sabato 30 luglio 2016

Che bello dedicarsi all’“ortaggio”!

Mi spiego, uso questo termine similmente a giardinaggio in quanto mi sembra una cosa logica e trovo che sia il modo più conciso per riferirsi alle operazioni che si eseguono in un orto, in particolar modo di tipo amatoriale. Se occuparsi del giardino (spesso solo fiori) si dice giardinaggio, mi sembra assolutamente congruente usare il neologismo (?) ortaggio per indicare l’attività tesa a produrre qualche verdura.
Ovviamente si inizia avendo la fortuna di avere un po’ di spazio a disposizione, meglio se terreno, ma anche uno piccola area per coltivare in vaso può andare più che bene. Ci tengo a precisare che non ho assolutamente il pollice verde, neanche un mignolo per la verità, ma mi diverto a seguire la crescita delle piante facendo quanto le mie limitate capacità mi consentono.
   
Prediligo i prodotti facilmente conservabili (senza troppo sforzo) in modo da non essere obbligato a fare festa per un paio di settimane e basta, ma poterli consumare durante un più ampio lasso di tempo.  Conosco tante famiglie i cui membri si lamentano del mangiare sempre le stesse verdure di stagione tipo fagiolini, fagiolini, fagiolini, ... zucchine, zucchine, zucchine ...! Chi ha un piccolo orto spesso pianta una determinata varietà contemporaneamente ed è ovvio che la produzione sia concentrata in un breve periodo e, dopo tanto sforzo, non si deve buttare niente (e sono d’accordo).
Per i succitati motivi, mi sento di consigliare a quelli come me, che non disdegnano ortaggi freschi, sanno fare poco o niente, e vogliono mangiare cambiando ingredienti quanto più possibile di evitare verdure facilmente deperibili e che giungono a maturazione tutte insieme.
Ai molti che mi chiedono “Pomodori, ne hai messi?” spiego che ci ho rinunciato in partenza perché richiedono più cura ed una certa pratica, al contrario prediligo quelle specie “facili” che , dopo piantate, hanno solo bisogno di essere irrigate e infine raccolte. L’anno scorso, primo stagione di attività, mi limitai a fagioli (si seccano e conservano facilmente), cipolle (idem), broccoli, fave, cavoli e peperoni che però si sono rivelati i più difficili da coltivare, almeno per me.
Questa  primavera ho aumentato la quantità di fagioli, ci sto riprovando con i peperoni (che hanno bisogno di un po’ di cura in quanto sono fragili e in vari casi necessitano sostegno) e mi sto cimentando con le cocozze (zucche in italiano).
Queste ultime penso siano fra le piante che letteralmente crescono a vista d’occhio. Già tempo fa mi ero impegnato a misurare la crescita delle Cycas revoluta (piana ornamentale di origine asiatica) le cui nuove foglie che nascono tutte contemporaneamente in un ciuffo centrale e si allungano mediamente di oltre 10 centimetri al giorno (le foglie centrali della pianta nella foto sono lunghe fra i 120 e i 130cm e sono diventate così in una decina di giorni).
Tornando a questa mia prima esperienza con le cocozze, mi ha impressionato vedere i tralci  allungarsi ad una velocità direi impressionante e, prima che trovassi informazioni certe su come, dove, quando e quanto tagliarli sono diventati tanti lunghissimi (oltre 5 metri) ed hanno cominciato ad addentrarsi fra fagioli e peperoni. La piccola cocozza nella foto stamane aveva una circonferenza di 45cm, dieci giorni fa (foto in basso a sx) il tralcio non era ancora arrivato su quel muro! Meraviglie della Natura!
   
Infine, nella produzione propria di ortaggi c’è un altro importante valore aggiunto (oltre alla certezza della mancanza di veleni): hanno un miglior sapore. Certamente spesso è solo un fatto psicologico, però anche chi non ha l’orto ma frequenta la campagna può comprendere che la sensazione è simile a quella del mangiare la frutta presa dall’albero, in particolare se si è giovani e l’albero non è il proprio. Con un geniale ed adattissimo termine preso a prestito dalla pesca, in napoletano quest’attività si chiama uno sciavico o sciavichiello, da sciàbica, rete a strascico usata per la pesca da riva in acque poco profonde. (foto in basso)

Dovrebbe essere superfluo sottolineare che ritengo questo tipo di attività molto più soddisfacenti e gratificanti della caccia ai Pokemon, ma repetita juvant!

mercoledì 27 luglio 2016

Esperimento: paté di finocchietto (usando anche gli steli)

Desiderando utilizzare del finocchietto fresco in alcuni dei miei piatti “sperimentali” ed essendo la stagione ormai avanzata, ho pensato di tentare di produrre un paté usando anche gli steli non lignificati, ancora ampiamente disponibili. Ne ho quindi raccolto una quantità adeguata prediligendo le parti superiori di quelli più teneri e flessibili e alcuni nuovi getti laterali ed evitando, ovviamente, quelli che stavano già diventando legnosi.
Ho dato un bollo agli steli dopo averne eliminato i nodi ed averli tagliati a pezzetti di un paio di centimetri e solo pochi minuti prima di spegnere il fuoco ho aggiunto le cime più tenere con le poche foglioline.
Ho utilizzato pochissima acqua (teoricamente si potrebbero fare anche al vapore, ma ci vorrebbe molto più tempo) in modo da non disperdere odore e sapore, liquido che ho poi usato per ammorbidire il paté senza dover aggiungere troppo olio.
   

Dal mio punto di vista, per ottenere un buon paté si dovrà frullare il tutto aggiungendo certamente dell’olio (ma non troppo), qualche spicchio d’aglio, un po’ di acqua di cottura per regolare la densità, sale, peperoncino ed eventuali altri aromi a seconda dei propri gusti, ma non disdegnare olive nere, cipolle e via discorrendo.
Quelli che vorranno arrischiarsi a produrre questo paté (che molto probabilmente già esiste, ma non ne ho trovato traccia in rete se non per le sole foglie, ricette per lo più siciliane) a questo punto dovranno decidere come utilizzarlo. Io per ora l’ho provato in tre modi:
  • 1) con la pasta (lunga, linguine o vermicelli) soffriggendo qualche spicchio d’aglio tagliato a fettine in olio di oliva e aggiungendo poi il paté
  • 2) ancora con la pasta lunga, ma questa volta usando il paté a crudo, allungato e amalgamato con succo di limone e olio di oliva
  • 3) spalmato su crostini, bruschette o pane tostato

Risultati
nel primo caso se ne deve usare una discreta quantità poiché con la cottura, seppur breve, perde parte del suo aroma mentre per la seconda ricetta se ne può utilizzare di meno e mantiene meglio il sapore originale. Fra le due la mia preferenza va alla versione a crudo. Infine, messo su bruschetta o pane tostato se ne deve usare poco altrimenti il sapore può risultare troppo forte.
Ideato il 18 luglio 2016, nella stessa giornata sono andato a raccogliere il finocchietto e ho preparato il paté come sopra descritto. La sera stessa la versione calda è stata “sottoposta a commissione esaminatrice” nel corso si un pasta party che prevedeva anche linguine con pasta d’acciughe (anche questa fatta da me a partire da acciughe salate siciliane e arricchita con aglio e olive nere infornate) e vermicelli alla chiummenzana (ampiamente trattata in un paio di recenti post).
Le mie cavie umane hanno approvato all’istante e poi si sono svegliate vive e vegete pur avendo fatto ampio onore alle tre ricette arravogliando abbondantemente,  confermando così che niente era velenoso-letale, fatto del quale mi ero già assicurato in precedenza. Infatti il finocchietto (Foeniculum vulgare, finocchio selvatico), pianta erbacea spontanea della famiglia delle Apiaceae che cresce fino a 2 metri di altezza, è commestibile in ogni sua parte (steli, semi, foglie), ovviamente a meno di avere allergie specifiche.



In conclusione, passata la stagione adatta per la raccolta del finocchietto fresco (quando le foglioline sono ancora tenere) è ancora possibile fare un paté con gli steli, a patto che siano ancora verdi e succosi.

lunedì 25 luglio 2016

PASSEGGIATA RURALE (con video-guida fotografica"sperimentale")

Passeggiata rurale Sant'Agata - Priora - Massa Lubrense
Quelli che hanno letto i due precedenti post, già sapevano che stavo lavorando alla definizione del suddetto percorso del quale avevo già anticipato alcune informazioni e la la cartina. Adesso è completo di nome - Passeggiata rurale - e di specifica videoguida "sperimentale" consistente in una serie di oltre 150 foto che, passo dopo passo, illustrano l’ambiente nel quale si svolge questa originale escursione quasi “bucolica”. 
NB - Questa miniatura deCerriglio è la più significativa fra le 3 proposte in automatico da YouTube. La fonte, tuttavia, non si trova lungo il percorso, ma è raggiungibile con una breve deviazione, suggerita nel video. 
Le immagini che rappresentano bivi e incroci hanno in sovrimpressione l'indicazione del percorso da seguire e quelle panoramiche i nomi dei monti e isole raffigurate. Il video, una volta scaricato sul proprio smartphone o tablet, potrà quindi fungere da guida visuale facendolo avanzare un poco per volta.
   
Tornando al nome, l’ho scelto per sottolineare che non si tratta di un’altra escursione fra le essenze della macchia mediterranea (e con tanti saliscendi, imposti dalla conformazione del territorio), ma di una facile passeggiata in ambiente agreste che per le persone attente può diventare quasi un itinerario didattico. Infatti, nel percorrerlo si ha modo di vedere e apprezzare castagneti cedui per la produzione di pali da pergola, boschi misti di querce, carpini e lauri, erbacee e felci, fichi, noci e noccioli in quantità, vigneti sia a terra che in cima ai pergolati di copertura degli agrumeti, orti, alberi da frutta e, ovviamente, limoneti. 
   
Già scorrendo le immagini del video si nota che, insieme con tanto verde, si potranno apprezzare sentieri sterrati e stradine selciate che si sviluppano fra i classici muri e muretti di tufo, di pietra calcarea o di caratteristica arenaria.
La mia idea era proprio quella di proporre un percorso facile e fisicamente poco impegnativo, non in concorrenza con le quelli riservati ad escursionisti allenati bensì rivolto ad un’altra fascia di utenti anche se, chiaramente, gli amanti delle lunghe scarpinate potranno utilizzarlo proficuamente per portarsi in quota senza alcuno sforzo eccessivo (non ci sono tratti ripidi) e oltretutto godendo dei tanti tratti più o meno ombrosi. 
Non mancano certo i panorami su Capri e sulle altre isole del golfo di Napoli,
oltre che sul Vesuvio, Faito, Sant'Angelo a Tre Pizzi e via discorrendo
Pur essendo piacevole anche in salita, il mio suggerimento è quello di percorrerlo in discesa ed utilizzare il servizio di trasporto pubblico per salire, o risalire, comodamente a Sant’Agata senza doversi scomodare più di tanto.

Aggiungo un’ultima nota a riguardo del sottofondo musicale del video, costituito da due classiche canzoni napoletane in qualche modo correlate con il percorso la prima metà del quale si sviluppa in territorio sorrentino (dopo qualche centinaio di metri santagatesi) e il resto in quello di Massa Lubrense. Non volendo utilizzare l’onnipresente “Torna a Surriento” (tradotta e cantata in tutto il mondo) per la prima parte ho ripiegato sulla relativamente più moderna “Surriento d’’e ‘nnammurate” (Bonagura - Benedetto, 1950) che, oltretutto, mi piace di più. L’altra canzone l’ho scelta fra quelle di musicate su testo di Salvatore Di Giacomo (nella foto a sinistra) in quanto questi per oltre 20 anni, fino al 1930, trascorse regolarmente le sue estati a Sant’Agata dove, a settembre di ogni anno dal 2001, è ricordato con un Premio a lui intitolato. 
La mia preferenza è andata a “Serenata napoletana” (Di Giacomo - Costa, 1896). 
Entrambe sono interpretate da Sergio Bruni.

A breve è prevista una “inaugurazione ufficiale didattica” che sarà annunciata mediante i soliti canali ... tenetevi pronti!

domenica 24 luglio 2016

Cerriglio, una volta sorgente pietrificante, si può recuperare?

Questa nota fontana pubblica alimentata da sorgente perenne, utilizzata per secoli dai massesi (abitanti di Massa Lubrense, NA), in particolare dai residenti nel circondario (Rachione e Mortora), omonima della famosa - e malfamata - taverna napoletana frequentata dal Caravaggio, è destinata a rimanere in queste condizioni?
Non vi tedierò elencando tutte le ipotesi etimologiche avanzate anche da illustri letterati (fra i quali Basile, Celano, Croce, Doria) in quanto certamente, e logicamente, tutte tranne una - forse - sono errate e del resto le potrete trovare in rete. Piuttosto, e con maggior senso pratico, mi accingo a parlare della sorgente e lanciare una proposta.
Da vari anni ormai, probabilmente a seguito di chissà quali maldestri lavori a monte che hanno interrotto il flusso dell’acqua, nel caratteristico ninfeo nei pressi del centro di Massa Lubrense non scorre più una goccia d’acqua. 
Ai lati della protrundente massa calcarea resistono, seppur in cattive condizioni, due maschere in marmo dalla cui bocca una volta sgorgava fresca acqua.
   
La ovvia conseguenza è stata la sparizione dei muschi che coprivano il travertino (o tufo calcareo, che continuava a crescere lentamente, ma senza sosta) fra i quali c’era anche tanto delicato capelvenere (Adiantum capillus-veneris, una felce).
Rendendomi perfettamente conto che risalire alle cause della “sparizione” dell’acqua potrebbe essere difficile se non impossibile e che probabilmente richiederebbe tempi lunghi e spese forse ingenti (a meno che qualcuno “sappia” ... e parli) suggeriscono un’idea-palliativo: 
perché non riempire il bacino di raccolta e con una pompa sommersa mandare l’acqua in alto in circolo in modo che possa poi scorrere di nuovo nella vasca in tanti rigagnoli attraverso i muschi che in pochi anni cresceranno di nuovo? Riusciremo a vedere di nuovo così il Cerriglio?

I costi sarebbero identici a quelli di una qualunque altra fontana, un paio di metri cubi di acqua (da cambiare ogni tanto) ed un minimo di energia elettrica per far funzionare una pompa ad immersione di poche decine di euro.
Mi aspetto, e spero (non nel senso di uno sconfortante “aspetto e spero”), che qualche tecnico valuti la fattibilità di questo piccolissimo intervento che, al di là del valore intrinseco di memoria storica, sarebbe un abbellimento di un luogo che oggi non trasmette più le emozioni di una volta.
Certamente se si riuscisse a restaurare, o almeno rendere più presentabile anche il contorno, sarebbe una cosa fantastica, ma per adesso speriamo che al minimo torni a correre l'acqua.

Non ci andremo a bere, ma almeno potremo “farci gli occhi” e godere di nuovo del suono del continuo gorgoglio e stillicidio della fontana del Cerriglio.  

giovedì 21 luglio 2016

Escursionismo: con un po’ di fantasia si trovano sempre itinerari nuovi

Anche in territori straconosciuti come per me sono quelli della Penisola Sorrentina e Costiera Amalfitana si riescono a ideare nuovi percorsi e nuove rotte. In particolare in terreni vari e scoscesi, segnati da una miriade di sentieri, stradine e antiche scalinate, pur rimanendo nella stessa area, l’attento escursionista può “inventarsi” passeggiate piacevoli in qualunque stagione, tenendo conto di temperature, fioriture, punti di interesse temporanei e via discorrendo.

Con la riapertura di una vecchia comunale sorrentina (via Acquacarbone, impercorribile per decenni) sono oggi possibili tanti nuovi possibili itinerari fra Sant’Agata sui 2 Golfi, Massa Lubrense e Sorrento.
Ieri sono andato a verificare lo stato di uno dei tanti possibili percorsi, ideato in un primo momento per utilizzare un’altra stradina “abbandonata” (fra San Giuseppe e San Francesco), ma al momento fattibile solo percorrendo utilizzando via Bagnulo (solo un po’ meno panoramica della precedente), eppure egualmente gradevole, silenziosa e in piena campagna.
In questo breve post appena pubblicatosu Google+ trovate alcune foto scattate nel corso del sopralluogo del 20 luglio 2016 e la mappa, mentre qui di seguito c’è la descrizione testuale dettagliata di questo percorso di 4.600 metri, con 280 metri di dislivello in discesa e soli 30 in salita, dai 395m di Sant’Agata ai 145m di Massa.
   

Si inizia nel centro storico di Sant’Agata imboccando via Termine, girando a sx dopo il ristorante Mimì, subito prima dell’arco e di nuovo a sx davanti all’hotel Iaccarino. Dopo un paio di centinaia di metri all’ombra dei noccioli si gira a destra in leggera salita e dopo poco si è già in piena campagna sullo sterrato della panoramica via Olivella. La si segue fino al termine, prima in piano e poi in leggera discesa, quasi sempre al fresco fra allori, querce, castagni e tanti altri alberi ed essenze.  Giunti sull’asfalto, si prosegue per qualche decina di metri nella stessa direzione e subito dopo la prima curva, all’inizio della ripida discesa in fondo alla quale si trova in Nastro Verde, si imbocca la sterrata via Acquacarbone che attraversa un caratteristico castagneto ceduo per la produzione dei pali da pergola.
Usciti dal bosco si percorre un breve tratto parzialmente selciato in discesa e quindi si gira a sx su un altro sentiero sterrato limitato a valle da una rete al di là della quale si nota un piccolo vigneto. 
Circa 200 metri dopo aver facilmente scavalcato un piccolo corso d’acqua si torna su fondo duro e si prosegue senza ulteriori deviazioni fino al Nastro Verde (ss 145 Sorrentina, fra Sant’Agata e Sorrento) che attraverserà senza grandi problemi trovandosi al centro di un lungo un rettilineo. 
Si prosegue quindi verso valle per un centinaio di metri, si imboccano le scalette in cemento subito dopo l’hotel Il Nido e alla base di esse ci si troverà su un piacevole sentiero in dolcissima pendenza fra ulivi e limoni che termina proprio di fronte alla chiesa di S. Atanasio a Priora. Di qui si potrà andare a Sorrento imboccando la discesa a sx della chiesa o seguendo la rotabile verso destra; per Massa, invece, si segue la rotabile via Crocevia verso sinistra per circa 300m e, pochi metri prima dell’incrocio con il Nastro Verde, proseguire diritti attraverso la piazzola portandosi a monte del tornante.
   
Qui si dovrà fare molta attenzione ad attraversare ed imboccare via San Giuseppe, infatti dallo stesso punto iniziano tre stradine, quella più a sinistra, in salita, è via San Giuseppe (c’è la tabella toponomastica); se non la si vede, seguire le indicazioni per Villa Eliana e, giunti in vista del suo ingresso, imboccare la stradina a dx. Dopo pochi metri si supera la cappellina di San Giuseppe e fra tratti sterrati e selciati si prosegue lungo la via omonima fino al termine. Di nuovo su una stretta rotabile (via Bagnulo) si prende a sx e si procede di nuovo fra giardini, alberi e orti e, pochi metri dopo essere passati sotto un arco, si deve girare a dx e seguire la stretta e tortuosa rotabile che in breve conduce su via Massa - Turro (strada per Sant’Agata) in corrispondenza di un imponente pino. Si attraversa e dopo poche decine di metri si prende la traversa pianeggiante a sx (via Maldacea) che termina nel cuore dell’antico casale di Mortora, a soli 200 m dalla piazza di Massa Lubrense. Se non si vuole allungare la passeggiata andando verso Santa Maria, si conclude il percorso scendendo a destra per via Mortella fino a Rachione e si è praticamente giunti al centro. 

Anche i percorsi rurali possono risultare molto piacevoli ed interessanti!

mercoledì 20 luglio 2016

Imparate qualche altra lingua ... meglio premunirsi

Un paio di giorni fa su quasi tutti i giornali sono apparsi articoli in merito alle previsioni dell’uso degli idiomi nei prossimi anni. Il dato che veniva evidenziato da tutti era il notevole calo dell’utilizzo dell’inglese che, pur rimanendo lingua franca dominante, viene avvicinato da cinese e spagnolo che entro il 2020 dovrebbero far registrare incrementi notevoli. Si prevede che anche altri idiomi facciano grossi balzi in avanti potendo contare su popolazioni numericamente significative, seppur non sempre parimenti importanti a livello economico.
Con la sempre maggior diffusione di internet, anche in paesi fino a pochi anni fa quasi del tutto fuori dalla rete e lontani dall’esponenziale aumento della popolazione collegata, ci saranno significativi balzi in avanti del cinese (+58%), russo (+73%), portoghese/brasiliano (+50%), spagnolo (+27%), turco (+36%) e anche arabo (+39%).
Al contrario paesi economicamente solidi, ma con popolazioni meno significative o lingua parlata in poche nazioni, si troveranno con fette di mercato minori come per il tedesco (-25%), giapponese (-10%), italiano (-14%), olandese (-31%). Il francese rimarrebbe invariato, mentre l’inglese, come anticipato, passerebbe dall’attuale 42,4 a 33,1 con una perdita quindi del 22%.
Pur sembrandomi assolutamente esagerate le previsioni dell’abbandono della lingua di Albione come standard internazionale, in particolare in rete, queste previsioni statistiche nel loro complesso dovrebbero almeno dimostrare chiaramente che conoscere un’altra lingua oltre l’indispensabile inglese può portare notevoli vantaggi.
Nel corso dei prossimi anni le persone intraprendenti, dinamiche e, soprattutto, lungimiranti faranno bene a mirare ad essere un po’ più poliglotti per veder aumentare le loro possibilità di carriera, studio e/o successo.
In base allo studio ripreso a mezzo stampa, l’ipotesi che una conseguenza della globalizzazione potesse portare il mondo intero a parlare una lingua unica sembra allontanarsi. Dopo che l’ipotesi esperanto, vecchia di oltre un secolo, sembra definitivamente tramontata (pare che al giorno d’oggi solo 1,6milioni di persone siano in grado di parlarlo) ora sembra che anche l’inglese (principale candidato in tempi più recenti) stia perdendo punti.
Se i dati si rivelassero veritieri (non c’è da attendere molto ... solo 4 anni) molti fra quelli la cui lingua madre non compare ai primi posti della “classifica” dovranno correre ai ripari. Ciò vale in quasi tutti i campi, non solo nel commercio, ma anche nel turismo, nella ricerca, nella politica, nelle arti.
A fronte di questo relativamente lungo preambolo, si deve purtroppo registrare la ritrosia di molti giovani ad applicarsi nello studio di lingue straniere. Anche se qualcuno si vanta di “parlare solo italiano” dovrebbe essere evidente a tutti che in un paese come il nostro, che vive anche (e tanto) di turismo, la conoscenza di più idiomi è un plus non indifferente. 
Qualunque siano le mansioni, il poter comprendere almenosemplici frasi e fornire altrettanto semplici informazioni in inglese, francese, tedesco, spagnolo, ecc. apre tante porte e, una volta entrati nell’ambiente, starà alle capacità di ognuno il fare una brillante carriera.
Nel corso dei quasi 25 anni di attività di guida escursionistica ho incontrato tante persone che, senza aver fatto nessuno studio particolare, molti solo con licenza media, erano in grado di svolgere il proprio lavoro avendo a che fare con turisti di tutto il mondo, anche con quelli che non conoscevano una parola di inglese. Ci vuole solo la buona volontà ... non ci prendiamo in giro.
Il consiglio che mi sento di dare ai giovani, qualunque siano i loro obiettivi, capacità, preparazione e settori di lavoro è quello di imparare quante più lingue possibile, quantomeno faciliteranno i loro viaggi all’estero ... a chi non piace viaggiare?

Nota conclusiva
Ancor più autolesionista del rifiuto di apprende altri idiomi, mi sembra l’idiosincrasia che tantissimi manifestano nei confronti delle scienze esatte ed in particolare della matematica. 
Trovo incredibile che ci sia tanta gente, in particolare giovani, che anche per semplicissime addizioni o sottrazioni debba ricorrere a calcolatrici e nel caso battano un tasto sbagliato e esca un “numero al lotto” non battano ciglio ... e spesso il risultato errato è a loro danno.
I numeri, che vi piaccia o meno, sono alla base di tutto!

domenica 17 luglio 2016

Non ci possiamo salvare

Post di sconforto ... siamo alla frutta!
Avevo già letto di questa ultima follia e, come tanti, non le avevo dato importanza, ma da quanto è ora sotto gli occhi di tutti è evidente che il fenomeno in pochi giorni ha raggiunto livelli preoccupanti. In qualunque giornale o notiziario se ne trovano notizie, talvolta con toni derisori, in altri casi sono solo report di fatti conseguenti al comportamento di dementi.
Chiaramente sto parlando di Pokemon Go, da quanto ho capito una app per smartphone, da utilizzare in combinazione con il gps. Non so molto di più e non ho alcuna intenzione di approfondire l'argomento, ma vi sembra possibile che adulti (o quanto meno adolescenti in età avanzata) si lascino coinvolgere in questo modo dal immagini virtuali pilotate da altri?
Nella versione online di Repubblica ieri c'erano addirittura 4 titoli di seguito, a metà pagina, nella colonna di destra, relativi a Pokemon Go e ai suoi aficionados che stanno creando non pochi problemi, in ogni parte del mondo dove è già stato reso disponibile.
Guardate questo video montato da Repubblica TV e, se siete curiosi, su YouTube ne troverete un'infinità simili in quanto in tanti stanno documentando questa follia di massa e spesso si percepiscono anche i loro commenti poco lusinghieri. Questo in basso si riferisce ad un'altro "avvistamento" in un parco pubblico a Bellevue e oltre ai tanti studenti e adulti si nota anche un genitore irresponsabile che corre sul prato spingendo un passeggino.

Chi non ha seguito le cronache si chiederà: "Cosa sarà successo mai?". Come si evince dal video molti, in particolare quando sono in gruppo, non si rendono assolutamente conto di dove stiano andando e di chi e cosa sia intorno a loro. Si sono già verificati incidenti, blocchi del traffico, sovraccarico della rete, i cacciatori sono stati vittime di furti e violenze. Se prima solo di tanto in tanto qualcuno veniva investito da un'auto o un treno per avere lo sguardo fisso sullo schermo si prevede che d'ora in poi questi eventi saranno più frequenti.
Qualcuno ha già tentato di correre ai ripari vietando il "gioco" (è un gioco?) in musei e altri luoghi pubblici, ma c'è da tener conto che a ciò si aggiunge l'irresponsabilità dei gestori che, ho letto, hanno fatto apparire un pokemon addirittura ad Auschwitz! ... oserei dire un po' fuori luogo. 
Trovo abbastanza inquietante il fatto che qualcuno (il gestore del gioco o peggio qualcuno che si inserisce nel sistema) possa avere la possibilità di manovrare, manipolare e distrarre masse di imbecilli attirandoli in un certo luogo in un determinato momenti.
Leggendo alcuni commenti, molti dei quali da estremisti pro e contro, ho scoperto che vari sostengono che sia un fatto positivo in quanto così i ragazzi almeno escono invece di stare a casa davanti alla Playstation e ovviamente i "contrari" li hanno coperti di insulti. 
Oltretutto li trovo davvero brutti e considerate che questi raffigurati nella foto in basso sono definiti i migliori Pokemon di sempre!

Non vorrei sembrare "bacchettone", ma da ragazzo giocavo con i miei coetanei, non necessariamente amici, parlavo con loro, si discuteva, si litigava, si facevano progetti, e se Pokemon Go è quanto di meglio riesca a offrire la tecnologia moderna sono molto contento di aver vissuto la mia gioventù tanti anni fa, senza elettronica. E parlando di quelli un po' più grandicelli, hanno mai preso in considerazione l'eventualità di leggere un libro o guardare un buon film invece di correre dietro a qualcosa che non esiste?

PS  filmato pubblicato stamattina sul New York Times  da non perdere! 

giovedì 14 luglio 2016

Holbox ... isola misteriosa

Pochi giorni fa, nel corso di una delle mie solite ricerche in rete mi è capitato di leggere ancora una volta: Holbox. Si tratta di un toponimo unico, riferito ad una isola piccola, ma non piccolissima, a pochi km dalla costa settentrionale della penisola dello Yucatán, Messico. Oggi ci sono resort con piscina come questo, ma qualche decennio fa era molto differente.
Ebbi la fortuna di sentirne parlare nel 1983 da altri backpackers nel corso del mio primo viaggio in Centro America e, essendo un luogo ancora “vergine”, decisi di andarci e, ovviamente, ci andai. Trentatré anni fa l’isola non era stata ancora scoperta dal turismo di massa, ci si arrivava con molta difficoltà, non c’era nessuna struttura ricettiva degna di tal nome. Si andava prima a Valladolid (Yucatán) poi 150 km di bus per il piccolo porto di Chiquilà (Quintana Roo) e di lì ci si imbarcava su un vecchio mezzo da sbarco militare americano adattato a traghetto ... un veicolo per volta e persone e merci nel poco spazio che restava. Situazione simile alla foto di sx, dimensioni come il mezzo di dx, molto più piccolo. 
    
Ma veniamo al “mistero”. Sembra che quest’isola cambi di forma continuamente, da secoli, tant'è che sulle mappe viene rappresentata con forme diverse ed incongruenze anche molto evidenti, perfino sulle quelle presenti al momento su Google. Le due immagini in basso rappresentano esattamente la stessa area, nella versione “map” e “satellite”. Teoricamente, e logicamente, l’isola dovrebbe avere almeno gli stessi contorni e invece la discrepanza è enorme e ciò non è dovuto ad una semplice confusione circa il limite fra barriera corallina con la terra in quanto è più che evidente la striscia di sabbia bianca a nord.




Nelle successive immagini oltre a cambiare forma e distanza dalla costa (errori plausibili per le mappe più antiche) a volte è rappresentata come una sola lingua di terra, altre divisa in due. In alcune mappe (come oggi da satellite) sembra quasi che sia prossima ad collegarsi con Cabo Catoche ad ovest creando una grande laguna.
   

   
Causa di tutto ciò potrebbero essere i tanti uragani che si abbattono su quelle coste con conseguenti mareggiate e spostamenti di sabbia. Quello del 2005 (Wilma) fu particolarmente devastante.
Ricordo perfettamente le poche notizie che circolavano all'epoca della mia visita dell'83 che descrivevano Holbox come una striscia di terra bassa, per lo più sabbia, lunga una quindicina di chilometri e larga fra 500 e 1.500 metri.
Sbarcati sull'isola ci si trovava sulla "strada" principale, larga sì ma sabbiosa, che in meno di 1 km arrivava sulla costa nord. 
Come già detto, per dormire bisognava arrangiarsi, chi era a conoscenza della situazione arrivava con la sua amaca e cercava una "stanza", vale a dire un posto con 4 pareti e ganci per appendere l'amaca ... bagno in comune fuori e acqua solo fredda (ma anche sulla terraferma l'acqua calda era una eccezione). In queste zone è tuttora normale trovare i ganci per le amache anche nelle stanze con letti normali ... come ho constatato solo pochi mesi fa a Mahahual e Bacalar (Quintana Roo).  
Il problema più grosso era mangiare, poiché la maggior parte delle poche centinaia di abitanti mangiavano a casa e c'erano solo un paio di posti che servivano birre e qualcosa da mangiare e per di più chiudevano alle 19. C'era però la possibilità di farsi cucinare un bel pesce intero dalla padrona di casa a costi irrisori (meno di un dollaro), accompagnato da tortillas e qualche vegetale. 
L'economia dell'isola si basava sulla pesca e c'erano solo due grandi edifici in muratura: la "fabrica de hielo" (ghiaccio) e la "empacadora" dove si confezionava il pescato con il ghiaccio e si spediva nelle località turistiche come Cancun, Tulum e Isla Mujeres, all'epoca già famose e affollate. 
Passai 5 giorni molto piacevoli sull'isola, fra nuotate e lunghe passeggiate sulla spiaggia di giorno, interminabili partite di pallacanestro serali nel piccolo parco in piazza (l'unico posto con fondo duro) e ovviamente pesce fresco a volontà.

martedì 12 luglio 2016

Chiummenzana ... qualche altro tassello

Erano simili a questi i famosi (una volta) pomodori di Chiomenzano?

A seguito della pubblicazione del relativo post culinario link ricevetti una gradita mail del sempre attento Gaspare Adinolfi il quale mi segnalava l’esistenza di un toponimo sorrentino che poteva avere una qualche relazione con la ricetta: Chiomenzano
I limiti dell’area non sono perfettamente delineati, ma certamente il fondo in questione (ora per lo più edificato) era ubicato appena fuori del centro storico, a monte di Corso Italia e ad est del “vallone dei mulini”. Il toponimo sopravvive oggi come nome del parcheggio Stragazzi, quello a via Fuorimura, in corrispondenza del mulino. Nel testo del messaggio era inclusa una citazione tratta da Strade e luoghi della Penisola Sorrentina (Goffredo Acampora, 2001) riferita ai toponimi Chiomenzano e Ciomenzaniello:
<<Denominazioni dall'etimo incerto attribuite a due fondi agricoli che producono agrumi e frutta in quella amena località del comune di Sorrento posta fra Via Casarlano, Via San Renato ed un rivolo incassato fra i valloni. Per essere la zona ricca di vigneti, che ancora producono buon vino, il nome di questo casale [sic!] potrebbe risalire all'etimo latino Vinum Chii attribuito al celebre vino dell'isola greca di Chios o Chius famoso per il suo gusto con il quale forse ben si confrontava quello del vino prodotto in questa contrada sorrentina>>.
Gaspare, pur invitandomi a prendere i toponimi in considerazione per un possibile legame con la ricetta, esprimeva le sue perplessità in merito alla etimologia suggerita da Acampora (che anch'io ritengo molto azzardata) e proponeva un’altra ipotesi:
"Pur non condividendo l'etimologia proposta dall'Autore ... (omissis) ... mi è sembrato opportuno suggerirti questa probabile traccia, che a mio avviso trova spiegazione nella natura del corso d'acqua sottostante:
*chiumm/ciumm, corruzione di fiume/ruscello, un tempo più consistente dell'attuale;
-zano nel senso di sano, intero: forse perché la località era posta prima degli opifici che, sfruttando il corso d'acqua per azionare i loro macchinari (quello che oggi si indica come mulino era, come già sai, una segheria) "rompevano" il regolare flusso idrico; oppure nel senso di non interrato, o quantomeno a vista, in relazione al tratto tombato a causa del riempimento del Vallone/Piazza Tasso (metà Ottocento).
Ovviamente le mie sono solo ipotesi, che non so in che misura potrebbero toccare la tua chiummenzana."
Ieri, finalmente, sono riuscito a parlare con Anna Iaccarino, titolare e cuoca del ristorante La Primavera di Massa Lubrense fin dalla sua apertura nel 1959, la quale mi ha confermato che i miei ricordi erano giusti e, senza che facessi alcun riferimento alle informazioni ricevute da Gaspare, mi ha citato il toponimo Chiomenzano quale origine certa del nome della ricetta. Discutendo in merito ai pomodori da usare, infatti, mi ha raccontato che esisteva una qualità di pomodorini simili a quelli del Piennolo del Vesuvio (lontani parenti di quelli che oggi si chiamano datterini o ciliegini), coltivati in quel fondo e comunemente denominati "di Chiomenzano".

Quindi la nostra velocissima salsa dovrebbe prendere il nome dalla qualità di pomodori utilizzati ... e mi sembra che questa spiegazione ha una sua logica. Inoltre il sito www.saporivesuviani.it riporta: 
Il Pomodorino del Piennolo del Vesuvio D.O.P. viene apprezzato sul mercato sia allo stato fresco, che nella tipica forma conservata “al Piennolo”, oppure anche come conserva in vetro, secondo un’antica ricetta familiare dell’area, denominata “Pacchetella”
Così siamo tornati anche alle pacchetelle ... 

In conclusione, il nome della ricetta (a quanto mi risulta più conosciuta a Massa Lubrense che a Sorrento) dovrebbe quindi derivare da una qualità di pomodori tipici di un fondo sorrentino, Chiomenzano, la cui etimologia al momento resta per me misteriosa.

Ciò contrasta quindi con la "presunta" origine e quindi tipicità caprese della chiummenzana.

sabato 9 luglio 2016

Per quanto tempo ancora eseguiremo ricette tradizionali?

Quanti di noi, di quelli che amano il buon mangiare, riescono ancora a ritrovare o riprodurre gli antichi sapori?
Saremo condannati ad adattarci ai cibi precotti, pre-preparati, verdure fuori stagione insapori, dolci senza zucchero, caffè senza caffeina e tè senza teina, insalate già pronte che resistono per vari giorni (ma come fanno?), latte e yogurt scremati (ieri ho dovuto faticare per trovare uno yogurt con la giusta percentuale di grassi, circa 5%)?
  
Vari ingredienti tradizionali con i quali sono cresciute generazioni intere sono ora vietati dalle normative europee o, nella migliore delle ipotesi, sono condannati ad essere “implasticati”. E se qualcuno se li può ancora procurare, certamente sono assolutamente banditi nelle cucine di ristoranti e trattorie.
Ammesso e non concesso che si riescano a trovare tutti gli ingredienti giusti, resta il problema del sapore. Che fine hanno fatto le succose e saporite costolette (braciole) di maiale? Oggi nel 90% dei casi si trovano le classiche suole di scarpe, asciutte, aride, senza un po’ di grasso. Questa è un’altra mania e il ritornello ricorrente in salumeria è: “il prosciutto bello magro, per favore” o “mi leva il grasso?”.    
La maggior parte di frutta, verdura e ortaggi si trova ormai in qualunque mese dell’anno e continuo a sbalordirmi di fronte a quelli che comprano prodotti “freschi” fuori stagione a carissimo prezzo non curandosi della mancanza del giusto sapore.
Purtroppo anche per i prodotti veramente freschi esiste il problema sapore, dovuto però alle colture intensive. Sembra che tutti si occupino più dell’apparenza e dell’aspetto del prodotto che del suo sapore e della giusta maturazione. Quanti buttano frutti interi a causa di una piccola parte scura, semplicemente troppo matura? Stesso discorso per vermetti, lumachine e simili in quanto solo pochissimi si rendono conto che la loro presenza è un indicatore inequivocabile di genuinità o almeno di un non eccesso di anticrittogamici. Verdure e frutti con ospiti sono i senz’altro i migliori, gli animali sanno scegliere. La didascalia sotto la foto a lato recitava:
Frutta doc (con verme di garanzia)…
Tornando ai cibi naturali e genuini voglio far presente che quando si ha l’occasione di mangiarne di quelli cosiddetti “paesani”, ma quelli veri non semplicemente indicati come "biologici", si nota veramente una grande differenza di sapore.
Chiudo con un interrogativo, un problema relativamente recente che assilla i cuochi (anche quelli molto dilettanti come me): quante ricette tradizionali sono ancora proponibili ad un gruppo di persone variamente assortito?

Vi parlo per esperienza personale. Mi piace cucinare, eseguire ricette etniche e piatti tipici così come varianti molto audaci e talvolta azzardate, ho amici che gradiscono la mia cucina (continuano a venire e raramente lasciano qualcosa nel piatto), ma ogni volta che invito più di una mezza dozzina di loro cominciano i mal di testa: 3 vegetariani (1 convinto, due pescetariani), 1 allergico ai crostacei e molluschi, 1 allergico ai peperoni e in parte alle melanzane, 1 allergico all’aglio e un paio evitano le cipolle, un paio non mangiano piccante (che a me piace molto ed in alcuni piatti trovo sia indispensabile), e potrei ancora continuare andando su ingredienti minori e opzionali o parlando di ciò che semplicemente non piace.
Una volta eravamo quasi tutti veramente onnivori ... che cosa è successo negli ultimi 30 anni???