova ancora a Herat (Afghanistan) , chiaramente non vuole essere venduta e al contrario di tante altre fa il possibile per opporsi, la scuola l'appoggia ma non può intervenire, né può assecondarla più di tanto nella sua passione poiché, ufficialmente, neanche in IRAN le donne possono cantare in pubblico né incidere dischi.
Il film mette il dito in parecchie piaghe oltre la già citata tratta delle giovani spose. Gli stessi familiari (anche madre e sorelle) non hanno alcuna considerazione per la ragazza e ad aggravare il giudizio su questa “consuetudine” si scopre che il ricavato non serve per il sostentamento della famiglia (come in un primo momento dice la madre) ma per comprare una sposa al fratello maggiore ... si vende una figlia per comprare una nuora! 
Al di là di ogni altra considerazione, una vera follia! 
   
Oltre a ciò si sottolineano, e si vedono, le differenze culturali fra IRAN e Afghanistan, paesi nei quali il film è stato effettivamente girato.
Questo buon prodotto cinematografico (ma non certamente eccelso) è senz'altro molto più interessante per i contenuti e ha ottenuto 2 premi al Sundance e un’altra quindicina di vittorie; in Italia ha partecipato nel 2016 al Biografilm Festival dove è stato premiato come miglior film d’esordio.
   
A chi è interessato alla storia di Sonita suggerisco di leggere questo post, seppur breve è interessante ed abbastanza esaustivo

venerdì 17 febbraio 2017

Sarebbe meglio vedere solo il passato o solo il futuro?

Più che un post, domande (apparentemente) senza senso.
Prendo spunto dal soggetto di un corto d'animazione candidato all'Oscar visto un paio di giorni fa: Blind Vaysha (blind = cieca). (short di Theodore Ushev, Canada, 2016, 8 min, IMDb 7,7)
In effetti la giovane protagonista Vaysha non è “non vedente” ma i suoi occhi, di diverso colore, hanno caratteristiche opposte e incredibili: uno vede solo il passato e l'altro solo il futuro. La logica terribile conseguenza è l'impossibilità di vivere il presente essendo ancorata al passato e angustiata dal futuro.
Trovandovi nella medesima situazione della ragazza e dovendo rinunciare ad un occhio, di quale (forse volentieri) fareste a meno?
Questo quesito mi era già balenato in mente al solo leggere la mini-trama e poi ho scoperto che lo stesso interrogativo se lo pone la protagonista del cortometraggio.
Per quanto astruso, il dilemma ci porta a considerare l’importanza che ciascuno di noi dà a passato e futuro, anche senza voler considerare il completo distacco dal presente. Quanto sono importanti i ricordi, il conoscere il passato di chi ci vive intorno e l’esperienza acquisita negli anni precedenti e quanto potrebbe essere importante conoscere eventi futuri? In particolare nel secondo caso, sarebbe un vero vantaggio?   
La prima situazione potrebbe non cambiare molto la nostra vita e la si potrebbe assimilare ad una amnesia totale, mentre l'altra avrebbe effetti notevoli, potenzialmente devastanti, in quanto senza dubbio condizionerebbe tutte le nostre scelte. Tuttavia, in questo secondo caso le conseguenze sarebbero molto diverse a seconda di ciò che vediamo in anticipo, se è di carattere generale (che non ci tocca direttamente in prima persona) o di fatti inerenti alla nostra sfera personale.
A partire dalle diverse varianti di questa assurda ipotesi ci si può comunque scervellare a piacimento da soli o anche intavolare interessanti e argute discussioni.

martedì 14 febbraio 2017

“Il Fato è il risultato della somma delle proprie stupidaggini” (Ove)

Molti già conoscono la mia passione-ossessione per l’osservazione della stupidità umana e quindi non si meraviglieranno di questo ulteriore post sul tema dopo aver trattato in vari post di vari anni l’affascinante teoria delle Leggi della stupidità umana del prof. Carlo Cipolla. Non vi fate ingannare dal titolo dello studio (molto acuto) né dal cognome dell’autore (vero), stimatissimo docente di storia economica in Italia e negli Stati Unti.
Vari giorni fa mi ero ripromesso di tornare sull’argomento e il caso ha voluto che in tre giorni ho visto casualmente (ma non troppo) tre film che per motivi diversi sono attinenti alla stupidità umana. I tre hanno in comune il fatto di essere fra i 5 candidati all’Oscar per il miglior film di lingua non inglese.
Nel primo, A man called Ove (Hannes Holm, Swe), il protagonista pronuncia una meravigliosa frase che, a prescindere dall’essere originale o meno, decisi all’istante di utilizzare come titolo del post e che mi fa piacere ripetere per ribadire il mio apprezzamento per l’aforisma: 
“Il Fato è il risultato della somma delle proprie stupidaggini”.
Nei due film successivi The Salesman (Asghar Farhadi, Iran) e Toni Erdmann (Maren Ade, Ger), seppur in contesti assolutamente differenti e con intenzioni  e toni ancor più diversi, le azioni, le reazioni e le situazioni create volontariamente o subite senza cercare di porre rimedio pur essendo chiari i più che probabili danni  conseguenti forniscono innumerevoli spunti di riflessione. Nel primo uno “sfortunato” evento (comunque conseguenza di una leggerezza della protagonista) causa una serie di reazioni a catena che mina alla base il rapporto con il partner che (quando ha qualche buona idea) viene ostacolato e vi rinuncia quasi passivamente ... continuando ad aggravare la situazione. Nel secondo il rapporto difficile è padre/figlia ed entrambi fanno il possibile (secondo loro a fin di bene e per affetto) per rovinarsi vita e carriera ... ma questa è una stupida commedia, neanche divertente.
Sottolineando che nessuno è del tutto esente da comportamenti simili, il fatto di essere più preparati sul tema e la capacità di prendere atto dei propri errori in tempi quanto più brevi possibile, spesso sono sufficienti a limitare i danni e ad evitare catastrofi. Talvolta può sembrare che si vada contro i buoni sentimenti, la solidarietà e l’ affezione (dall’amore parentale/filiale, all’amicizia, all’affetto verso animali) ma se il risultato deve essere un danno per entrambi i soggetti, “cinicamente” (ma non troppo) penso che si debba evitare di cadere nei luoghi comuni in modo che almeno uno dei due soggetti “si salvi”.

Sulla scorta delle Leggi della Stupidità Umana del prof. Cipolla, dividerei in due grandi categorie quelli che lui chiama “stupidi” che oltre che nel loro quadrante si trovano anche in quelli contigui fra i banditi e gli sprovveduti e tutti insieme formano la massa di autolesionisti. La mia osservazione è che molti di questi sono più che responsabili delle loro disavventure, facendo il possibile per cacciarsi nei guai senza mai applicare alcuna regola di buonsenso o di cautela. Certo esistono eventi sfortunati imprevedibili che è quasi impossibile evitare, ma se (statisticamente) ad ognuno di noi ne spetta una parte perché accollarcene ulteriori per nostra propria scelta (colpa)?
Penso che le vie dell'autolesionismo debbano sostanzialmente dividersi in due grandi gruppi: quella diretta e quella "di ritorno". Per portare esempi banali ma tristemente reali, il primo comprende chi, da savio, volontariamente si ubriaca pur sapendo che deve tornare a casa in auto e poi si sfracella; il secondo quelli che da sobri, pur vedendo un loro amico palesemente ubriaco mettersi alla guida, non solo non lo fermano, ma per assisterlo e non volendolo offendere facendogli notare che è ubriaco, salgono nella sua macchina sfidando la sorte.
Molti sono i casi simili che comprendono anche tutte quelle altre azioni "buoniste-educative" di nobili intenzioni, ma in effetti ci si affida a degli inesperti, o peggio, incapaci, per portare a termine compiti non alla loro altezza. Qui il discorso viaggia su un filo di rasoio in quanto è molto difficile percepire il limite fra il dare la necessaria fiducia a principianti, studenti e apprendisti (altrimenti come imparano?) e mettersi ciecamente nelle mani di persone oggettivamente non preparate  per determinati mansioni.

Comunque sia e comunque la pensiate, direi che un po’ di attenzione, buonsenso e prudenza ci farà forse perdere quale occasione unica (anche se non c’è controprova) ma senz’altro ci eviterà un sacco di grattacapi.

Ricercando "stupidità" in questo Blog troverete numerosi post di vari anni fa che comprendono anche dettagliati commenti in merito alla Teoria del Cipolla.

domenica 12 febbraio 2017

OSCAR 2017 - le mie previsioni,le mie speranze

Con Lion, appena visto e recensito, ho completato le visioni di tutti i film candidati agli Oscar nelle categorie principali (miglior film, regia, sceneggiature, fotografia e montaggio) quindi posso dire di avere un buon quadro della situazione a differenza dei tanti che, per loro sfortuna, ne avranno visto sì e no una metà. Per esempio, leggo che Fences dovrebbe uscire il 23, Manchester by the Sea e Moonlight il 16 (pur se presentati a Roma a ottobre scorso) e il pur ampiamente elogiato Hell or High Water non è proprio arrivato nelle sale italiane ed è possibile guardarlo solo online,  ... quindi molti dei giudizi che leggo in rete tipo “vincerà”, “deve vincere”, “il migliore dell'anno” sono innegabilmente basati su una conoscenza a dir poco parziale.
Film "indegni" non ce ne sono di certo fra i 9 contendenti all'Oscar più importante, tutti molto diversi fra loro, ma certamente ciascuno di noi opinerà che fra essi ce ne sia qualcuno ampiamente sopravvalutato e che altri avrebbero meritato la Nomination. Le considerazioni che seguono non sono assolute, ma relative a comparazioni nell’ambito di ogni singola categoria e comunque le previsioni/speranze restano opinioni assolutamente personali.
   
MIGLIOR FILM
Manchester by the Sea ed Hell or High Water per me sono nettamente i migliori del lotto, drammatici al punto giusto, senza esagerare, buone storie ben trattate nella sceneggiatura e tanto spazio agli attori per dimostrare il loro valore, insomma buon cinema. Hell ha anche vari momenti da black comedy, Manchester è più serio e drammatico, il primo è quasi indipendente, il secondo ha avuto un buon lancio ed ha raccolto innumerevoli premi, in questo campo penso sia secondo solo a La La Land. Fra i due Manchester ha più possibilità.
    
Immediatamente dopo vedo Fences (un ottimo lavoro ma “troppo” teatrale, interpretato nel migliore dei modi) e Arrival (intelligente e coinvolgente, ben fatto, limitate possibilità per gli attori, poco spettacolare). Entrambi mi sono piaciuti molto, il primo di più, ma penso che in ottica Oscar le suddette caratteristiche sono un pesante handicap, quasi irrecuperabile.
La mia terza fascia comprende  Moonlight (sul quale sto ancora riflettendo), Hacksaw Ridge (spettacolare ma esagerato e in troppe scene irreale per rendere credibile una storia tuttavia vera) e quello che sembra essere il superfavorito La la Land il quale, secondo me, è solo un buon prodotto commerciale con tante piccole pecche. Non intravedo spiragli per Lion (condannato dalla seconda parte) o Hidden Figures (troppo commedia-favoletta edulcorata).
  
MIGLIOR REGIA
Come quasi sempre accade, il discorso è molto simile a quello appena fatto visto che il lotto è composto da 5 film presenti anche nella categoria precedente. Tuttavia direi che Manchester (che resta il mio preferito) ha due concorrenti più che temibili in Hacksaw ridge e La La Land, certamente più spettacolari e movimentati. Non penso ci siano speranze per Moonlight e Arrival che si dovranno accontentare della Nomination.
Miglior sceneggiatura originale 
Se si dovesse giudicare in base all’originalità (nel vero senso della parola) dovrebbe essere uno scontro fra Hell e The Lobster, ma visto che ovviamente non è questo il senso, la lotta è apertissima e La La Land, Manchester by the Sea e 20th Century Women hanno praticamente quasi le stesse possibilità.
Comunque, le mie preferenze vanno di nuovo a Hell e Manchester.
  
Miglior sceneggiatura non originale 
Questo Oscar non dovrebbe sfuggire (e non penso che sfuggirà) ad August Wilson autore sia del lavoro teatrale originale (Premio Pulitzer 1985) che dell'adattamento di Fences. Oltre al suo indubbio valore, credo che peserà anche il fatto che è un Oscar postumo visto che lo scrittore in questione, considerato il più importante drammaturgo afro-americano, è deceduto nel 2005.
In seconda battuta vedo Arrival, non avendo apprezzato gli altri contendenti (Hidden Figures, Lion e Moonlight) per come hanno trattato dei pur buoni soggetti originali.
Miglior montaggio
Se Hacksaw Ridge spera di portare a casa almeno una statuetta (che probabilmente merita), questa è senz’altro la categoria nella quale ha maggiori possibilità. Se non vincesse, vedo alla pari Hell or High Water e La La Land, poche speranze per Arrival e Moonlight.
Miglior fotografia
Tutti i candidati nei gruppi precedenti facevano parte del lotto di 9 che si contendono l’Oscar per il miglior film (con l’eccezione di 20th Century Women e The Lobster) e ciò dimostra il loro valore, ma per la fotografia c’è un nuovo contendente che molto probabilmente risulterà vincitore in questa categoria: Rodrigo Prieto con Silence. Prieto è uno dei tanti talenti messicani delle nuove generazioni giunti a Hollywood, ad ennesima dimostrazione della grande tradizione cinematografica messicana (dato uno sguardo al suo curriculum).
A seguire vedo Arrival (per la gestione degli eptapodi e della loro forma di scrittura) e l’onnipresente La La LandDistanziati Lion, meritevole solo per la prima parte, ma per sua sfortuna i film si giudicano per la loro intera durata, e Moonlight che ha più o meno lo stesso limite, vale a dire che merita per le scene nella città quasi deserta con campi lunghi e colori inconsueti, ma non per il resto del film.
  
Queste le prime 6 categorie, a metà settimana prossima commenterò le 4 categorie attori (anche se mi mancherà qualche interpretazione), quella dei film stranieri (dovrei arrivare a 3 su 5: A Man Called Ove, The Salesman e Toni Erdmann) e gli short di animazione e live action (che avrò occasione di guardare martedì e mercoledì prossimi). 
In linea di massima, a meno di idiosincrasie insormontabili, dovreste andare a guardare tutti i candidati, sempre che ne abbiate l'occasione. Buone visioni.

venerdì 10 febbraio 2017

Orchidee e altri fiori al Foster B. G. di Honolulu

Molti visitatori si sorprendono per la scarsità di fiori presenti in tanti Orti Botanici, eppure è normale in quanto questi sono di solito orientati più verso la conservazione degli alberi che dei più appariscenti fiori.
Talvolta anche gli alberi sfoggiano splendide fioriture che però spesso si possono apprezzare solo come sguardo d'insieme a causa della distanza da terra.
In molti Orti ci sono però serre più o meno grandi nelle quali si possono ammirare interessanti collezioni, le più frequenti sono quelle di succulente (comunemente dette anche piante grasse) e di orchidee.
Il Foster Botanical Garden (FBG) di Honolulu ha una sola serra, Orchids Conservatory, che come è facile capire è dedicata quasi esclusivamente alle orchidee. Così oggi, terminati i miei rilievi sono andato ad effettuare una battuta di caccia fotografica, accompagnato e guidato nientepopodimeno che dal "conservatore" in persona: Randy.
   
Le prime due foto rappresentano il Paphiopedilum Leeanum,  orchidea appartenete al genere che comprende tante specie comunemente conosciute come  sandalo di Afrodite” o “scarpetta di Venere”. Con questo stesso nome in Italia esiste una specie simile (Cypripedium calceolus) che è a rischio ed è la più grande orchidea della nostra penisola.
Qui in alto è l'Epidendrum ciliaris, E. ciliare, e se ne comprende il motivo. 
Fra le tante ve ne propongo alcune che mi sono sembrate insolite per aspetto e/o combinazione di colori.
   
Visto che c’ero ho scattato qualche altra foto nel Butterfly Garden (giardino delle farfalle) dove sono state create aiuole piene di fiori che attirano i lepidotteri. 
Qui in basso la Poinsettia giamaicana
  Questo è un anticipo, a breve altre foto.

mercoledì 8 febbraio 2017

Honolulu Art Museum e una considerazione

Se non ricordo male, è da giugno che non parlavo di musei, così dai Rijksmuseum e Van Gogh M. di Amsterdam con un gran salto approdo direttamente all'HMA, Honolulu Art Museum, relativamente piccolo rispetto ai grandi europei e americani continentali, ma con vari motivi di interesse.
La struttura a due livelli copre una grande superficie in quanto oltre alle sale conta una mezza dozzina fra chiostri e corti interne, con opere esposte, decorazioni alle pareti e spesso con prato e/o alberi. Due ospitano rispettivamente una caffetteria classica e un Art Café che funziona anche da ristorante dalle 11 alle 14. Alle spalle del museo, con accesso indipendente oltre che dalla struttura principale, c'è il Doris Duke Theatre, che ho già citato più volte a proposito delle ottime rassegne cinematografiche ma il cartellone propone anche teatro, conferenze e musica.
   
Delle varie collezioni sezioni trovo particolarmente interessanti quelle asiatiche e quella polinesiana che sono continuamente arricchite da donazioni dei residenti e delle loro associazioni etniche. Per quanto riguarda la Polinesia ho visto di meglio solo a Auckland, New Zealand.
Ecco un paio di pezzi fra quelli che mi hanno particolarmente interessato
   
A sinistra una enorme testa lignea del '700 di una delle divinità più amate e rappresentate dell'Hinduismo: Nandi, il toro che trasporta Shiva.
A destra statua lignea della prima metà dell’XI sec. prodotta in Cina  rappresentante Guanyin (o Guan Yin), per i buddisti dell'estremo oriente bodhisattva associato alla compassione.
A sinistra coperchio di cestino intrecciato, rappresentate un orso polare che ha catturato una foca. Un'ultima nota, significativa: come quasi tutti i musei e simili qui negli States come in altre parti del mondo, si ha la possibilità di associarsi diventando member a costi ragionevolissimi. 
Pensate che con i soli 25 dollari della basic membership (il normale biglietto d'ingresso costa 10) si entra gratis per un anno intero e si hanno sconti per gli spettacoli, sugli acquisti nello shop e al ristorante. Questo criterio fa sì che i musei siano vivi, frequentati, fornendo occasioni di scambio di idee, si va al museo anche per ammirare solo un paio di pezzi e casomai commentarli poi nel patio della caffetteria o al ristorante.