domenica 31 gennaio 2016

Uccelli a Ferragudo e il "pipa" cinese

Qual è il nesso? Il mio ultimo giorno in Algarve.
Dopo essere andato ieri a percorrere le spiagge di Portimão nella loro interezza approfittando della bassa marea, stamattina accompagnato da un bel sole ed aria tersa mi sono dedicato a fotografare gli uccelli che popolano numerosi il porto-canale di Ferragudo, al di là dell'Arade (il fiume di Portimão).
Cormorani (Phalacrocorax carbo) e gabbiani (Larus michahellis ) sostavano insieme pacificamente sulla sabbia lasciata scoperta dalla bassa marea, sulla banchina dal lato opposto solo gabbiani, in mezzo barche e boe colonizzate dai cormorani

Gli unici ad essere attivi erano le gavine (forse ... Larus canus? vi farò sapere) uccelli più piccoli dei gabbiani reali (qui grandi in quanto molto ben nutriti) e abbastanza veloci e agili da sfuggire ad essi. Solitarie, sorvolano velocemente le acque scrutandone la superficie per poi fermarsi quasi improvvisamente ad una discreta altezza e quindi tuffarsi entrando in acqua verticalmente. La velocità e l’angolazione permettono di scomparire completamente sotto la superficie per uscirne poi immediatamente scrollandosi l'acqua di dosso. Nella foto a sinistra si intravede l'uccello appena immersosi e a destra la sua ripartenza.
   
I cormorani sembrano molto più tranquilli e non hanno attriti con i gabbiani che, al contrario, sono aggressivi nei confronti di molti altri uccelli e estremamente litigiosi fra di loro, specialmente contro quelli che riescono a procurarsi un buon boccone. Per esempio, nella foto in basso si nota il  gabbiano a destra con qualcosa in bocca e molti altri che, con grandi schiamazzi e agitazione, si erano subito alzati in volo e posti al suo inseguimento.

In questa galleria trovate molte altre foto che, seppur di non eccelsa qualità, permettono di osservare varie posizioni che prendono le ali durante il volo. Anche i meno esperti, purché dotati di un po’ di spirito di osservazione, potranno notare i differenti stili di volo. Guardate questo cormorano ...
Fra gli uccelli di una certa dimensione, oltre alle tre specie suddette si deve annoverare la presenza delle coppie di cicogne (Ciconia ciconia) i cui grandi nidi occupano tutti i punti più alti: ciminiere, tralicci, lampioni, vertici di tetti spioventi. Il classico  rumore che provocano battendo il lungo becco si sente quasi dovunque, a qualunque ora del giorno.

Prima di cena sono poi andato al Tempo (teatro municipale di Portimão) dove, in occasione del capodanno cinese, si esibiva la compagnia artistica di Chongqing. Spettacolo molto piacevole e vario che comprendeva danze tradizionali (in quella di apertura si sono esibite ragazze con abiti tradizionali tibetani con maniche lunghissime, come nel film “La foresta dei pugnali volanti” di Yimou Zhang, 2004 - video in alto), acrobati-ginnasti, giocolieri e vari musicisti che si sono esibiti in assolo con strumenti tradizionali abbastanza inusuali: lo sheng (una specie di organo a bocca), erhu e banhu (strumenti a due corde simili fra loro) e infine il pipa (chitarra a 4 corde), veramente notevole. 
L'artista è differente, ma il pezzo è lo stesso: Sorgente nei Monti Tian Shan (classica danza dell'etnia Yi)

venerdì 29 gennaio 2016

Un giro al mercato prima di pranzo

Da buon viaggiatore trovo che i mercati, a parte l’interesse antropologico, siano anche estremamente interessanti per chi è interessato alla gastronomia in quanto possono vedere ortaggi, pesci, spezie, carni, cibi salati o conservati in altro modo, frutti esotici, insaccati, legumi e chi più ne ha più ne metta. Più ci si avvicina all’equatore e la loro aria è pervasa da aromi, profumi e odori, talvolta forti, che qualcuno definisce puzze.
Quelli che amano provare nuovi piatti ne ricevono un doppio vantaggio:
  • visto un menù e letti gli ingredienti esplicitati nel nome sanno cosa aspettarsi nel piatto.
  • visto, assaggiato o odorato qualcosa di particolare potranno andare alla ricerca del ristorante o trattoria che lo proponga.
Ai suddetti vantaggi i frequentatori dei mercati aggiungono la possibilità di ampliare il proprio vocabolario e, in caso di patire di allergie o intolleranze o più semplicemente avere vizi alimentari o limitazioni ideologiche o religiose, sapranno cosa dover evitare.
Il mercato alimentare di Portimão è diviso in due sale delle quali la più piccola (comunque abbastanza grande) dedicata quasi esclusivamente pesci, crostacei, molluschi, eccetera. Nella più grande prodotti della terra, carni, formaggi, pani, dolci, spezie, ... ma in questo post parlerò solo di quanto si vede poco o niente nei mercati italiani.  

Percebes (Pollicipes pollicipes), crostacei e non molluschi, caratteristici del Portogallo, Galizia e Marocco. Prelibati e, ovviamente relativamente cari (ieri a 15 Euro/kg). Li provai per la prima volta nel 1979 a Sagres (estrema punta sudoccidentale dell’Algarve, Portogallo) senza avere la benché minima idea di cosa fossero esattamente, né di come si mangiassero ma, come si fa in questi casi, guardai gli altri e appresi rapidamente. Solo pochi piccoli ristoranti e qualche trattoria li servono e di solito non sono sul menù. Se li volete provare occhio ai cartelli scritti a mano esposti all’ingresso ed  affrettatevi a entrare in quanto spesso prima delle 14 già scompaiono.   
   
Pata-roxa (Scyliorhinus canicula), gattuccio. Piccoli pescecani che si vendono già privati della loro durissima e più che ruvida pelle (zigrino, da cui zigrinato, zigrinatura) propria dei pescecani ed altri pesci come le razze e che si cucinano in modo simile ai Cazòn (canesca) in Spagna peninsulare e alle Canarie.
Santola (Maja squinado), granceola che in Italia, quando si trova (quasi solo in Veneto), costa quanto l’aragosta. Ieri a Portimão erano a soli 12 Euro/kg.
   
Garoupa (nome generico per molti diversi tipi di cernie). Al contrario cherne si riferisce solo alla Cernia di fondale, che appartiene ad altra famiglia. Queste della foto in alto a destra sono di pezzatura media, una dozzina di chili. Sembra che proprio da garoupa derivi il termine inglese grouper riferito alle cernie in generale. Di queste me ne sono “fatto una pancia” alle Canarie, dove sono comunissime e proposte a grossi tranci encebollado o più semplicemente a la plancha.
   
Peixe espada (Trichiurus lepturus). Si deve chiarire che non ha niente a che vedere con il pescespada (espadarte in portoghese) trattandosi di specie simile al pesce sciabola, ma più grande. Si cucina in vari modi e si trova in quasi tutti i menù, ma seconde me rende al meglio fritto (foto in alto a destra, a sinistra l'ultimo da vendere). 
Esiste anche il peixe espada preto (Aphanopus carbo) più pregiato, nero, pescato soprattutto a Madeira dove scattai le deu foto in basso. 
   

mercoledì 27 gennaio 2016

Mölkky (gioco di mira)

Varie volte a Tenerife, anche nelle mie visite degli anni scorsi, avevo notato gruppi di nordici che si divertivano (spero per loro) a lanciare un bastoncino di legno, corto e tozzo, contro altri posizionati in piedi a pochi metri di distanza. Pensavo fosse un gioco tradizionale, molto antico, risalente a quando non avevano ancora scoperto come costruire le bocce ... e invece il Mölkky è un gioco recentissimo, inventato appena 20 anni fa, nel 1996. 
Ho letto che ricorda il molto più antico kyykkä, ma al contrario di quello non richiede grande sforzo ed è quindi adatto a tutti a prescindere da età e forma. Considerato che non richiede nemmeno alcuna attrezzatura o abbigliamento particolare, il Mölkky ha avuto subito un grande successo e nella sola Finlandia ne sono stati venduti circa 200.000 set.

Ieri a Praia da RochaPortimão (Algarve, Portugal) c'era un nutrito gruppo impegnato in una partita e ne ho approfittato per scattare un paio di foto.
È un gioco molto "sociale" in quanto si può praticare in spazi ristretti e senza un numero determinato di partecipanti. Possono partecipare fino a 6 giocatori per ognuna delle due squadre che non necessariamente devono avere lo stesso numero di “atleti”. Essendo quasi statico, è molto praticato dai tanti pensionati (in particolare finlandesi) che svernano in sud Europa.
Ecco gli attrezzi necessari e le regole basilari, molto semplici:
12 bastoncini di legno di sezione circolare, con una delle due teste tagliate a 45°, sulle cui facce sono scritti i numeri da 1 a 12. Un tredicesimo bastoncino (il Mölkky, senza numero) ha invece facce perpendicolari e viene lanciato per (tentare di) colpire e abbattere gli altri. Tutti hanno un diametro di circa 5,5cm ma il Molkky è lungo circa 22cm contro i 10-15cm degli altri 12.
Stabilito il turno di lancio, i giocatori delle due squadre si alternano alla linea di battuta dopo aver posizionato i 12 legni ad una distanza di compresa fra 3 e 4 metri, raggruppati, esattamente nella disposizione della foto a sinistra.
Si ottengono un numero di punti pari al numero scritto sul pezzo abbattuto, se unico. In caso di due o più bastoncini caduti si ottiene solo un punto per ogni bastoncino. Per essere considerati abbattuti devono rimanere in posizione orizzontale, vale a dire che non valgono quelli che restano poggiati su altri o sul Mölkky stesso. I bastoncini colpiti vengono rialzati e posizionati nello stesso posto nel quale si trovano quindi man mano si allontanano dalla linea di tiro visto che ad ogni caduta vanno un po’ più avanti. Nella foto in basso (e anche nella prima in alto) si vede come dopo i primi colpi si sparpaglino a varie distanze.

Obiettivo del gioco è quello di raggiungere esattamente 50 punti, se si “sballa” si riparte da 25. Il giocatore che per tre volte consecutive manca il bersaglio viene estromesso da quella partita.


Anche se la ditta finlandese Tuoterengas è quella che ha inventato e brevettato il Mölkky, in altri paesi ne sono state prodotte altre versioni. Se la cosa può interessare, si può comprare in Internet dai 15 Euro (versione mini) ai 50 Euro. 

Nel 2014 è stato organizzato il primo Campionato del Mondo a Tampere, Finlandia. 

lunedì 25 gennaio 2016

Fatti pecora e il lupo ti mangia

Animali che mangiano altri animali, sono tanti dai più grandi a quelli a mala pena visibili. La maggior parte delle persone “fanno il tifo” per le prede dimenticando che i predatori qualcosa devono pur mangiar e che a loro volta sono prede di qualcun altro. 
Pochi giorni fa su Repubblica - Ambiente è stata pubblicata questa foto con titolo "Yellowstone, la tragica fine del topo: questa foto racconta una storia". 
Tutti i benpensanti rincitrulliti dal buonismo irrazionale si dispiaceranno per il topolino, ma la povera aquila (o altro rapace) come dovrebbe sopravvivere? Perché non titolare "Yellowstone, anche oggi l'aquila è riuscita a mangiare qualcosa"?
In rete ci sono tanti i video (e altri passano in TV) di leoni o ghepardi che cacciano gazzelle o altri mammiferi e, indipendentemente da come vada a finire, quasi tutti si dispiacciono per la preda. 
Quando vediamo una lucertola con in bocca una farfalla i più si dispiacciono per la farfalla, ma anche i tanti che provano addirittura ribrezzo per tutti i rettili sono poi grati ai gechi che mangiano ragni e zanzare e perfino ai pipistrelli altri poveri animali storicamente molto mal visti e sui quali si sono costruite leggende inverosimili.

Sembra che la maggior parte degli animalisti (falsi) parteggino sempre ed unicamente per il soccombente dimenticando (o non conoscendo assolutamente) l'esistenza della catena alimentare. In natura ci sono un sacco di predatori che possono sopravvivere solo mangiando altri animali. Perché parteggiare per gli uni a discapito degli altri? Giusto per fare qualche esempio, leoni, tigri, tonni, libellule e altri insetti carnivori non possono diventare vegetariani da un giorno all'altro! Questa è un'idea accettata solo da ambientalisti dementi! 
Il buonismo insensato si basa spesso solo sulla (presunta) simpatia dell'animale. 
Si tollera la foca che mangia una gran quantità di pesci, ma meno l'orca o l'orso che mangia una foca, quanti sanno che il protettissimo e quasi idolatrato delfino mangia vari chili di pesce e/o molluschi al giorno? Qualcuno si dispiace per le centinaia di sardine, alici, moscardini e seppioline che scompaiono fra le loro fauci?
Molti dimenticano che è nell'ordine naturale delle cose (ripreso anche nel detto “pesce grande mangia pesce piccolo” ... proverbi saggezza dei popoli, ma pochi li tengono nella giusta considerazione) e così si sono evolute e perfezionate le specie che dipendono ovviamente dai "sopravvissuti" per riprodursi. 
Questo concetto è mirabilmente riassunto nel famoso proverbio africano:
"Ogni mattina, in Africa, una gazzella si sveglia, sa che deve correre più in fretta del leone o verrà uccisa. Ogni mattina, in Africa, un leone si sveglia, sa che deve correre più in fretta della gazzella, o morirà di fame. Quando il sole sorge, non importa se sei un leone o una gazzella: L'importante è che cominci a correre...".
Le gazzelle lente o poco agili non vivono a lungo, parimenti ai leoni che non sono in grado di cacciare e quindi di procurarsi cibo.
Vi invito a leggere questo lungo post della naturalista Eletta Revelli, interessantissimo seppur limitato alle specie acquatiche, che sfata molte credenze comuni prive di qualsiasi base scientifica.
Vita vissuta (foto dreamstime.com)
Una trentina di anni fa, del tutto involontariamente, interferii nella caccia di un biacco (serpente) ad una rana e il fatto mi dispiacque in quanto penso che il più rapido fra i due avesse diritto alla sopravvivenza e non il più "simpatico" (molti avrebbero tifato par la rana).
Nell'occasione il rettile, sorpreso dalla mia presenza, si fermò per un attimo mentre l'anfibio continuò a saltellare allontanandosi rapidamente dal greto del torrente. 
Come sarebbe andata a finire? Nessuno lo saprà mai, anche se probabilmente la rana sopravvisse a quella e a qualche altra caccia e il biacco sarà riuscito a mangiarne qualcun'altra ... o forse proprio la stessa? 
Sono dell'opinione che, come "fra moglie e marito", non dovremmo parteggiare per gli uni o per gli altri e lasciare che altri esseri viventi se la sbrighino da soli, come hanno fatto per millenni.

sabato 23 gennaio 2016

Differenti modi di andare in vacanza

Viaggiare senza la frenesia del turista "forzato"

In particolare chi ama viaggiare e per qualunque motivo ha tempi ridotti, o anche lunghi ma con date obbligate, comprenderà immediatamente e perfettamente il senso di questo post.

Comincio da chi ha poco tempo e viaggia per "staccare", molti di loro sono i "forzati delle ferie". Molto spesso si trovano in uno dei due casi estremi e in un certo modo opposti:
  • non mirano assolutamente a niente altro che a giacere al sole, dormire ed eventualmente mangiare e bere oltre il necessario. Per esempio quelli che vanno nei "villaggi" e per una settimana si spostano dal buffet della colazione alla spiaggia, poi al buffet pranzo per tornare immediatamente in spiaggia; dopo una breve pausa per doccia e cambio abbigliamento, sono pronti per l'ovviamente abbondante cena con sufficiente vino seguito da dolci e gli immancabili superalcolici. Questi “grandi viaggiatori” racconteranno poi di essere stati in Tunisia, Turchia o Egitto senza mai aver messo piede fuori del resort, senza aver imparato una parola di idioma del posto, senza mai aver provato vero cibo locale. Ho lavorato per una stagione intera al Villaggio Valtur di Kérkyra (Corfù) e vi assicuro che so cosa dico.
  • cercano disperatamente di concentrare in una settimana (per esempio) la visita di tutti i musei, monumenti e attrazioni di un luogo e dei suoi dintorni nel raggio di 50 o 100km, o addirittura di una regione intera, passando la maggior parte del tempo saltellando da un posto ad un altro, non godendosi niente e avendo sempre la preoccupazione di fare tardi per il successivo "impegno".
Ammetto che questi due modi di affrontare un viaggio possano essere esattamente il loro obiettivo e che si sentano del tutto soddisfatti e appagati di come affrontano le vacanze pur sempre con il rimpianto di non poterle prolungare ulteriormente (chi non lo vorrebbe fare?). Tuttavia, dal mio punto di vista, con minimo sforzo e poche rinunce potrebbero migliorare di molto le loro esperienze di viaggio.
Il secondo grande gruppo comprende invece quelli che sono obbligati a prendere le ferie, anche lunghe, in determinati mesi (di solito estivi). Questi nella maggior parte dei casi sono condannati a pagare di più (alta stagione), ad affrontare il peggio del traffico, a trovare tutti i posti affollati. Nel caso possano viaggiare solo in estate e aspirino ad andare in altre aree climatiche, dovranno sempre escludere quelle regioni che in quel periodo sono soggette a monsoni, tifoni o si trovino in pieno inverno se nell'altro emisfero. Per anni mi sono trovato in questa situazione potendomi muovere solo fra novembre e marzo (come molti del settore turistico stagionale), ma da ormai oltre 10 anni ho perfezionato il mio modo di viaggiare.
Talvolta mi sono avvicinato alla seconda tipologia con giornate molto piene, ma mai frettolose. Sono sempre stato dell'opinione che città e genti si conoscano vagando a casaccio, frequentando i mercati municipali, viaggiando utilizzando i trasporti pubblici e soprattutto parlando, per quanto possibile, con i locali, attività che è enormemente facilitata dal viaggiare da soli. In questo modo si riesce a comprendere veramente lo spirito di un luogo e dei suoi abitanti e, se si ha la possibilità e la voglia di ritornarci si sarà sempre più ripagati riuscendo a destreggiarsi al meglio fra eventi, luoghi e persone.

Per esempio, avendo previsto di rimanere una decina di giorni a Portimão, ieri ho dedicato la giornata ad una ricognizione (foto) vagando fra cinema, teatro, mercati, controllo trasporti, cicogne al loro posto sulle ciminiere dismesse (foto) e, manco a dirlo, tascas e ristoranti preferiti.
Prima di lasciare l'albergo ho controllato gli orari delle maree ed ho rinviato la mia lunga passeggiata lungo tutte le spiagge di Portimão (circa 4km) in quanto è possibile solo con la bassa marea (fra martedì e venerdì sarà l’optimum). Stamane dall’alto della falesia ho visto varie persone che pur di non tornare indietro si sono bagnate quasi fino alla cintola, alcuni come questi della foto che hanno atteso il momento giusto e se la sono cavata con poco danno e altri che, più saggiamente, hanno rinunciato. 
   
La prima tappa è stata A nossa casa, mio ristorante preferito con clientela quasi esclusivamente locale, che sta ancora lì e sempre abbastanza pieno di clienti quasi fissi (ottimo segno!). La senhora dopo 4 anni di mia assenza mi ha comunque subito riconosciuto e, sua sponte, mi ha detto che avrebbe cercato pescadinhos para fritar. La mia fama di mangiatore di pesce fritto é senza confini. 
Poi ho incontrato Tio Raul (tifoso sfegatato dello Sporting) con il quale ho scambiato quattro chiacchiere "calcistiche" anche se non sono il mio argomento preferito. Ho comprato il biglietto per spettacolo di circo cinese al Teatro Municipale, sono andato al cinema a vedere The revenant (micro-recensione nella raccolta Google+ Un film al giorno), oggi è il turno di The Big Short (altro candidato agli Oscar con 5 nomination). In queste occasioni si possono commentare film e spettacoli con altri spettatori a patto di conoscere, seppur a livello di base, qualche altro idioma ... meglio quello locale.
   
Tutto quanto sopra descritto si può fare solo se si ha tempo e si allungano le permanenze, ma si ottiene il vantaggio di sentirsi più o meno parte della comunità e si viaggia senza “ansia da prestazione” (di viaggiatore, ovviamente).
Potendo, sono convinto che questo sia il miglior modo di arricchire i propri orizzonti culturali.

mercoledì 20 gennaio 2016

(segue) ... 36 anni fa in Amazzonia

Del mio breve soggiorno a Misahuallí ricordo bene due escursioni, una più affollata e “turistica” (molto relativamente) con Hector e l’altra, più avventurosa e faticosa, con suo nipote, entrambe molto interessanti.
La prima ci portò per facili sentieri fino ad una cascata dove avemmo anche il tempo per un bagno e poi ad un villaggio di indigeni, però già abbastanza “corrotti dalla civiltà (?)”. Lungo il percorso Hector, che fece onore alla sua fama di esperto, ci mostrò tanti insetti e piante, spiegandone le caratteristiche e gli usi, stanò una enorme tarantola, all’arrivo dell’inevitabile acquazzone ci tagliò delle enormi foglie (ciascuna sufficiente per due persone) da usare come ombrelli e ci fece bere acqua pura dalle liane. 
Durante la sosta al villaggio beccammo un altro scroscio di pioggia e gli indigeni, quel giorno impegnati in una particolare attività collettiva che richiedeva la partecipazione di tutti, sospesero il lavoro e ci invitarono a mangiare qualcosa con loro e soprattutto a bere la chicha. Questa è una bevanda che si ottiene dalla fermentazione del maiz e fu prodotta dagli amerindi dal Messico fino in Cile e veniva servita come bevanda sacra nel corso di rituali e altre occasioni particolari fin dall’epoca precolombiana. Tradizionalmente il grano veniva tritato masticandolo (compito affidato esclusivamente a donne e bambini) e gli enzimi della saliva lo facevano fermentare producendo così una bevanda leggermente alcolica che veniva consumata dopo averla bollita e filtrata. Ritornammo a Misahuallí viaggiando su tetto di un camion/bus.
Per l’altra escursione attraversammo il fiume usando una piroga e camminammo per ore e ore, con mille saliscendi, tanto fango, umidità prossima al 100%, lungo tracce appena riconoscibili e attraversammo tanti piccoli canali riuscendo a rimanere in equilibrio su ponticelli costituiti ciascuno da un singolo tronco scivolosissimo. Vedemmo anche vari serpenti fra i quali alcuni che dovevano essere molto velenosi non solo perché ce lo disse la guida, ma anche a giudicare dai salti che fece al vederli, mentre di fronte ad altri rimase assolutamente tranquillo.
La guida Ecuador (Lonely Planet, 2016) introducendo Misahuallí ricorda che da quando è stata costruita la strada Tena - Coca ha perso molto della sua “importanza”. Situata all’estremità di una lingua di terra chiusa fra due corsi d’acqua (non essendoci ancora i ponti costruiti pochi anni fa) era a tutti gli effetti la “fine della strada”. Proprio da ciò derivava la sua importanza in quanto il Rio Napo è navigabile (seppur con qualche piccola difficoltà) e quindi c’era un servizio quasi regolare di lance fra Misahuallí e Coca (il cui nome ufficiale è Puerto Francisco de Orellana).
   
Il primo febbraio 1980, di buon mattino, salii su una lancia insieme a locali, qualche viaggiatore, ceste e animali e cominciò il lungo viaggio sul fiume che fungeva a tutti gli effetti da strada principale. Infatti, oltre a dover percorrere oltre un centinaio di km, si devono considerare le fermate “a richiesta” per caricare e scaricare persone e mercanzie presso vari gruppi di capanne. Per di più, a metà strada il timoniere accostò per collaborare ad una battuta di caccia aiutando a bloccare una guatusa (aguti grigio, Dasyprocta fuliginosa, roditore lungo 50-60cm per circa 4 kg) che avrebbe fornito carne alla famiglia dei cacciatori per vari giorni.

Fu una “crociera nel bacino amazzonico” molto singolare, oserei dire impareggiabile, costata pochi sucres, in ottima compagnia, con scenari irripetibili in una natura rigogliosa veramente incontaminata.
Leggendo questo articolo di Maria Elisa Di Pietro, arricchito con varie foto, potrete sapere qualcosa di più di vari aspetti dell’Oriente (questo è il nome della regione ecuadoriana) aggiornati al 2009.

lunedì 18 gennaio 2016

Fra un viaggio e l’altro, uno nel passato ... in Amazzonia

Tenendo ben presente quanto ho scritto nel precedente post ecco un sommario racconto dei ricordi salienti del mio primo contatto con l’Amazzonia, nella parte più alta, in Ecuador (gennaio 1980).
Viaggiavo avendo come riferimento la storica guida South American Handbook (in seguito SAH, copertina a sinistra), 36 anni fa non c’erano né Internet, né GPS, né cellulari e all’epoca quella era pressoché l’unica risorsa. Incredibilmente viene tuttora pubblicata e dal 1924 è stata stampata ogni anno una versione aggiornata, anche durante la guerra. Rilegatura dura plastificata, circa 1.500 pagine sottilissime, caratteri abbastanza piccoli, scrittura fitta, unico modo di farci entrare l’infinità di informazioni indispensabili per viaggiare non solo in America Latina, ma anche nei Caraibi.
Sulla base di quelle informazioni, da Quito andai a Baños de Agua Santa percorrendo in bus strade decenti, poi strada sterrata a strapiombo su una specie di canyon (senza alcuna protezione, ovviamente) fino a Puyo e infine un altro centinaio di km su pista ancora peggiore attraverso la foresta amazzonica fino a Misahualli, sul Rio Napo che dopo varie centinaia di km confluisce nel Rio delle Amazzoni.

Allora il villaggio era formato da pochissime case raggruppate attorno ad una piazzetta, fangosa come tutte le “strade” circostanti e l’offerta di alloggi era molto limitata ... e spartana. “Scesi” (come si diceva una volta) al Residencial Balcon del Napo, “camere” con pareti sottilissime (non in muratura), bagno in comune e solo acqua fredda. Su books.google ne ho trovato menzione sulla Lonely Planet del 2003 e (come vedete a sinistra) dopo oltre 20 anni era ancora il più economico (2 dollari a notte) e primo della lista. Oggi non ce n’è più traccia ma Booking e Trip Advisor elencano una decina di posti dove pernottare da un minimo di 40 fino ad oltre 300 Euro a notte. I tempi cambiano ...
Come buona norma la prima cosa che feci fu quella di assicurarmi un giaciglio al primo piano del Balcon del Napo e poi andai a cercare tale Hector che SAH menzionava come guida affidabile e certamente nella foresta amazzonica è fondamentale averne una. Preso appuntamento per l’indomani mattina passai al problema cibo e anche in questo caso la scelta non era molto ampia e mi ricordo che mangiai sempre nello stesso “ristorante”, una struttura in legno senza pareti ... sopra c’erano delle stanze ma ai lati niente e quasi ogni sera diluviava. 
Il posto era ovviamente “affollato” dai pochi viaggiatori che non avevano dove altro andare e attorno non c’era illuminazione pubblica.
Si chiacchierava, si scambiavano notizie aggiornate visto che quelle della guida erano inevitabilmente vecchie di almeno un anno, e si era rallegrati dalla presenza di Martin (mono capuchino, scimmiaPepe (tigrillo, ocelot) entrambi abbastanza tranquilli e giocherelloni. Tuttavia quando il primo mi saltava in testa all’improvviso afferrandosi con le zampe ai capelli (allora ce ne avevo in quantità) e per maggior sicurezza mi cingeva il collo con la coda mi faceva sussultare, in particolare se arrivava alle spalle. 
    
Pepe, come qualunque altro felino, era più “affettuoso” e non graffiava assolutamente, ma quando decideva di mordicchiare qualcuno questi senz’altro sentiva i suoi denti ...
La mattina nel villaggio apparivano anche vari Auca (appartenenti alla tribù Huaorani) seminudi, con tanto di cerbottane alte almeno quanto loro e recipiente per il curaro nel quale intingevano le punte delle frecce quando andavano a caccia. Questi erano “originali”, mentre so per certo che attualmente, come in ogni altra parte del mondo in situazioni simili, ci sono quelli che si presentano vestiti come i loro genitori o nonni solo per i turisti dai quali sperano di ricavare un po’ di soldi in cambio di una foto.
Pare che gli Auca mantengano tutt’oggi la fama di essere molto agguerriti e per quanto è successo negli ultimi anni ne hanno ben motivo. All’epoca del mio viaggio correva voce (confermata anche da Hector, ma non per questo certamente vera) che se si invadeva la loro zona di caccia o comunque si sentivano minacciati o semplicemente disturbati, con le loro infallibili cerbottane sparavano le prime due frecce davanti agli intrusi mentre la terza (forse con curaro) sarebbe andata invece diretta al bersaglio ...

Il post è già diventato lunghetto, nel prossimo dirò delle escursioni nella foresta e della discesa del Rio Napo fino Puerto Francisco de Orellana (alias Coca).

sabato 16 gennaio 2016

Ricordo solo parte di ciò che ho visto, talvolta con particolari non del tutto veri

Déjà vu * Jamais vu * Presque vu

Questo del titolo è un concetto del quale sono convinto e penso che alla maggior parte degli esseri umani capiti lo stesso. Di solito è riferito ad una storia di vita vissuta nella quale, in particolare con il passare del tempo, si omettono fatti ritenuti poco significativi e si arricchiscono quelli reputati sostanziali, drammatici o divertenti. Personalmente lo cito mettendo in guardia chi ascolta un mio racconto di viaggi che qualche particolare potrebbe non essere esattissimo, ma ciò che conta è il ricordo ... non siamo mica in tribunale!

Similmente, a chi non è capitato di sostenere, in totale buona fede, la presenza di una certa persona in un tale posto in una determinata occasione, la non esistenza di qualcosa arrivando a giurare di non averla mai vista pur avendo frequentato i luoghi? Una illuminante e divertente dissertazione (non scientifica) in merito a tre fenomeni correlati si trova in un passo di Catch-22 (Comma 22) geniale romanzo di Joseph Heller del 1961 dal quale fu tratto il film omonimo di Mike Nichols (1970). Di solito si parla di solo uno di essi, utilizzando un termine francese divenuto di uso comune: déjà vu (già visto) - sembra che almeno il 60% delle persone lo abbia vissutoa almeno una volta nella vita. Gli altri due termini, dei quali venni a conoscenza quando lessi il libro una trentina di anni fa sono jamais vu (mai visto) e presque vu (quasi visto).  
  
Trascurando il primo e più famoso, in quanto trovo inutile portare esempi, passo agli altri due che molti di voi che state leggendo questo post avranno già associato ad alcune proprie esperienze.
Uno degli eventi più comuni riconducibili al jamais vu è si verifica nella descrizione di percorsi o ubicazioni di edifici, negozi, strade ... chi spiega fornisce dettagli che presuppone l’ascoltatore conosca, ma questi nega di averli mai visti pur essendo passato di lì numerose volte.
Es. - “...nel palazzo subito dopo il semaforo (o la cappella, o il tabaccaio, ...)” e l’altro risponde “Quale semaforo? Non c’è nessun semaforo.” Nella maggior parte dei casi è l’ascoltatore a sbagliarsi ed è difficile convincerlo se non quando se ne renderà conto con i propri occhi. Chiaramente entrambe sono in perfetta buona fede.
Il terzo e ultimo caso è il presque vu che, come déjà vu, è sempre a totale nostro carico ed è quello che più fa innervosire (almeno per quanto mi riguarda), in particolare nella ricerca di qualcosa. Già il fatto di cercare e non trovare un certo oggetto o una parola in un testo pur essendo certi che sia lì è abbastanza seccante, ma è il presque vu che ci porta all’irritazione.
Es. - Scorrendo velocemente un testo, o giusto dando un’occhiata ad una pagina, ad un certo punto ci colpisce una parola che suscita il nostro interesse. Tornando indietro con lo sguardo non si trova più! A volte si deve rileggere tutto con attenzione per vederla, ma in altri casi, anche dopo una seconda lettura, la parola sembra essere sparita. Non riusciamo a trovarla o ci siamo illusi di aver visto qualcosa solo perché era interessante per noi? Abbiamo forse semplicemente combinato in modo erroneo una serie di lettere? Molte volte si resta con il dubbio.
Similmente, chi cerca un libro o un cd in uno scaffale potrà vedere per un istante ciò che cerca e poi non trovarlo più o notare un titolo o autore che non era fra i suoi obiettivi che poi “misteriosamente” sparisce.
Il presque vu viene spesso associato al “sulla punta della lingua”.
A tutt’oggi le cause dei suddetti fenomeni non sono state dimostrate anche se ci sono numerose teorie che ne forniscono spiegazioni plausibili.

giovedì 14 gennaio 2016

Cibo canario che raramente si trova nei menù dei ristoranti

Nel corso del mio recente soggiorno canario, più precisamente tinerfeño, la delusione iniziale causata dal trovare la mia tasca (trattoria) preferita non ancora aperta, è stata ampiamente ripagata dall'inaugurazione della sua nuova sede dopo una decina di giorni e frequentazione pressoché quotidiana per oltre un mese. Chi ha letto qualche precedente post o Tweet sa che sto parlando di Casa Tata e Punta Brava.
Nel dizionario RAE (testo di riferimento per lo spagnolo) il termine “tasca” viene riportato come sinonimo di taberna e quindi definito: "esercizio pubblico, di carattere popolare, nel quale si servono e si vendono bevande e, talvolta, si serve cibo". Divagazione: giunto a questo lemma, ho scoperto un altro dei tanti modi di dire che mi affascinano:
Difunto de taberna: m. coloq. Borracho privado de sentido
Anche se non dovrebbe essere necessaria, ecco la traduzione: Defunto di taverna: colloquiale - Ubriaco che ha perso i sensi.
Cercherò di riassumere alcune delle esperienze gastronomiche e antropologiche che differenziano posti così dai tanti ristoranti e cafeterias di Puerto de la Cruz dove (forse) il 10% dei ristoranti includono nel menù conejo (coniglio, fritto o in salmorejo), o carne de cabra o garbanzas e ancora meno puchero canario, tollos o escaldón. La presenza di uno più di questi piatti nel menu del dia è indicativo di una certa attenzione alla cucina locale e tradizionale ed in questo post tratterò rapidamente solo dei suddetti piatti con minime eccezioni. Come esempio ecco un tipico menu' di Casa Tata, chiaramente giornaliero e di stagione (a sinistra). Ci sono piatti, minestre e le onnipresenti tapas (p.e. queso asado, pimientos del padrón, croquetas).
Di ciò già discettai quasi un anno fa nel post Gastronomia, dalle Canarie al resto del mondo che vi invito a leggere (se la gastronomia vi interessa).
Non potrei non cominciare dal pesce simbolo dell’isola: Trachurus trachurus, (sugarello, in napoletano sauriello), chicharro alle Canarie, carapau  in Portogallo (ne parlerò fra una decina di giorni). Si tratta storicamente del più comune e più economico delle Canarie tanto che gli abitanti della prima capitale di Tenerife (San Cristobal de la Laguna) chiamavano in termini sprezzanti chicharreros i poveri pescatori di Santa Cruz, che si nutrivano quasi solo di chicharros e vendevano i pesci più pregiati. Le cose sono molto cambiate e, quasi come rivincita, gli abitanti di Santa Cruz, attualmente capitale dell’isola, si fregiano di quel loro soprannome dispregiativo che oggi viene attribuito anche a tutti gli altri abitanti dell’isola diventando così sinonimo di tinerfeño

 La sua “morte” è fritto (foto sopra) e se le dimensioni non sono eccessive e l’olio è alla temperatura giusta (alta) giunge a tavola con testa, pelle e coda croccante e carni umide eppure cotte alla perfezione e quindi quelli come me non lasciano assolutamente niente. Similmente vengono anche fritte le sardinas ma queste, a parità di dimensioni, hanno spine molto più dure ... che restano nel piatto.
A Casa Tata ogni giorno viene proposto una minestra (potaje, caldo o sopa, che non sono esatti sinonimi e indicano la “brodosità” e la prevalenza di ingredienti) e mi limiterò a citarne un paio. Garbanzas è senz’altro la più comune e infatti viene proposta come primo anche in molti menù a prezzo fisso nei locali del centro, insieme con il rancho canario e sopa de pescado. Chi mastica (verbo appropriato considerato l’argomento) un po’ di spagnolo non si meravigli del genere femminile: garbanzos sono i ceci, il legume in sé e per sé, garbanzas è la zuppa molto ricca che include tanti altri ingredienti fra i quali pezzetti di vari tipi di carne (chorizo, costilla, piedini di maiale, pancetta, ...) oltre ai soliti aglio, cipolla, pomodoro, peperone ...
Una decina di giorni fa ho provato la sopa de berro (Nasturtium officinale , crescione d'acqua) che, come quasi tutti i primi canari, conta una gran quantità e varietà di ingredienti ovviamente in piccole quantità: patate, ceci, cipolle, aglio, costillas, peperoni.
Altri piatti molto, ma molto, tipici sono: Tollos Cazón. Si tratta dello stesso pesce (canesca, piccolo squalo molto abbondante nelle acque delle Canarie) ma con una grande differenza: tollos sono i filetti di cazón seccati al sole e quindi conservati. Si trovano in tutti i mercati e, se arrivate abbastanza presto, troverete il pescivendolo che pazientemente sta spellando quelli freschi. 
Fu proprio la ricerca di un posto dove poter mangiare un piatto di tollos che mi portò fino da Tata. Ad avvalorare quanto detto in apertura di post, posso dire che pur passeggiando per oltre 20km al giorno e percorrendo ogni strada e vicolo di Puerto de la Cruz, ho trovato solo un altro cartello che indicava la presenza di tollos. Personalmente preferisco il Cazón en adobo, quindi la versione “fresca” (foto a destra).
Una tasca si riconosce subito al semplice osservare il rapporto locali/turisti di solito maggiore di 4, vale a dire che almeno l’80% degli avventori, del genere popolar/familiare, di ogni generazione. Con l’avvicinarsi dell’orario di chiusura, fra quartas (di vino), cervezas, caffè e qualche chupito aumenta l’allegria in un ambiente molto amichevole e ottimo per poter affrontare qualunque argomento (ma i principali restano sempre calcio, politica e carenza di danaro). In occasioni particolari c'è anche chi, come José el Gitano, comincia a cantare ben prima ... ma era la vigilia di Natale.

Molte tascas, al contrario dei ristoranti, possono essere insignite (in senso figurato) delle famose 3 B spagnole: Bueno, Bonito, Barato (primi due aggettivi ovvi, il terzo = economico).
Sto preparando una raccolta di foto di vari piatti provati a Casa Tata e nei commenti aggiungerò, oltre al nome che permetterà alle buone forchette di fare ricerche più approfondite in rete, gli ingredienti principali e qualche mia impressione. Sarà online a breve.

martedì 12 gennaio 2016

il SONNO e TEMPO

Potrei aver titolato questo post anche “Filosofia di vita e Fantabiologia”.
Pur sapendo, in quanto ampiamente dimostrato, che tutti abbiamo bisogno di dormire, il numero di ore non è scientificamente determinato e tantomeno i modi e la distribuzione nell’arco della giornata. Con un po' di adattamento si può anche ridurre il sonno di cui si ha bisogno (seppur di poco) e sarebbe cosa auspicabile poiché quanto si dorme di più del necessario va ovviamente sottratto da ciò che ci rimane delle 24 ore. Tolte anche le ore di lavoro, studio e necessità giornaliere (spesso non riducibili) si va a intaccare soprattutto il tempo a disposizione per leggere, ascoltare musica, stare con amici e/o partner, e qualunque altra attività di nostra elezione che ci soddisfi. 
Assodato quindi che il “tempo libero" è limitato, cosa nota ma sulla quale non si riflette abbastanza, oltre a ridurre le ore di sonno sarebbe anche opportuno cercare di eliminare, per quanto possibile, i tempi morti ed in questo ci è di grande aiuto la tecnologia. Sempre più persone “guadagnano tempo” (anche se non lo si può mangiare - “Perché se guadagni del tempo cosa te ne fai? mangi tempo?”, da Questi fantasmi, di Eduardo de Filippo) comprando biglietti in anticipo, effettuando operazioni bancarie senza andare in banca, acquistando online e via discorrendo. Lo stesso tipo di elettronica, ormai a disposizione di tutti, è di grandissimo vantaggio (sotto molti profili) per tutti gli amanti della musica, della lettura, del cinema. Viaggiando con trasporti pubblici o in auto (se non si guida) oltre alla facile scelta della musica si possono anche leggere libri o guardare film; in ambienti tranquilli e con un minimo di spazio si può scrivere o lavorare. Senza aver bisogno di alcun elemento tecnologico si possono invece prendere in considerazione la lettura (dei classici libri “di carta”), attività più all’antica come l'uncinetto (!) ma anche le conversazioni e perfino animate discussioni, possono essere un ottimo modo di impiegare il tempo se si scelgono bene gli argomenti; il pensare, progettare, fantasticare possono essere gratificanti anche se apparentemente improduttivi. Anche le cose giudicate più inutili e stupide (secondo il giudizio personale di ciascuno di noi) possono essere apprezzabili. Penso che l’ottimizzazione ed il riempimento dei tempi di attesa edi inattività forzata sia fondamentale per il nostro benessere mentale.

Quello che asserisco e ho sempre sostenuto è che il sonno in quest'ottica é assolutamente deleterio e a chi elogia la piacevolezza del risveglio, riposati e sazi di sonno, ricordo che loro godono solo di quei brevi momenti, ma non hanno piacere "mentre dormono".
A differenza di altre attività più o meno indispensabili come mangiare etc., durante le quali si gode anche delle occupazioni stesse senza doverne attendere il termine (più o meno piacevole che siano), una buona dormita è gratificante solo al risveglio. E non si deve dimenticare che ancor peggio è un cattivo risveglio in quanto si è perso tempo con minimo vantaggio o addirittura con danno.

Se si potesse “inventare un rimedio sostitutivo del sonno”, in toto o almeno in parte, senza effetti collaterali (quindi non droghe o pillole che semplicemente mantengono svegli) penso che solo i poveri di spirito, gli ignavi di dantesca memoria, non ne approfitterebbero.
Volendo andare oltre con la “filosofia”, non si deve sottovalutare il fatto che, qualunque possa essere la durata della nostra vita, ogni giorno che passa avremo un giorno in meno da vivere e ogni ora in più “sprecata” a dormire è un’ora di vita persa. Queste considerazioni non devono essere interpretate come tristi o pessimiste, al contrario, dovrebbero essere semplicemente  uno stimolo a fare di più, a sfruttare al meglio ogni minuto e dormire non è fra i modi migliori di passare il tempo.
E parafrasando il geniale modo di dire 
Quann uno è sfurtunato è meglio che 'o Signore s''o chiamma” 
(con il quale, con buona dose di black humorsi tacitano quelli che si lamentano di tutto ed in particolare delle loro disgrazie, per lo più ingigantite e quantunque comuni a tanti) direi: 
Quando uno non ha proprio nessun interesse, che si risveglia a fare?

Dormire di meno, fare di più.

Oggi, durante il mio lungo viaggio di rientro, negli aeroporti, negli autobus e in aereo ho visto tanta gente con lo sguardo perso nel vuoto o dormicchiante (poco e male, per risvegliarsi peggio) e solo pochi leggevano, ascoltavano musica o guardavano filmati.
Io ho visto 4 film, letto, elaborato questo post, scritto varie email e sono soddisfatto della mia giornata, non potendo fare molto di più.