venerdì 30 dicembre 2016

Breve post augurale-“filosofico”

L’assortimento delle 7 foto incluse nell’e-card augurale è più o meno casuale, ma non del tutto. Le ho scelte fra le mie del 2016, sono relative a destinazioni diverse fra quelle adatte per dimensioni e proporzioni, da ognuna si possono trarre vari significati o semplici allusioni (ciascuno le potrà interpretare a proprio piacimento) ma soprattutto mi piacevano, sia per loro originalità che per non avere un legame immediatamente percepibile.
Penso che il mio augurio (più che altro uno stimolo) sia ben chiaro e vi assicuro che riflette un mio modo di vedere le cose, concetto ben radicato in me da decenni e sperimentato con successo più volte ... ovviamente non fornisco alcuna garanzia!
Questa mia visione, che trova anche ampio riscontro sia nello sport e che nella teoria del gioco, secondo me è un’ottima regola di vita a condizione che non vada illecitamente a discapito di altri. Si deve sempre mirare a obiettivi non ancora raggiunti altrimenti non si migliorerà mai. 
Tuttavia, bisogna guardarsi dall’esagerare inseguendo traguardi oggettivamente irraggiungibili per non vivere fra continue delusioni, frustrati e inutilmente invidiosi di chi sta più su, più avanti o comunque meglio di noi.
Mirando troppo in alto, qualunque sia l’avanzamento ottenuto (che in altre occasioni ci avrebbero soddisfatto ampiamente) questo apparirà come un fallimento totale per essere ben lontano dall’obbiettivo (oggettivamente irraggiungibile).
La nostra abilità deve essere quella di individuare target difficili ma non impossibili, ai quali ci possiamo avvicinare ma non raggiungere del tutto, in modo che ci rimanga sempre la voglia di migliorare.
Io sono uno di quelli che crede che sia sbagliato mirare ad un “massimo assoluto” in quanto oltre quello non c’è più “niente”.

Non puntate ad un semplice minimo miglioramento, guardate al di là del plausibile fino al difficile ma tuttavia possibile ... tenendovi a distanza di sicurezza dall’assolutamente irrealizzabile.

lunedì 26 dicembre 2016

Avete già provato il "Bottle-Flipping"?

Questa recentissima mania può essere divertente per i ragazzi, ma presto diventa una tortura per gli adulti. Passatempo alquanto insulso, assolutamente innocuo, economicissimo, eppure diventa rapidamente esasperante per chiunque si trovi nelle vicinanze.
Non so se e quanto sia diffuso in Italia ma qui l'avevo già notato da oltre un mese. 
Passeggiando sentivo spesso il caratteristico rumore di una bottiglietta di acqua (contenitore di plastica) che cade a terra e ben presto mi resi conto che non era conseguenza di una epidemia di paralisi delle dita ma di un gioco assillante. 
Infatti, intercalato ad ogni mezza dozzina di “tonfi” si sentiva un adulto dire “Stop it!” (Smettila!).
Questo "sport", qualcuno lo definisce tale e già si ipotizzano tornei e campionati, sembra sia stato “inventato” da uno skateboarder belga nel 2007, ma solo a maggio di quest'anno è diventato virale. In un Talent Show organizzato dagli studenti di una high school del North Carolina, tale Michael (Mike) Senatore concorreva facendo sfoggio di questa sua "eccezionale" abilità.
Questo è il video originale guardando il quale potrete apprezzare la musica appropriata, l'entrata scenografica, il tifo ed ovviamente, appena realizzata l'impresa", l'esplosione di gioia dei suoi amici ... e fin qui sana goliardia.

"Purtroppo" i tanti video della "incredibile" prova sono prontamente finiti online e fra youtube e facebook in brevissimo tempo sono diventati virali dando inizio alla mania del bottle flipping.
A metà ottobre 15 se ne è occupato come problema sociale perfino il New York Times, in quanto insegnanti, genitori e semplici frequentatori di luoghi pubblici hanno cominciato a protestare per i continui “stump” che portano diritti al manicomio. 
Immaginate 3 o 4 ragazzini, ognuno con la sua bottiglietta, che giocano per ore intere ... sicuramente possono effettuare 15-20 lanci al minuto!
In rete già si trovano i flipping più incredibili, fake o estremamente fortunati, tutorial, lezioni, spiegazioni e via discorrendo.
Volete provare? 
Procuratevi una bottiglia di plastica, riducete il contenuto (fra un terzo e metà), richiudetela bene e cominciate a dar fastidio a chi vi sta attorno lanciandola, facendola roteare, volteggiare e continuate a provare finché non abbiate raggiunto la perfezione a meno che prima di allora qualcuno non vi abbia malmenato ...
Dopo “approfonditi” studi è stato stabilito che una bottiglietta riempita per 1/3 della sua capacità facilita l’operazione, ma anche la forma è importante. 
Le migliori sono quelle “a clessidra”, cioè con una strozzatura al centro, in quanto trattengono il liquido nella parte inferiore del contenitore favorendo l’atterraggio con il fondo.
Qui a sinistra ci sono i risultati dello studio scientifico effettuato da tale Nathaniel Stern, "assistant professor" di fisica e astronomia presso la Northwestern University (Illinois, USA).


Sconsiglio vivamente l'uso di bottiglie di vetro ...  :-) 

sabato 24 dicembre 2016

Bufale online: malafede o semplice ignoranza e sciatteria?

Dal grande al piccolo tutto il mondo è paese.

Avrete forse letto della disavventura di Ivanka Trump ...
Non voglio assolutamente entrare nel merito di chi abbia torto e chi ragione, né su come si siano svolti realmente i fatti, ma solo portare l’attenzione sull'evidente discrepanza fra titolo e contenuto delle poche righe connesse.
Leggete il titolo e poi la parte sottolineata in rosso verso il fondo del trafiletto. 
Si tratta di una stessa persona che ha le idee molto confuse o di un titolista che non legge il pezzo e scrive due righe a casaccio?
Da queste contraddizioni conseguono le inutili e infinite polemiche fra persone che, oltre ad essere spesso prevenute, commentano avendo letto solo il titolo e sono "insultate" da quelle che hanno letto anche il resto ...  
Venendo al piccolo, ieri ha attirato la mia attenzione questo titolo apparso su un giornale locale online.
Conoscendo Sorrento come località turistica e tranquilla sono andato a leggere il pezzo e ho scoperto che si trattava della solita bufala per attirare l’attenzione o per denigrare Sorrento (scegliete voi o fate altre ipotesi). Infatti nel testo si contraddice assolutamente quanto annunciato nel titolo. 
Nel caso non conosceste la geografia della provincia di Napoli, faccio presente che Torre del Greco si trova sul litorale vesuviano a 15km da Napoli e 40 da Sorrento e, volendo riferirsi ai tempi di percorrenza della linea della Circumvesuviana, la stazione di via del Monte (Torre del Greco) si trova a 25 minuti da Napoli e 43 da SorrentoInfine i ladri (due e non una “baby gang”) sono saliti e scesi dal treno in quella stazione, quindi non avevano niente a che vedere con Sorrento. 
E allora cosa rimane? Le turiste erano partite da Sorrento! E come logica vuole (ma solo quella perversa del titolista di turno) il crimine è da ubicare a Sorrento e (sottinteso) si incolpa qualche sorrentino. Con questo criterio, a sua discrezione avrebbe anche potuto indicare Castellammare di Stabia o Pompei (fra Sorrento e Torre) o Ercolano o Portici (verso Napoli), tutte più vicine di Sorrento!
Essendo così creativi a avendo tutta questa fantasia perché non si mettono ascrivere fiction invece di diffondere notizie fasulle e fuorvianti?

Chiudo con una esperienza personale. Una dozzina di anni fa, andando ad Amalfi con amici e colleghi di lavoro, caddero alcune pietre sul minivan nel quale viaggiavamo, danneggiando la carrozzeria e rompendo un finestrino. Il giorno dopo su un quotidiano di Salerno venne riportata la notizia con il pulmino ingrandito, maggior numero di passeggeri che nel frattempo erano diventati turisti americani e nome del guidatore errato (ma non il cognome e la ditta) il quale, secondo il “giornalista”, era rimasto ferito, cosa assolutamente non vera in quanto l’unico “danno fisico” lo subii io con un taglietto sul dorso della mano causato da una scheggia di vetro ...
E voi, vi fidate di quanto riportato dai giornali?

mercoledì 21 dicembre 2016

Esiste ancora la lealtà sportiva?

Sembra che molti abbiano dimenticato l'originale significato della parola sport, o forse non l'hanno mai conosciuto e di conseguenza agiscono in modo assolutamente contrario anche ai criteri più basilari.
Sport: parola di origine latina - francese - inglese che significa anche e soprattutto svago, divertimento e di conseguenza anche gioco. La parola inglese, versione con la quale il termine si è diffuso in tutto il mondo, veniva anche utilizzato per indicare una persona gioviale, socievole, allegra e spiritosa, insomma un "amicone".
Oggi lo sport sembra invece essere sinonimo di competizione quasi estrema, senza regole, e quello che una volta era chiamato “agonismo” (sano), quello che è normale che ci sia in una qualunque gara “sportiva” di forza o di abilità , è diventato "cattiveria" quindi proprio all'opposto del concetto di lealtà sportiva.
Sembra che molti pur di vincere ad ogni costo, non abbiano alcuno scrupolo ad usare qualsiasi sotterfugio e non mi riferisco solo a droghe, ma anche attrezzature truccate, corruzione di giudici o arbitri e via discorrendo, e ciò che trovo più grave è il fatto che questo andazzo viene tranquillamente accettato come normale e quindi giustificato. Basti pensare al calcio dove la simulazione, talvolta tanto plateale da essere addirittura ridicola, è all'ordine del giorno e chi riesce ad ingannare gli arbitri viene visto quasi come un eroe e come tale ammirato e applaudito dai suoi sostenitori. 
Chi non conosce i cosiddetti “tuffatori” o quelli che appena vedono un braccio avversario alzato nel raggio di mezzo metro crollano al suolo fulminati, contorcendosi, urlando di dolore e coprendosi il volto con le mani. 
E come se non bastassero i giocatori, ci si mettono anche gli allenatori.
In altri sport le stesse federazioni e organi di controllo (internazionali, non del quartiere) sono coinvolti direttamente come per la copertura dello scandalo doping in Russia o per i risultati confermati nei tornei di pugilato alle recenti olimpiadi nonostante sia stata ammessa la corruzione dei giudici visto che ben 36 giudici sono stati radiati.
Ormai molti sono convinti (a torto o a ragione non sta a me dirlo) che in sport come il ciclismo o alcuni settori del podismo tutti usino un qualche tipo di doping anche (pare soprattutto) quelli di basso livello, gli “amatori” che rischiano di rovinarsi la salute per vincere un prosciutto o fregiarsi del titolo di campione rionale o stabilire il record di "giro dell'isolato".
Ormai il confronto con chi tollera quest’andazzo con la stupida frase “tanto si dopano tutti”, chi accetta l’imbroglio o la deprecabile “furbizia in malafede” e sostiene che tutto ciò sia giusto o quantomeno resta indifferente a questa situazione è estremamente difficile per la totale mancanza di “senso sportivo”.
Vi cito il caso, riportato su molti giornali un paio di mesi fa, di una gara del campionato mondiale di triathlon nella quale a poche centinaia di metri dall'arrivo Jonny Brownlee era prossimo a crollare a terra per sfinimento, ma per sua fortuna sopraggiunge il fratello Alistair (campione olimpico) che praticamente lo trasporta fino al traguardo. 
Tanti hanno osannato Alistair che perse la gara per aiutare il fratello ma la polemica sorse in quanto i giudici non squalificarono Jonny come avrebbero dovuto. I regolamenti di atletica, triathlon, corsa, ciclismo, ecc. (molto simili e molto chiari in merito) prevedono la “logica norma sportiva” che stabilisce che gli atleti debbano giungere al traguardo con le proprie forze, senza alcun aiuto da parte di altri concorrenti, tecnici o terzi. Nella maggior parte dei casi la regola è stata rispettata per Dorando Pietri alle Olimpiadi di Londra 1908 (sorretto da un giudice), Nibali (appeso all’auto del suo manager per qualche centinaio di metri in una gara a tappe di migliaia di chilometri) e per tanti altri che furono squalificati.
Con mia sorpresa ho notato che quasi la metà dei commenti in calce agli articoli sui fratelli Brownlee erano favorevoli alla “non-squalifica” di Jonny ... senza alcuna considerazione per gli altri concorrenti che sono arrivati stremati ma esclusivamente con le proprie forze e quelli che si sono dovuti ritirare per crampi o disidratazione non avendo la fortuna di avere un fratello in gara! 

lunedì 19 dicembre 2016

I vegani intolleranti e le nuove "5 sterline"

Con tutto il rispetto per vegani e vegetariani si deve ammettere che alcuni di loro, per fortuna una minima frangia, stanno diventando estremisti, fanatici e antidemocratici, comportandosi talvolta come veri e propri terroristi.
Nel caso citato nel titolo la protesta è stata abbastanza civile, ma certamente assurda e insulsa, per lo più alimentata ed espressa online con i soliti commenti eccessivi. 
Riassumo i fatti per chi non ne fosse a conoscenza: a fine novembre, dopo che da un po’ circolava voce per la produzione delle nuove banconote da 5 sterline (UK) fosse stato usato anche grasso animale, un attivista ha chiesto “via Twitter” (siamo già alla follia) conferma di ciò alla Bank of England e nello stesso modo un solerte funzionario ha prontamente replicato che era vero e da qui parte il tam-tam mediatico, la notizia circola e giunge anche su varie testate straniere.
Ci sono considerazioni che, a mio modesto parere, sono dettate dal buon senso e che vanno contro la pretesa di questi integralisti di ritirare i 329milioni di pezzi da dalla circolazione.
Nel far circolare la notizia hanno praticamente travisato i fatti, lasciando intendere che decine, se non centinaia, di migliaia di animali sarebbero stati macellati per ricavare la quantità di sego necessaria. Un ricercatore ha fatto i debiti calcoli (li trovate qui, ma ve li riassumo) ed ha evidenziato che le “tracce” presenti in ciascuna banconota sono meno di 100 parti per milione, vale a dire 0.00007g considerato il loro peso (0.7g). Moltiplicandolo per i 329milioni di pezzi stampati si giunge alla conclusione che per la produzione della totale tiratura sono bastati circa 23kg (ventitre!) di sego, cioè la metà di quanto se ne può ricavare da un bovino adulto medio.
Qualunque essere umano pensante (e non invasato) è in grado di capire che certamente non si è scelto l’esemplare da “sacrificare ritualmente”, ma semplicemente si è utilizzato un insignificante parte di un derivato della macellazione a fini alimentari. Sappiate che nel Regno Unito vengono macellati 9,8 milioni di maiali, 18mln di tacchini, 945mln di polli 15mln di ovini e 2,6mln di bovini. 
Veramente qualcuno pensa che la ipotetica mezza vacca sacrificale” macellata per ricavarne il sego per le banconote sia un argomento di discussione serio?
Qual è il prossimo problema? Questa parte di vegani (minima, ce ne sono tanti altri più sensati e tolleranti) si rifiutano di maneggiare le nuove banconote e quindi ci sono già vari esercizi commerciali del settore vegano-vegetariano che hanno affisso cartelli con la dizione: "Non si accettano le nuove 5 sterline". 
Anche in questo caso ai più sorge il sospetto che si tratti di pura pubblicità perché è noto dalla notte dei tempi, o almeno da quanto è stato creato il concetto del danaro, che “pecunia non olet”. 
Non ci sono altri metodi di pagamento e altre pezzature? Questi stessi signori si rendono conto che nel corso della giornata vengono a contatto con tanti altri materiali, articoli, rivestimenti vari che contengono percentuali ben più consistenti di derivazione animali o vivono in un mondo di sola plastica e metallo? Ho omesso il legno in quanto, secondo logica, dovrebbero essere anche contrari al taglio degli alberi. Vorrebbero forse far bandire, oltre alle ovvie macellerie e pescherie, anche tutti gli altri commerci di prodotti che contengono o includono cuoio, pelli, setole, lana, per non parlare dei prodotti farmaceutici e profumi che oltretutto effettuano ricerche utilizzando animali vivi? Trovo giustificato solo quest’ultimo caso in quanto dei profumi si può fare tranquillamente a meno.
Hanno tentato di addurre anche motivazioni religiose, ma alla fine resta ancora il problema del loro modo di porsi, senza alcun rispetto per la democrazia e per i costi inutili che ricadrebbero sull’intera popolazione ... almeno sulla parte che paga le tasse. Lo 0,01% di una comunità non può “pretendere” ma chiedere e cercare di sensibilizzare altri in merito ad un dato argomento, perché se si volesse “accontentare” tutti (con richieste spesso contrastanti) non si andrebbe da nessuna parte. Per fare un esempio “natalizio” vi ricordate di quante polemiche sono sorte negli anni scorsi per presepe sì o no, bambinello di colore, crocifisso obbligatorio nelle aule anche se la scuola è ufficialmente laica, rispetto per ebrei, musulmani, ecc.?
Ricordo che anche da piccolo, prima di prendere decisioni per una qualunque attività si premetteva “La maggioranza vince”. 

giovedì 15 dicembre 2016

"Los ultimos de Filipinas", dalla storia a modo di dire

Se frequentate spagnoli e in qualche occasione vi capiterà di essere proprio gli ultimi ad arrivare o ad andare via o a rendervi conto di qualcosa, è probabile che vi chiameranno scherzosamente "los ultimos de Filipinas". 
Questa locuzione si riferisce ad un evento assolutamente reale e ben documentato che ebbe luogo appunto nelle isole Filippine durante e oltre la fine della Guerra Ispano-Americana detta anche Guerra di Cuba. Alla fine dell’800 del vastissimo viceregno della Nueva España non rimaneva quasi più niente visto che praticamente tutte le regioni dell’America Latina e Centrale si erano già conquistate l’indipendenza e allo stesso tempo gli Stati Uniti continuavano la loro politica di espansione dopo aver già preso alla Spagna gran parte del nord del Messico (California, Texas, Arizona, Nevada, Colorado, ...).
Il conflitto scoppiò a seguito dell’esplosione della nave da guerra Maine nel porto dell’Avana (Cuba), che causò la morte di oltre 250 militari, ma non è stato mai accertato che fosse sabotaggio e non semplice incidente. La Guerra coinvolse anche altri territori, molto lontani fra loro, come Puerto Rico e le Filippine. Qui, come anche a Cuba, già operavano gruppi di indipendentisti-rivoluzionari e la Spagna di allora non aveva né uomini, né soldi, né mezzi per controllare tutti questi territori così vasti e così lontani. La Guerra durò meno di 4 mesi (dal 21 aprile al 13 agosto 1898) e il 10 dicembre fu firmato a Parigi l’accordo con il quale la Spagna si impegnava a cedere le Filippine agli Stati Uniti per 20 milioni di dollari, accordo ratificato l’11 aprile 1899.
Come in ogni guerra, ci sono soldati mandati a combattere con pochi mezzi, scarsa preparazione e senza conoscere esattamente i motivi del conflitto. Così capitò a 50 di loro che, a febbraio 1898 e sotto il comando di 4 ufficilai, furono mandati a Baler, piccolissimo e isolato villaggio a circa 200 km da Manila (Filippine), per sostituire la guarnigione che era stata quasi completamente trucidata dai rivoluzionari.
La loro storia divenne “esemplare” in quanto, fra alterne vicende, scontri con gli indipendentisti, malattie letali come il beriberi, scarsezza di viveri e qualche diserzione, resistettero per quasi un anno senza mai rendersi conto dell’inizio e della fine della Guerra.
Per la verità, sia i rivoluzionari (che non avevano un vero interesse nel cacciarli da una chiesa ormai diroccata priva di alcun valore strategico e che già erano passati a combattere i nuovi nemici, gli americani) sia un ufficiale spagnolo che rientrava in patria tentarono di convincerli ma l’irremovibile tenente Martín Cerezo non si fidò neanche dei documenti e ordini scritti, ritenendoli falsi. Alla fine cedette all’evidenza quando gli furono portati vari giornali e riviste che riportavano gli esiti della guerra.
   
Così, ai 33 sopravvissuti fu concesso l’onore delle armi e non furono fatti prigionieri, né dai filippini né dagli americani e rientrarono in patria dove Martín Cerezo fu decorato e continuò la sua carriera militare e infine scrisse un libro sui 337 giorni del sitio de Baler (l’assedio di Baler).
Da qualunque punto di vista si voglia giudicare questa storia che venne ampiamente riportata sui giornali dell’epoca, atto di eroismo, perfetta strategia, abnegazione o tattica militare, diventò esempio di resistenza ad oltranza e gli assediati simbolo degli ultimi in assoluto, nel bene o nel male.
Quindi gli ultimi a lasciare una festa, o gli ultimi ad arrivare (in gran ritardo), gli ultimi ad arrendersi all'evidenza dei fatti o ad una innovazione tecnologica vengono ancora oggi chiamati "los ultimos de Filipinas". La loro storia ha anche fornito lo spunto per un paio di film, uno appena uscito.

Concludo con una delle mie solite associazioni di idee, che non poteva sfuggirmi essendo un altro modo di dire: “tira (votta) ‘na bella filippina”. 
Non ci sono dubbi in merito al significato del termine, si tratta di un vento gelido e secco (di solito la tramontana) ma per estensione si applica anche a spifferi che entrano da una porta o finestra mal chiusa. L’origine non è certa, il solito Brak scrive “... è un prestito lucano (Tursi piccolo comune montano della provincia di Matera) con riferimento al vento particolarmente pungente che spira colà nel rione della Chiesa di san Filippo Neri”, ma mi sembra un po’ debole essendo troppo localizzato e per di più in un piccolissimo paese, ma altrettanto fantasiosa appare l’etimologia proposta nel Lessico etimologico del dialetto brindisino:

lunedì 12 dicembre 2016

Soldi, sistemi non decimali e altre facezie

Una delle tante domande oziose che di recente mi sono posto e questa: perché vari paesi che pur applicavano un sistema decimale spesso si sono denominavano monete vigesimali?
    
Chiarisco, monete di valore assoluto 5, per cui 20 di esse valevano 100 o l’unità. In Italia fin oltre metà del secolo scorso (quando la Lira valeva ...) si parlava di soldo riferendosi ai 5 centesimi da cui il famoso modo di dire, ormai quasi del tutto scomparso, "ti/mi mancano 19 soldi per una Lira" (con il significato di essera "a zero", "ai piedi di Pilato", "a pane di grano", ...) che mi ricorda sempre un altro detto "'O ciuccio 'e Fichella: 99 chiaje e 'a cora fràceta!” (ma anche 33 o 39), anche se non ha niente a che vedere con il precedente, forse solo per assonanza numerica . Questo secondo modo di dire pare sia stato "coniato" (verbo più che attinente visto il tema del post) da tifosi che criticavano la squadra di calcio del Napoli per i suoi pessimi risultati agli inizi della sua attività a livello nazionale (leggi il post di Angelo Forgione).  
Risalendo all’origine del soldo ho appreso vari fatti interessanti e alcune derivazioni logiche (se uno ci pensasse). Il nome ha origine latina (solidus e poi soldus) ed è stato adattato e mantenuto nei secoli in varie parti d’Europa. Carlo Magno (742-814), fondatore e Imperatore del Sacro Romano Impero stabilì
che da una libbra d’argento (434 grammi) fossero ricavati 240 Denari oppure 20 Soldi, ciascuno quindi equivalente a 12 Denari. Vi ricordo che l’attuale Sterlina, si chiama anche Lira Sterlina ed in inglese è pound, sostantivo che indica anche l’unità di peso (libbra, attualmente equivalente a 453,592 g). Similmente in spagnolo libra indica sia la libbra (peso) che la Sterlina (valuta). Quest’ultima in origine era suddivisa secondo lo stesso criterio non decimale francese e quindi in 20 scellini (shilling) da 12 pence (pl. di penny). Nel 1971, finalmente, anche il Regno Unito si è convinto della follia di questa suddivisione (specialmente per le transazioni internazionali con tutti gli altri sistemi monetari decimali) ed ha deciso che la Sterlina è composta da 100 pence.

In Spagna fino a pochi decenni fa esisteva qualcosa di simile, ma come multiplo e non sottomultiplo delle pesetas.  Certamente anche molti di voi in qualche testo di canzone, libri o film spagnoli si sarà imbattuto nel termine duros, l’equivalente di 5 pesetas. Era quasi prassi contare e fornire prezzi a duros e non a pesetas e perfino la banconota di 100 pesetas veniva spesso indicata come “20 duros.
Tornando al soldo, è interessante l’uso che si è fatto del termine ed il significato che ha oggi e chissà quante altre derivazioni si potrebbero trovare indagando in altre lingue ed in altri paesi. Si parla di soldi per questioni economiche generali, dalla vita familiare al bilancio dello Stato, il soldo era la paga dei soldati (che per questo motivo sono chiamati così) in quanto “assoldati”, “al soldo” dell’esercito. Ancora oggi in tedesco la paga dei militari è chiamata Sold mentre in Spagna sueldo ha assunto un significato più ampio = paga, stipendio, salario. 
Anche negli Stati Uniti il 5 centesimi ha un nome comune nickel (dal materiale principale nel quale era coniato) tradotto come nichelino e così divenuto famoso per tutti attraverso le storie di Paperopoli che apparivano su Topolino, visto che Zio Paperone (Scrooge McDuck) li nominava spesso.
Concludo invece con l’irrazionalità del sistema di misura “anglosassone” che oggi sembra resistere sono negli Stati Uniti, all’avanguardia in tanti campi ma assolutamente obsoleti in questo. In quasi tutto il mondo ormai si parla di km, metri, kg ecc. ma in USA tutto è miles, feet, inches, pounds, ounces, gallons e nessuna serie è basata su multipli costanti. Per esempio, 1 miglio (statute mile, diverso da quello marino) equivale a 1.760 yards da 3 feet questi costituiti da 12 pollici a loro volta suddivisi in ottavi o 16imi (gli idraulici ne sanno qualcosa ...). 

Ma non si deve dimenticare il furlong che equivale ad 1/8 di miglio ed equivale a 10 chains = 40 rods = 220 yards = 660 feet, né il fathom (uguale a 2 yards = 6 feet) utilizzato quasi esclusivamente per misurare le profondità marine. 
A proposito di quest’ultima unità di misura citata, sappiate che era anche la profondità alla quale si dovevano seppellire i morti da cui deriva (per l’equivalenza appena citata) la locuzione or six feet under (6 piedi sotto), scelta anche quale titolo di una famosa serie televisiva americana.

Vi risparmio ulteriore discettazione relativa alle misure di capacità e volume con le pinte di 20 once liquide (fl. ounces) e le libbre di 16 ounces!
Chi viaggia negli Stati Uniti sa che non è sempre facile capire immediatamente a quanto al chilo o al litro si sta comprando con prezzo esposto in US$/pounds o US$/fl. ounces ...


Con questo sistema astruso non è certo facile eseguire i relativi calcoli non avendo moltiplicatori costanti. 

venerdì 9 dicembre 2016

Escaldón de gofio y chicharros

Non cambierei un abbinamento semplice e tipico (per le Canarie) come questo con nessuna fantasiosa combinazione di nouvelle cuisine. Tutto fresco, locale e naturale ...
Questo della foto è l’escaldón che ho mangiato ieri, derivato da un potaje con costillas (costine di maiale) e coperto da tocchetti di cipolla cruda e con un poco di mojo verde (tipica salsa canaria)... una prelibatezza. Solitamente viene servito nel classico tegamino nero, specifico per lo scopo.
So che molte volte, quando parlo di cibo e soprattutto di piatti tradizionali come quelli che piacciono a me, molti storcono il naso solo per non conoscere i sapori veri e non avere un “palato aperto” (né la mente).
Iniziamo con il gofio che solo ultimamente alcuni circuiti macrobiotici, salutisti, vegetariani e via discorrendo stanno cominciando a prendere in considerazione. 
Si tratta molto semplicemente di una farina tostata, che può essere di un ingrediente unico o di un mix di cereali e/o legumi. Quelli previsti dal protocollo (dal 2014 il gofio canario è un IGP) sono: mais, frumento, segale, orzo, avena, riso, ceci, fave e lenticchie, con la sola aggiunta di sale marino. 
Quelli più comuni in commercio sono quello di mais (millo), frumento (trigo) e quello misto (mezcla) al quale alcuni, trasgredendo, aggiungono anche altri ingredienti come per esempio carrube. Se ne fa anche una distinzione in base alla tostatura. (disciplinare IGP del Gofio canario in italiano)
Essendo già tostato, il gofio non ha bisogno di ulteriore cottura e si può utilizzare a caldo o a freddo mischiandolo con i più svariati ingredienti quasi a secco (zucchero, miele, banane, frutta secca, ...) e/o con vari liquidi, dai brodi al latte e perfino al vino.
Pare siano tutti concordi nell’accettare l’origine guanche (popolazioni delle Canarie prima della conquista degli spagnoli) e ancor prima berbera sia del nome che del tipo di preparazione che tradizionalmente dovrebbe prevedere la molitura con la pietra (pratica ancora rispetta da qualche forno).
Come già detto, i modi di consumarlo sono tanti ma i più comuni sono con il latte (per colazione),  amasado (come dolce, foto a sx) e escaldado (escaldón) come pietanza. 
In quest’ultimo caso di solito si utilizza scaldare il brodo di un potaje (quello tradizionale canario prevede l'utilizzo di numerose verdure e può includere o meno carne vaccina o suina), aggiungere il gofio fin quando non si amalgama (bastano un paio di minuti) e poi coprirlo con il contenuto solido del potaje. Mi hanno detto che in mancanza d’altro, la gente faceva bollire solo aglio e cipolle e poi aggiungeva il gofio
In rete troverete altre mille ricette e varianti, tradizionali, locali e moderne.
Seppur abbondante e saziante ho pensato, su suggerimento della cocinera Tata, di affiancare al mio escaldón una porzione di chicharros fritti, piatto classico delle coste atlantiche, dal Senegal fin su al Portogallo dove si chiamano carapaus, o carapuazinhos se sono di taglia piccola (li trovate in qualunque menù e coprono interi banchi nei mercati del pesce).
Come consumo equivalgono alle alici mediterranee, che si trovano praticamente dovunque e durante tutto l’anno. Per il gran consumo che gli abitanti di Santa Cruz de Tenerife ne facevano, e ancora ne fanno ma in misura ridotta, gli abitanti de La Laguna (antica capitale dell’isola) li soprannominarono dispregiativamente chicharreros. Attualmente, tuttavia, il termine non è più offensivo, è normalmente usato in alternativa a santacruceros e spesso riferito a tutti gli abitanti dell’isola, è diventato il simbolo della città e al chicharro (Trachurus trachurus, it. sugarello) è dedicato un monumento (foto) sistemato nel centro di Santa Cruz in una piazzetta dall’ovvio nome di Plaza del Chicharro.

martedì 6 dicembre 2016

“Moana”, “Oceania”, “Vaiana” ... come la chiameremo?

Comunque si vogliano chiamare film e protagonista, non ve lo perdete!
Ho visto Moana come Vaiana (titolo europeo), ma in italiano il titolo è Oceania, pur essendo Vaiana la protagonista. 
Questo di Ron Clements e Don Hall, appena sfornato dalla Disney e serio concorrente di Zootopia per gli Oscar, è uno di quei film d’animazione ambientati in posti reali, solo che questa volta non si tratta di una città o di un luogo preciso, ma di una qualunque delle tante isole sperdute nell’Oceano Pacifico, con le spiagge bianche, le palme, i vari tipi di lava, i fiori appropriati, le capanne, le imbarcazioni tradizionali e via discorrendo.
 
Per ricreare questo modo fantastico (nel senso di bellezza e non di fantasia) i produttori hanno dovuto viaggiare numerose volte (poveretti!) fra le isole del Pacifico, in quella che è la regione geografica allargata della Polinesia, un triangolo che ha come vertici Aotearoa (Nuova Zelanda) e Rapa Nui (Isola di Pasqua) a sud, Hawai‘i (Hawai) a nord.
La storia, la riassumo in quanto penso che già la conoscano tutti, è quella di una giovane ragazza che nonostante il divieto del padre, supera la barriera su una imbarcazione che non sa assolutamente manovrare, inizialmente accompagnata solo da un pollo strabico e poi anche dal semidio Maui, per un’impresa quasi impossibile che però, se portata a termine, salverà il suo villaggio, l’isola e la sua famiglia.

Moana è un personaggio quasi anomalo nei film della Disney in quanto pur essendo giovane (si potrebbe aggiungere bella e ricca essendo figlia del capo) non soffre di patemi amorosi ed è solo concentrata sulla sua avventura, sospinta  dall'altruismo ma soprattutto dal suo unico amore ... il mare. 
La debuttante  Auli'i Cravalho (16enne soprano hawaiana) fornisce la voce a Moana e quindi canta la maggior parte delle immancabili canzoncine (unico lato negativo della maggior parte dei film della Disney) mentre per il semidio Maui, grande e grosso, un poco spaccone e non troppo furbo, ma di buoni sentimenti è stato scelto l’ineffabile Dwayne Johnson “The Rock” che negli ultimi 15 anni (una trentina di film) spesso ha interpretato questo tipo di personaggio. 
   
Sono convinto che questo ex wrestler professionista (come suo padre e suo nonno materno), di origini samoane, quindi polinesiane come tutti gli altri doppiatori principali (per lo più hawaiani o maori), sempre molto autoironico - lo ricordate in Be Cool (di Gary Gary, 2005) con John Travolta, Uma Turman, Harvey Keitel, Danny di DeVito? - si sarà divertito un mondo durante il doppiaggio immedesimandosi in tutto e per tutto nel personaggio. Penso che gli stessi disegnatori si siano ispirati a lui in quanto Maui fa spesso smorfie identiche a quelle classiche di “The Rock”.
Oltre ai due protagonisti non ci sono altri veri personaggi che li accompagnano durante tutto il film, ma Mini Maui (il tatuaggio vivente) e Heihei (il pollo strabico e completamente intronato) sono entrambi creazioni geniali e divertenti. Il primo è strettamente legato (nel vero senso della parola) a Maui in quanto è un suo tatuaggio “vivente” che rappresenta la sua anima-coscienza-alter ego e spesso interagisce con lui. La sua animazione, al contrario di tutto il resto del film, è stata realizzata manualmente in 2D e poi sovrapposta al resto in fase di montaggio.

Il secondo rappresenta il personaggio “comico” che combina un sacco di guai, si mette nei pasticci e deve essere salvato, ma ovviamente di tanto in tanto è proprio lui che, seppur involontariamente, risolve situazioni a dir poco complicate. Infine, a dire il vero, c'è anche l'Oceano che, sotto forma di onda, è sempre pronto a supportare Moana e funge da suo angelo custode. Il porcellino che compare nelle prime scene e in molte foto promozionali (inizialmente doveva avere anche lui un ruolo importante) viene lasciato sull'isola, praticamente una presenza trascurabile.
Conoscendo qualcosa della cultura polinesiana nel senso più ampio della parola, Moana è ancor più godibile in quanto più facilmente si possono cogliere riferimenti, nomi, tradizioni, osservare tecniche di navigazione, strutture di imbarcazioni e capanne. Tanto per dirne una, nella mitologia di qualunque cultura del Pacifico viene inclusa la leggenda del semidio Maui (nome che oggi si associa quasi esclusivamente ad una delle isole dell’arcipelago hawaiano) ma con dettagli e sviluppi differenti fra quella maori, la polinesiana e la hawaiana.
Per vostra conoscenza, il marchio spagnolo “Moana” (un profumo) è registrato non solo in patria ma anche in numerosi paesi europei e per questo in tutta Europa il nome della protagonista è stato cambiato in Vaiana che in polinesiano significa “acqua che sgorga dalla grotta”. In Italia, pur non essendo necessario il cambio a causa del copyright, il titolo è diventato Oceania pur lasciando alla protagonista il nome Vaiana. Ma perché non lasciare il titolo europeo visto che in Italia Moana è stato comunque escluso per evitare possibili riferimenti e collegamenti alla famosa pornostar che, bene o male, ha praticamente monopolizzato il nome? Immaginate i bambini che, con o senza l’assistenza dei genitori, “googlano” il nome per cercare immagini del film e appare tutt’altro? ... e sapete a cosa mi riferisco. Questo comunque succederà in altre parti del mondo a chi digita solo "Moana" senza aggiungere altre keywords come Disney, movie, film, 2016 ...
      
Non è solo per bambini, molto meno melenso o strappalacrime di tanti altri, ben disegnato, quasi costantemente vivace, arguto e divertente ... peccato che ci si debba sorbire le solite canzoncine che, oltretutto, doppiate peggiorano ulteriormente ... ma questo è un “marchio di fabbrica” della Disney e ce lo dobbiamo sorbire. 

domenica 4 dicembre 2016

Leggi razziali e cinema: i "Black Movies"

Fino a dopo la II Guerra Mondiale, negli Stati Uniti esistevano ancora molte leggi razziali, soprattutto negli stati del sud. Oltre a quelle ben note che vietavano ai “negri” di essere serviti nei locali pubblici dei bianchi, imponevano sezioni separate nei mezzi pubblici e altre che abbiamo visto in tanti film fino a quella recentemente riportata in ballo da Loving (di Jeff Nichols, 2016) che impediva di costituire coppie miste, ce ne erano anche alcune relative al cinema e dove non arrivavano le leggi ci pensavano i razzisti o quelli che pur non essendo d’accordo con l’apartheid, erano molto più interessati a far soldi.
Nel 2008 al rivalutato Black Cinema fu addirittura dedicata un francobollo
con il poster del film di King Vidor "Hallelujah" (1929)
primo musical sonoro con cast composto da afro-americani
Considerato però che anche al cinema c’era una distinzione di settori, sorsero anche locali per soli “negri” e lì c’era il pubblico per il quale, a partire dagli anni della I Guerra Mondiale cominciarono a prodursi i Black Movies  nei quale tutti, dal regista ai produttori, dagli attori alle maestranze, erano "negri" o quantomeno mulatti, quadroon (1/4 di sangue africano) o octoroon (1/8 di sangue africano, quindi “quasi bianchi”). 
Nell'immagine qui sopra vedete un annuncio su un giornale, rivolto in particolare a gente di colore e si notano varie cose singolari. Non si fanno alcuno scrupolo di scrivere la parola "negro" e solo per non ripeterla troppo spesso (si trova 2 volte nella nota in basso, nelle notizie al lato oltre che nella frase "An All-Star Negro Cast!") nel secondo paragrafo si sottolinea che i "colored" possono sedersi dovunque vogliano nella sala!
Così fino agli anni ’40 si stima che furono girati varie centinaia di black movies, ma allo stato attuale si ne esistono copie di non più di un centinaio di essi. Quasi nessuno è uscito da quel circuito (creatosi a causa della segregazione) per il quale furono prodotti e le poche copie rimaste si sono salvate grazie a collezionisti e ricercatori.
Per attori negri lavorare nel cinema era difficile e i pochi ruoli che venivano offerti erano quasi esclusivamente di inservienti, malavitosi, cameriere/i, prostitute, domestiche o qualunque altro lavoro “umile” o disdicevole. Quelli che riuscivano a farsi un nome, appena potevano si trasferivano dove c’era più tolleranza o, ancora meglio, in Europa, come fece Nina Mae McKinney (foto al lato) che nel nostro continente divenne famosa come la "Black Garbo".
Mi sono imbattuto in questa ennesima nicchia della settima arte grazie a Jimbo Berkey, collezionista/filantropo che, sul suo sito free-classic-movies.com , mette gratuitamente a disposizione di chiunque sulla faccia della terra oltre 4 TB di film, dagli albori fino agi anni ’70 (ce ne sono anche di molto buoni, liberi per mancato rinnovo dei diritti). Si possono scegliere per titolo, per data per nome degli artisti e chi si iscrive alla mailing list riceve ogni settimana un messaggio con i link ai film che sono stati aggiunti, insieme a succinte notizie. La maggior parte sono americani, ma ce ne sono anche di italiani, soprattutto di quelli definiti “B-movies”. 

Il mese scorso mi ha incuriosito Gang Smashers (di Leo C. Popkin, 1938) anche perché il buon Jimbo aveva sottolineato la particolarità del film e quindi l’ho scaricato, ieri l’ho guardato e da poco ne ho anche pubblicato la micro-recensione.  

Comunque sia ... i black movies hanno rappresentato un ennesimo piccolo capitolo della grande storia del Cinema.

venerdì 2 dicembre 2016

da Brando ai Beatles, coinvolgendo Frank Zappa e Kubrick

L’incredibile Tim(othy) Carey

"Sono astemio e non mai neanche fumato. Mi offrono costantemente erba o cocaina. Io ho la mia cocaina, la mia personalità. Io sono cocaina. A che mi serve quella roba?"

"Ogni poliziotto che mi guarda pensa che io sia ricercato per almeno tre reati gravi."

"Quando passeggio in un parco, tutte le mamme richiamano i figli e corrono a casa."

"Sono stato arrestato per vagabondaggio un sacco di volte perché per la polizia sono un individuo sospetto." 

Altre pregevoli citazioni in calce

Con la mia mania di saperne di più di ciascun film per poi seguire le tracce di registi, attori e notizie varie degli inizi e del prosieguo della loro carriera mi sono imbattuto in questo personaggio veramente straordinario che conoscevo già “di vista” considerato che ha una faccia che certo non si dimentica!
Timothy Carey (niente a che vedere con Mariah né con Jim, che ha due “r”) è la chiave di volta dell'arco mi ha portato da Marlon Brando ai Beatles e che nella sua struttura include varie volte Stanley Kubrick e Frank Zappa, ma andiamo per ordine.
Tutto comincia nel momento in cui mi sono imbattuto nel dvd One-eyed Jacks (di Marlon Brando, 1961, foto in basso) e, pur senza ancora sapere che si trattasse della sua unica regia, l’ho ovviamente comprato. Cominciando a indagare, mi ha incuriosito la quasi anomala composizione del cast che oltre ad attori e caratteristi americani ben noti, comprendeva famosi attori messicani e ... Tim Carey, probabilmente “eredità” di Kubrick che in un primo momento avrebbe dovuto dirigere il film. 
   
Infatti, lo stravagante attore (alla fine del post non potrete fare a meno di concordare sull’aggettivo) ebbe il suo primo ruolo importante in The Killing (1955, “Rapina a mano armata” - foto a sx) diretto da Kubrick che lo volle anche nel suo successivo Paths of Glory (1956, “Sentieri di gloria” - foto a dx).
   

Tim passava quasi per pazzo ed era pressoché ingestibile, è stata l’unica persona che Elia Kazan abbia fisicamente aggredito sul set e lo stesso Brando, in un eccesso di frustrazione e disperazione, lo “pugnalò” con una penna nel corso delle riprese. Fu comunque molto apprezzato da Cassavetes, Coppola, Tarantino e altri.
Ma non finisce certo qui ... Timothy Carey fu anche un pioniere del cinema americano indipendente degli anni ’60 dirigendo nel 1961 The World's Greatest Sinner, del quale fu anche produttore, sceneggiatore ed interprete principale. Alla colonna sonora collaborò l’allora 21enne e ancora semi-sconosciuto Frank Zappa il quale, parafrasando il titolo, lo definì "the world's worst movie". 
Il film non ebbe mai una vera e propria distribuzione, ma in breve tempo divenne un cult pur essendo proiettato solo come spettacolo di mezzanotte. Per decenni nessuno l’ha visto finché uno storico-cinefilo non l’ha riscoperto e lo ha inserito nel programma del Vienna International Film Festival del 2009, facendo seguire il giorno successivo l’unico altro film di Tim Carey, questo del tutto inedito, Tweet's Ladies of Pasadena (1970). 
   
La trama: il frustrato e deluso assicuratore Clarence Hilliard (Tim Carey) lascia il lavoro e, dopo aver osservato una folla in estasi ad un concerto rock, forma una band. Rendendosi conto del potere che riesce ad avere sui suoi fan con demenziali esibizioni rockabilly, Hilliard prima coinvolge in un partito politico e poi in una religione, finanziandola seducendo e raggirando ricche anziane. Più diventa potente e più diventa egomaniaco fino a pretendere di essere chiamato God Hilliard e quindi sentirsi in diritto di sfidare il vero Onnipotente.
 
L'altro suo film, ancora più folle, tratta di anziane che, guidate da Tweet/Carey, girano per Pasadena sui pattini mentre lavorano a maglia preparando vestitini per animali ... non mi sembra sia necessario aggiungere altro. 

Infine, il fotogramma con il primo piano di Tim Carey che imbraccia il fucile in The Killing fu inserito nel collage della copertina dell’ottavo album dei Beatles “Sgt Pepper Lonely Hearts Club Band” (1967).
Ho scovato notizia e foto nel sito http://www.fab4art.com/ , “specialists in Beatles - Yellow Submarine” ed esattamente nella pagina 'The Sgt PepperAlbum Cover Shoot Dissected', ciò nel caso vogliate sapere chi altro c’era in quel folto gruppo.

Tim Carey's quotes (scelte da IMDb)
  • Coppola [Francis Ford Coppola] wanted me so much to be in "The Godfather." But the stage wasn't right. I just would have made a lot of money, and when you make a lot of money, it doesn't help an artist because the more money you have, the more trouble you have. Except to make a film, that's different, of course, but Cassavetes [John Cassavetes], it would never affect him ... Coppola didn't have the sensitivity Cassavetes had. He's a good director, a nice fella, but he's no John. Nobody's a John Cassavetes. Nobody!
  • Characters as evil as the ones I play just can't be allowed to remain in society. The only time I managed to "stay alive" all the way through a picture was when I wrote and produced one myself.
  • Why are people afraid of me? One producer thought I was on dope. I don't even drink or smoke. I'm just enthusiastic. I don't need any stimulation.
  • People are finally beginning to understand me. The trouble is, people in Hollywood never saw a guy like me before. They think I'm a man from another planet.
  • I wasn't trying to upstage anyone; I just wanted to do it for the good of the show. Sometimes I'd overdo it maybe. Sometimes I didn't do exactly what the director wanted, that's true ... I try so hard, you know. To me, it's like the last film I'm gonna make, and I want it to be the best.